"La Juve ruba, si sa...": il postulato mai dimostrato, ma utile a tanti

Il codice Juve: viaggio nella juventinità, fra valori, filosofia, ragionamenti e luoghi comuni (3ª puntata)
"La Juve ruba, si sa...": il postulato mai dimostrato, ma utile a tanti

La Juve ruba. È un mantra, un pilastro della filosofia tifoidea italiana, tecnicamente un postulato perché mai scientificamente dimostrato, ma creduto dalla maggioranza delle persone. La Juve ruba perché: gli Agnelli pagano gli arbitri, rappresenta il potere, può controllare le carriere degli arbitri, controlla la Federazione, controlla la Lega e perché... lo dicono tutti. La Juve ruba e basta, mica c’è bisogno di spiegarlo bene, basta accennare un po’ a casaccio a fatti del passato, ammiccando all’ovvietà della cosa.

L'inchiesta Calciopoli

Tipo: «Vabbè, Calciopoli ha dimostrato tutto, no?».  Eppure la più grande e sconquassante inchiesta mai svolta sul calcio italiano, nota - appunto - come Calciopoli, ha finito sì per condannare due dirigenti della Juventus, ma ha anche certificato che, nonostante 171.000 intercettazioni: 1. Il campionato indagato non era «alterato» e, per usare le parole esatte della sentenza: «Il dibattimento in verità non ha dato la prova del procurato effetto del risultato finale del campionato 2004/2005». 2. Tutti gli arbitri sono stati assolti, tranne uno, De Santis, condannato per una partita che non c’entrava nulla con la Juventus (Lecce-Parma). 3. i comportamenti dei dirigenti della Juventus erano del tutto analoghi a quelli delle altre squadre (cfr. Relazione Palazzi). Il postulato, quindi, non è riuscito a diventare teorema neanche con 171.000 intercettazioni e un’indagine a senso unico (sempre dalla sentenza: «La difesa è stata in fatto molto ostacolata nel suo compito dalla mole delle telefonate, 171 mila, e dal metodo adoperato per il loro uso, indissolubilmente legato a un modo di avvio e sviluppo delle indagini per congettura, emerso dal dibattimento»).

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Ma la Juve ruba?

Posto al vaglio di una mastodontica e costosissima inchiesta della magistratura, il fatto che la Juve rubi non è stato dimostrato in alcun modo, nonostante l’ovvietà del postulato stesso nella credenza popolare (che ha inciso sul giudizio sportivo che per stessa ammissione di uno dei giudici fu condizionato dal “sentimento popolare”).  Eppure quel tipo di lettura parziale dei fatti di Calciopoli ha invece rafforzato quel postulato, che resiste nella coscienza collettiva. Se non altro perché sopra quel pilastro sono stati costruiti strati e strati di narrativa, di politica, di meccanismi mentali che a demolirlo verrebbe giù troppa roba. Per esempio verrebbero meno equilibri critici per un certo racconto del calcio italiano, che spesso riscuote successo. Perché “la Juve ruba” è una carta di credito con fondo illimitato, una scorciatoia per evitare il traffico di certi ragionamenti autocritici. 

Ma la Juve ruba? Prima bisognerebbe mettersi d’accordo su cosa significa “rubare”. Se si intende corrompere un arbitro affinché favorisca la vittoria la risposta è no. E, come scritto sopra, è stato anche stabilito da un tribunale. Se si intende essere favoriti da un errore arbitrale la risposta è sì, ma esattamente come tutte le altre squadre, forse con una leggera prevalenza a favore delle grandi. Prevalenza spiegabile con qualche ragionamento statistico e l’effetto psicologico che un grande stadio e un gran numero di tifosi può avere nei conforti di un arbitro (la questione, tuttavia, è molto aperta e, ancora una volta, tutta da dimostrare con prove concrete).

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Dalla classifica dei rigori a favore al gol Turone

Per esempio, se si prende la classifica dei rigori a favore dal 2006/07 al 2021/22 si scopre che la classifica dice: Milan 150, Lazio 135, Roma 133, Fiorentina 123, Napoli 122, Inter 113 e Juventus, settima, a 112. Una posizione un po’ bassa per la regina dei furti. Si dirà, si può avere vantaggi in molti altri modi, ma anche svantaggi. E di questi nessuno si ricorda.  Negli ultimi mesi è stato addirittura girato un film sul “Gol di Turone”, episodio arbitrale di oltre quarant’anni fa che viene periodicamente rinverdito per celebrarlo come uno degli errori più clamorosi e gravi del calcio italiano. Ma il famoso gol del romanista, che avrebbe sbloccato il risultato di Juventus-Roma, partita chiave dello scudetto 1980-81 e annullato dall’arbitro Paolo Bergamo su segnalazione del guardalinee Giuliano Sancini, era da annullare.

Il caso Turone ha fatto scrivere più pagine di giornale che eventi storici nodali per la vita del Paese, ma mai nessuno è riuscito a provare che quel gol era buono. Il primo moviolista della storia del calcio italiano, Carlo Sassi, disse addirittura che negli studi Rai vennero manipolate le immagini per cercare di provare la bontà della rete in alcune moviole. Mentre un altro storico giornalista della Rai, Gianfranco De Laurentiis provò con il “telebeam” (un “protovar” con le prime videotecnologie) che il gol di Turone era effettivamente da annullare perché in fuorigioco. Di poco, ma in fuorigioco. Perché se ne parla ancora dunque? Perché il gol di Turone, in una parte dell’immaginario collettivo, è buono? La questione sconfina nel modo di narrare il calcio in Italia, nell’amore per la dietrologia e nella convenienza nel rivolgersi al pubblico antijuventino. E, in fondo, a distanza di oltre quarant’anni da quell’episodio, non importa più a nessuno stabilire la verità. Il gol di Turone fa parte di una litania letteraria a cui credere senza prove.

