Quando Zidane pensava di essere scarso

I suoi compagni della Juve raccontano come, nella prima stagione, Zizou pensava di non essere all'altezza. L'Avvocato lo punzecchiava. Poi quel gol all'Inter...
Quando Zidane pensava di essere scarso© /AGENZIA ALDO LIVERANI SAS

TORINO - «Scena surreale: eravamo a Vicenza, punizione dal limite, sulla palla io e Zidane. Mi guarda e mi dice: calciala tu. Sgrano gli occhi: Zizou, ma sei matto? Devi tirare tu», sorride Michele Padovano, il ricordo è dolcemente paradossale: «All'inizio Zidane si vergognava a battere le punizioni. Aveva paura di sbagliare, di essere criticato e mi chiedeva di batterle al posto suo: cose da pazzi. In allenamento ne metteva dentro 10 su 10 con Peruzzi in porta, in partita aveva paura contro il Vicenza. Ma il suo ambientamento non è stato facile, quei primi quattro mesi di Juventus furono duri per lui, nonostante il suo talento fosse qualcosa di immenso».

DICE LIPPI - Immenso, sì. Talmente grande che i comuni mortali non se lo sono neppure goduto tutto, perché il pudore unito all'umilta? dell'uomo Zidane frenavano il calciatore e così alcuni dei numeri più fenomenali sono state perle regalate ai compagni nel chiuso degli allenamenti. «A volte lo osservavi e ti veniva da ridere per quello che era in grado di fare», racconta Lippi: «Ci guardavamo in faccia e ridevamo, come a dire: ma guarda questo cos'ha fatto». Ovviamente con la massima semplicita?, quella che ingannava Antonio Conte: «Sembravano giocate facili e mi dicevo: posso farlo anch'io. Poi ci provavi e rimediavi una figura da scemo. Una, due, tre volte: alla fine ho capito che certe cose le poteva fare solo lui». Solo lui e Maradona, dice Padovano: «Quello che ho visto inventare da Zizou, solo Diego forse me lo ha fatto vedere».

LO MANDA MICHEL - Eppure, in quei primi mesi bianconeri, tutto era grigio per Zinedine, il ragazzo cresciuto nei bassifondi di Marsiglia, imparando le sue magie sull'asfalto dei vicoli. Dov'era finito il fuoriclasse che aveva incantato Platini al punto da designarlo come suo erede. Aveva iniziato a perdersi all'Europeo in Inghilterra, con una Francia talentuosa ma disorganizzata, poi era finito nel labirinto dell'ambientamento alla Juventus che già aveva inghiottito tanti fuoriclasse, a partire proprio da Platini. E un po' di colpa era certamente di Michel, che lo aveva raccomandato all'Avvocato e decantato ai media, alzando l'asticella delle aspettative oltre le insicurezze del timido Zidane, fenomeno senza sapere di esserlo. Lo stesso Agnelli poi aveva messo un discreto carico, volendo punzecchiare l'amico Platini sul tema, s’era inventato una battuta delle sue. Feroce cioè: «Spero che Zidane sia quello che mi hanno raccontato e non quello che ho visto all'Europeo». Sbam! Tuttosport gli va dietro e il 30 giugno pubblica un'inchiesta: «Zidane: è stato un buon acquisto?». La titolazione è una frustata: «Uno straniero in discussione: le preoccupazioni di Agnelli e di tutti i tifosi della Juventus sull'ultimo presunto campione». A pensarci ora, pura follia.

TIMIDE CAMPIONE - Zizou, però, ci mette del suo. Meraviglie in allenamento, timidezze in partita, dove non azzarda mai un passaggio più lungo di tre metri, non va mai in dribbling, galleggia nella mediocrita?. Lippi capisce che deve intervenire: «Lo presi da parte e gli dissi: tu sei un fenomeno e, fidati, in questa squadra giocherai sempre. Io non ti metterò mai in discussione». I compagni si stringono intorno a lui: «Aveva un sorriso che ti faceva sciogliere. Prima del campione c'era l'essere umano e nello spogliatoio non c'era uno che non gli volesse bene», racconta Rampulla. Decisivo è anche l'intervento di Montero, che lo carica, lo convince a osare, arriva anche a minacciare di menarlo nel successivo allenamento se in partita non avesse usato il suo talento. Montero sapeva essere convincente.

IL GOL ALL'INTER - Coccolato dallo spogliatoio, Zidane osa un po' di più. Cresce, prende coraggio e il 20 ottobre del 1996, contro l'Inter, segna uno dei suoi gol più belli alla Juventus con un tiro da venticinque metri che si infila sotto l'incrocio della porta di Pagliuca. Una prodezza di potenza e precisione, nata da un controllo di palla altrettanto delizioso. «Strepitoso Zidane», viene scritto. Lui abbraccia tutti, soprattutto la panchina. E dopo la partita sospira solo un «finalmente». È frastornato, ma sa di essere uscito dall'incubo. Il giorno dopo è quello delle celebrazioni, vi si sottopone malvolentieri, non ama i riflettori, e? un antidivo naturale e non vuole nemmeno prendersi i meriti del gol: «L'ho copiato da Del Piero, ma lui ne ha segnati tanti, io solo uno». Ma da quel giorno non chiederà piu? a Padovano, né a nessun altro, di battere le punizioni al posto suo.

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