Pjanic esclusivo: “Juve, troppe negatività. Basta una scintilla”

Il bosniaco, ripartito dagli Emirati Arabi, non è mai uscito del tutto dallo spogliatoio bianconero: “Non avrebbe senso cambiare Allegri”
Pjanic esclusivo: “Juve, troppe negatività. Basta una scintilla”© Juventus FC via Getty Images

Lontano, ma sempre vicinissimo. Miralem Pjanic ha lasciato la Juventus nel 2020, ma non è mai uscito del tutto dallo spogliatoio bianconero. E non è soltanto un modo di dire: «Sento sempre gli ex compagni - racconta il 32enne regista bosniaco - e parlo ancora con tutti all’interno della Juve. È un periodo no, come ne ho passati anche io quando ero lì. Ma fidatevi di me: se ne esce e si può ancora vincere perché restano trentuno partite di campionato e tantissimi punti». Il pianista, nelle scorse settimane trasferitosi dal Barcellona allo Sharjah (Emirati Arabi), è molto più che un ex juventino. E anche per questo, seppur a distanza - dal ritiro della Bosnia -, soffre e si sente coinvolto nelle vicende bianconere.

Pjanic, cosa ha pensato vedendo Bonucci e compagni, prima contro il Benfica e poi domenica a Monza, scusarsi davanti ai tifosi che contestavano?

«È la dimostrazione che i giocatori sono consapevoli della situazione. Calciatori e tifosi devono essere una cosa sola. È un senso di responsabilità prendersi i fischi della gente. Dispiace vedere la Juventus in questa situazione, ma un momento di crisi arriva sempre nell’arco della stagione».

La Juventus è ottava in classifica, a meno 7 dalle capoliste Napoli e Atalanta: stupito?

«Sì. Ma diciamo che quasi tutte le big stanno faticando a decollare. Penso all’Inter e pure al Milan, che comunque è più avanti. Il Napoli ha fatto un grande inizio di campionato, come Atalanta e Udinese. È vero, dalla Juventus ci si aspettava di più, ma è soltanto l’inizio e c’è ancora il tempo per recuperare. Per vincere lo scudetto devi essere regolare e continuo, però ci sono più di trenta partite da giocare. La sosta arriva al momento giusto, aiuta a schiarire le idee tanto ai giocatori quanto ad Allegri e allo staff».

Dopo la sconfitta di Monza è in crescita tra i tifosi il partito del “via Allegri”. La società, invece, ha deciso di andare avanti con lo stesso allenatore. Lei che idea si è fatto?

«Quando arrivano questi momenti, dove hai tanti dubbi in testa e poche sicurezze, giocare contro la prima in classifica o contro l’ultima, come a Monza, cambia poco: incontri le stesse difficoltà».

Perché?

«È una questione mentale, difficile da capire per chi non scende in campo. Ma in questi momenti, basta una scintilla e tutto si sblocca in positivo».

Cosa intende per scintilla?

«Alla ripresa, dopo le nazionali, arriverà il Bologna all’Allianz Stadium. Se i bianconeri riusciranno a vincere dominando, poi le cose andranno a posto da sole. A volte basta poco... L’importante, in questi momenti, è restare uniti. Non cercare colpevoli perché alla fine tutti sono colpevoli allo stesso modo quando non si vince. Percepisco tanta negatività, ma quello che si dice fuori non deve entrare nella testa dei giocatori. Il mondo Juve deve restare compatto: società, allenatore, staff, giocatori e tifosi devono ritornare una cosa sola. La Juventus ha già tanti avversari di suo: dalle squadre alle tifoserie rivali... Se entri all’Allianz Stadium e hai anche la tua tifoseria scontenta, pur con delle ragioni in questo momento, diventa tutto complicato».

Tornando ad Allegri?

«Adesso non hanno senso i cambi, le somme si tirano alla fine della stagione. La Juventus di Allegri può riuscire a ribaltare tutto, ma si devono mettere tutti in discussione. Nessuno può essere soddisfatto, a partire dai giocatori. Ma anche Allegri e il suo staff staranno facendo delle riflessioni per svoltare. Quando un momento difficile arriva così presto, sei costretto a commettere meno errori possibili. Il campionato è equilibrato, può succedere ancora di tutto. Quando vinci passando da questi periodi duri, poi è ancora più bello e gustoso il successo. Diventano soddisfazioni enormi. Vi ricordate la stagione 2017-18 e la vittoria del Napoli di Sarri allo Stadium con il gol di Koulibaly nel finale?».

Lo scudetto sembrava sfumato e il ciclo finito...

«Il giorno dopo la sconfitta contro il Napoli lo ricordo come fosse ieri. Mi presentai al campo per l’allenamento e non vi nascondo che io e altri compagni iniziammo ad avere dei dubbi in testa. Del tipo: lo scudetto non lo vinciamo più. Anche perché la partita successiva era a San Siro, contro l’Inter. Allegri riunì la squadra e ci parlò con una calma e una serenità incredibili. E senza cercare scuse o alibi. Max ci disse di non pensare al gol di Koulibaly, ma ai punti che ancora c’erano in palio per raggiungere l’obiettivo. A San Siro sapete come è andata: andammo prima in vantaggio, poi sotto. E alla fine vincemmo 3-2. Allegri guarda sempre avanti, non indietro. In questi momenti cerca le parole giuste e le soluzioni migliori per svoltare. Farà così anche stavolta. Lo sapete perché noi svoltammo?».

Racconti pure...

«Perché dentro di noi avevamo l’orgoglio di non far finire il ciclo e ci rodeva l’idea che un’altra squadra potesse festeggiare lo scudetto. È una cosa che senti dentro. È mentalità. E il nostro era un gruppo di campioni accomunati da questo spirito».

