Bremer come Rocky: ha già la Juve in pugno

Manno racconta di quando lo allenava: “Abbiamo lavorato molto su riflessi e coordinazione. che determinazione!”
Bremer come Rocky: ha già la Juve in pugno

TORINO - Alla faccia dei dubbi di chi temeva che “a maggior ragione in un ruolo così delicato, un po’ di tempo per ambientarsi nella Juventus sarà fisiologico”. Tutt’altro. Gleison Bremer - col suo fisico bestiale e con la sua determinazione eccezionale - s’è già calato perfettamente nella nuova realtà bianconera. Ha dimostrato di avere i numeri per raccogliere quell’eredità pesantissima che gli ha lasciato, lì a sinistra, Giorgio Chiellini. Diamoli, questi numeri. Uno su tutti: 92. Novantadue come i palloni che ha toccato lunedì scorso durante la sfida di debutto juventino, contro il Sassuolo. Vale a dire: quasi il doppio rispetto a Leonardo Bonucci (50), cioè colui che per antonomasia (e per piedi buoni) è universalmente riconosciuto quale secondo regista della squadra di Massimiliano Allegri. E va bene che il capitano era più marcato, e va bene che non è ancora parso al top della forma. Resta il fatto, però, che Bremer non ha avuto la benché minima remora a prendersi l’incombenza e responsabilità del caso. Per inciso, il gran numero di tocchi dei difensori bianconeri rispetto al resto della squadra dimostra anche quanto effettivamente stia cambiando l’impostazione generale del gioco: si cerca di più di impostare l’azione da dietro.

Bremer alla Juve, non manca Koulibaly

Allegri soddisfatto

«Mi sono meravigliato dell’inserimento che ha avuto Bremer. E’ un giocatore straordinario: ha un buon piede, è tranquillo e contro il Sassuolo ha fatto un’ottima partita. L’ho richiamato solo una volta perché ha seguito Berardi fino a metà campo. Abbiamo in generale fatto una buona difesa», ha commentato Allegri dopo la prima di campionato. Allegri cui Bremer ha, da parte sua, dedicato parole a tasso altrettanto iper-glicemico: «Ha vinto molto e ha molto da insegnare. A livello mentale trasmette cose incredibili». E c’è da scommettere sul fatto che il centrale brasiliano abbia una grande predisposizione all’apprendimento, spinto com’è dalla voglia di migliorarsi sempre e sotto tutti i punti di vista.

Pugni chiusi

Emblematica e indicativa è l’esperienza del brasiliano nel mondo della boxe. Aveva 22-23 anni quando dallo staff tecnico-atletico del Torino gli hanno consigliato di fare un po’ di pugilato per perfezionare alcuni movimenti. L’allora granata non ci ha pensato un attimo e ha iniziato a frequentare il Manno Boxing Club di corso Francia, a Torino. Benoit Manno (due volte campione italiano super piuma e una volta vice campione d’Europa leggeri) racconta: «Facevamo una lezione a settimana, da un’ora e mezza. Cercavo di aiutarlo soprattutto nella risposta agli stimoli, perché è quello che si fa con calciatori grossi come lui. Tanto lavoro sulla coordinazione e sui riflessi, sull’equilibrio. Inoltre viveva i nostri allenamenti anche come una sorta di antistress. Ovviamente, non abbiamo fatto sparring, combattimento. Ma per quel che riguarda i colpi abbiamo fatto tutto: diretto, gancio, montante. Mi aveva colpito molto la sua grande forza esplosiva nei diretti: dipende da muscolatura e tecnica, certo, ma la verità è che con il pugno pesante ci nasci, ce l’hai nel Dna. Lui ha un dritto quasi da ko». Altri aspetti che l’avevano colpita? «La sua maturità e la sua voglia di perfezionarsi e darci dentro pur sapendo che non sarebbe mai salito su un ring. Arrivava 10-15 minuti prima e si scaldava da solo. Poi, dopo l’ora e mezza con me, restava a fare tre round di ciò che in gergo chiamiamo “ombra”: boxi davanti allo specchio e ti auto correggi. Un paragone? Per ipertrofia, per muscolatura direi che Gleison potrebbe essere un Evander Holyfield, anche se un po’ più longilineo».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Loading...

Juve, i migliori video