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Il caso Iuliano-Ronaldo

Un po’ come l’altrettanto famoso caso Iuliano-Ronaldo dell’aprile del 1998: il padre di tutte le liti fra Juventus e Inter nell’era contemporanea, la scintilla che ha fatto divampare la più feroce rivalità del calcio italiano. Anche in questo caso è giusto inquadrare la questione sul fronte della narrazione. Nessuno ha masi stabilito con certezza che quel contatto fosse rigore, ma mentre di quel contatto se ne discute ancora oggi, tutti hanno seppellito sotto la polvere del tempo la partita di andata di quel discusso campionato. Inter-Juventus finita 1-0, dopo un gol annullato a Inzaghi per un presunto fallo di mano e un rigore, netto, per un intervento di Taribo West sullo stesso Inzaghi. Quei due casi vennero discussi pochissimo, la partita venne archiviata velocemente, mentre alla vigilia di ogni Juventus-Inter si torna a parlare del caso Iuliano-Ronaldo, per dimostrare che, sì, la Juve ruba. In realtà la Juve viene egualmente derubata, ma non si dice. Per ogni recriminazione contro la Juventus c’è, statisticamente, una recriminazione a favore, svanita nei volatili archivi di una memoria calcistica a senso unico. Qualcuno ogni tanto le cerca e le trova, difficilmente però interessano ai media.

Il Collina Day

Non si celebra, il 14 maggio di ogni anno, il Collina Day: ovvero il giorno in cui sotto un diluvio universale, l’arbitro bolognese interruppe per oltre un’ora (violando il regolamento che avrebbe previsto, a quel punto, il rinvio della gara) e la fece riprendere su un campo clamorosamente impraticabile. Quella partita, persa dalla Juventus, consegnò lo scudetto alla Lazio. Così come nessuno rinfaccia ai giallorossi, alla vigilia di ogni Juventus-Roma, il cambio di regolamento in corso della stagione 2000-2001, quando nel mezzo del campionato venne abolito il limite sull’utilizzo del numero degli extracomunitari utilizzabili, spiananando ai giallorossi la strada per lo scudetto. Perché proprio la sfida contro la Juventus venne decisa dal gol di Nakata, fino alla domenica precedente inutilizzabile insieme agli altri extracomunitari del tecnico romanista Fabio Capello. Perfino il direttore di allora della Gazzetta dello Sport, Candido Cannavò, arrivò a scrivere che il cambio di regolamento a campionato in corso era «un’offesa al calcio, al campionato e al buon senso». Il professor Manzella, presidente della Corte Federale che decretò quella modifica regolamentare, nessuno lo ricorda. Su Turone vengono girati film. Forse anche perché la Juventus non si difende o, meglio, non sbraita, non si agita, non alimenta una letteratura vittimista compilando dossier. Le rimostranze ci sono (si pensi al dopo Real-Juve del 2017, per esempio), ma scemano velocemente: c’è sempre dell’altro su cui concentrarsi. «Non forniamo troppi alibi ai giocatori», è la risposta più frequente che si ascolta dai dirigenti e che segna il confine fra la narrazione e la realtà. E, chissà, anche fra i film su Turone e gli scudetti. 

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La Juve ruba. È un mantra, un pilastro della filosofia tifoidea italiana, tecnicamente un postulato perché mai scientificamente dimostrato, ma creduto dalla maggioranza delle persone. La Juve ruba perché: gli Agnelli pagano gli arbitri, rappresenta il potere, può controllare le carriere degli arbitri, controlla la Federazione, controlla la Lega e perché... lo dicono tutti. La Juve ruba e basta, mica c’è bisogno di spiegarlo bene, basta accennare un po’ a casaccio a fatti del passato, ammiccando all’ovvietà della cosa.

L'inchiesta Calciopoli

Tipo: «Vabbè, Calciopoli ha dimostrato tutto, no?».  Eppure la più grande e sconquassante inchiesta mai svolta sul calcio italiano, nota - appunto - come Calciopoli, ha finito sì per condannare due dirigenti della Juventus, ma ha anche certificato che, nonostante 171.000 intercettazioni: 1. Il campionato indagato non era «alterato» e, per usare le parole esatte della sentenza: «Il dibattimento in verità non ha dato la prova del procurato effetto del risultato finale del campionato 2004/2005». 2. Tutti gli arbitri sono stati assolti, tranne uno, De Santis, condannato per una partita che non c’entrava nulla con la Juventus (Lecce-Parma). 3. i comportamenti dei dirigenti della Juventus erano del tutto analoghi a quelli delle altre squadre (cfr. Relazione Palazzi). Il postulato, quindi, non è riuscito a diventare teorema neanche con 171.000 intercettazioni e un’indagine a senso unico (sempre dalla sentenza: «La difesa è stata in fatto molto ostacolata nel suo compito dalla mole delle telefonate, 171 mila, e dal metodo adoperato per il loro uso, indissolubilmente legato a un modo di avvio e sviluppo delle indagini per congettura, emerso dal dibattimento»).

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