Manca più Chiellini o Dybala alla Juventus?

«Manca chiunque, ma la forza della Juventus è - e sarà sempre - questa: i campioni passano, il club resta e continua a vincere. Prima di loro, c’erano fuoriclasse come Zidane, Nedved, Cannavaro, Del Piero, Trezeguet... La Juventus è una macchina fatta per trionfare e lo capisci subito. Quando arrivai a Torino pensai: non voglio diventare uno che ha giocato nella Juventus senza vincere. E ogni giorno ero focalizzato sul lavorare per arrivare al successo. Questo è il mondo Juve: è il dna del club, del presidente. Ogni giocatore deve avere qualcosa che gli scatta dentro quando è alla Juventus: dire è colpa di quello o di quell’altro è facile, però non è una soluzione. Dopo la sosta l’unico pensiero deve essere provare piacere sul campo, attaccare e vincere 3-0 contro il Bologna. Nel calcio è tutto sul filo. Ogni cosa si può ribaltare in fretta e sono convinto che la Juventus ci riuscirà».

Basteranno i futuri ritorni di Di Maria (fuori 2 giornate per squalifica), Pogba e Chiesa per far svoltare la Juve?

«I tanti infortuni condizionano, perché i leader e i campioni danno qualcosa in più. E influenzano anche gli avversari, che quando vedono certi giocatori in campo ti affrontano in maniera diversa. Se puoi schierare questi tre nella formazione iniziale, cambiano le partite. Di Maria crea sempre dei pericoli quando ha la palla. E anche Chiesa è così. Ma non si deve dimenticare che Federico tornerà da un infortunio complicato. E pure Pogba avrà bisogno di un po’ di tempo per tornare al top. Averli in forma, a metà o non averli non è la stessa cosa. Non si devono cercare scuse, si deve soltanto fare qualcosa in più. Tutti. Ma sono certo che Allegri e certi miei ex compagni che sono ancora alla Juventus hanno la forza per ribaltare la situazione».

È ottimista anche sull’impresa Champions de bianconeri dopo le due sconfitte nel girone contro Psg e Benfica?

«Sarà dura, ma è ancora tutto aperto con 4 partite da disputare. La Juventus deve conquistare 6 punti con il Maccabi Haifa. E poi il passaggio del turno se lo gioca a Lisbona, dove servirà una grandissima partita. I portoghesi sono sempre difficili da affrontare: partono da outsider, ma sono tosti. Che sia Benfica, Porto o Sporting, sono sempre incroci tosti».

Intanto Allegri ha ritrovato un regista di ruolo: Paredes. L’ex Psg è stato suo compagno - e allievo - ai tempi della Roma. Ha dato qualche consiglio all’argentino?

«Leandro non giocava molto, a Roma. Era giovane. Sta facendo la sua strada e adesso avrà molte responsabilità perché quella del centrocampista centrale è una posizione chiave per Allegri. Quel ruolo in passato è sempre stato occupato bene e al regista sono sempre state affidate grandi responsabilità per far giocare la squadra come vuole l’allenatore. Ora tocca a Paredes assumersi le responsabilità. È un giocatore valido e spero faccia bene».

Vlahovic è a quota 4 gol in campionato, ma a settembre non ha mai segnato: c’è da preoccuparsi?

«Dusan mi piace tantissimo, ho parlato anche con lui qualche tempo fa. Sono molto contento che sia arrivato alla Juventus. In questo momento deve stare calmo e lavorare sui propri difetti perché è giovane. Higuain, quando è arrivato a Torino, aveva almeno 7-8 stagioni ad altissimo livello in più rispetto a Vlahovic. Il Pipita era un rinforzo pronto, reduce da anni al Real Madrid, al Napoli e con tante partite di Champions sulle gambe. Quando si parla di Dusan, non bisogna dimenticarsi che è un attaccante forte, ma che ha solo 22 anni e tanta responsabilità sulle spalle. Però mi sembra che Dusan abbia l’umiltà giusta per diventare un campione. I gol li sa fare. Ma tra giocare nella Juventus o in un’altra squadra, c’è differenza. A volte non si pensa a questa cosa. La maglia pesa, alla Juve. Sono convinto che farà bene, Dusan, però deve restare calmo e lavorare ogni giorno per migliorarsi».

A parte quelli della Juventus, quali giocatori le piacciono di più in Serie A?

«Ho un debole per Theo Hernandez e Leao del Milan. E apprezzo tantissimo anche Pellegrini della Roma».

Lei è stato vicino a un ritorno in Italia nei mesi scorsi?

«Sì, però sono contento di questa nuova avventura negli Emirati. Ho giocato nelle squadre più forti del mondo, in carriera mi è mancata soltanto la Champions».

A fine agosto, prima dell’arrivo di Milik, si è parlato molto anche del suo ex compagno Depay per la Juventus: l’olandese si era informato con lei sul mondo bianconero?

«Memphis è un giocatore del Barcellona. E cosa ci siamo detti, non lo devo dire io...».

Dopo aver giocato con Cristiano Ronaldo alla Juventus e con Messi nel Barcellona, prima di lasciare i blaugrana ha fatto in tempo anche a incrociare Lewandowski in Catalogna. Com’è il polacco da vicino?

«Cris e Leo sono giocatori incredibili. Ma anche Lewandowski è impressionante: ogni partita riesce sempre a crearsi diverse occasioni davanti alla porta. E fa sempre gol. Robert è molto umile ed è un gran lavoratore, tanto che a Barcellona è già a casa. Segnerà almeno 30 gol in campionato».

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