Kean racconta Kean: “Che goduria la doppietta a Sarri, non lo voleva alla Juventus”

Giovanni svela tutto sul fratello Moise: “Dieta e testa, così ha lavorato sui punti deboli. Mi ha detto che Fagioli è un fenomeno”
Kean racconta Kean: “Che goduria la doppietta a Sarri, non lo voleva alla Juventus”© Manuela Viganti/Agenzia Aldo Liverani sas

TORINO - Kean raccontato da Kean. E, allora, tocca fare ordine. Chi viene raccontato è Moise Kean: professione attaccante, classe 2000, volto copertina dell’ultima Juventus pre-Mondiale con cinque reti in tre settimane. Chi racconta, invece, è Giovanni Kean: anche lui attaccante, sette anni più anziano del fratello, un presente nell’area di rigore del Nola in Serie D. «Moise l’ho cresciuto io, nessuno lo conosce meglio – certifica Giovanni, tra le premesse –. Siamo molto legati, anche se ora lontani, visto che sto giocando in Campania. Ma ci sentiamo tutti i giorni. E alla fine di ogni partita».

Ecco, appunto: Giovanni Kean, come ha sentito Moise nelle ultime telefonate post-gara?

«Decisamente sollevato. L’ultimo anno è stato il più difficile della sua carriera: nel percorso di un attaccante è normale che a tratti si segni di più e a tratti di meno, solo che intorno hai chi un minuto ti esalta e quello dopo ti butta giù».

E suo fratello ha faticato ad assorbire questa altalena?

«Sì, anche se credo gli sia comunque servito da lezione. Ero certo che ne sarebbe venuto fuori, perché ha una carattere forte. Ogni tanto la gente si dimentica che è del 2000: è in campo da tanto tempo, ma solo perché aveva esordito già a 16 anni. Moise ha solo bisogno di sentire fiducia intorno a sé, a quel punto riesce a dimostrare quanto vale».

Qual è stata la ricetta per lasciarsi alle spalle le difficoltà?

«Quando tutto gira male, devi individuare i tuoi tuoi punti deboli e cercare delle soluzioni. Così lui ha iniziato a lavorare sulla testa, per aumentare l’asticella della concentrazione. E anche sul peso: ha capito che condurre una vita sana, in tutto e per tutto, ti permette di rendere al massimo del potenziale. Ma attenzione: lui adesso è al 70%, ha ancora ampi margini».

Testa e dieta: così è arrivata la svolta?

«Così, in estate, si è presentato in ritiro un Moise diverso. Allegri è stato il primo a a rendersi conto dei suoi progressi e del fatto che si sia presentato nel pre-campionato con un’altra mentalità rispetto al passato. E anche con una maggiore massa muscolare, appunto. L’ha subito visto diverso da come lo conosceva, anche se poi non sempre la svolta può arrivare al primo colpo».

E cosa ha inciso, allora, per arrivare a un autunno da così grande protagonista?

«Anche gli infortuni nel reparto, naturalmente, che l’hanno aiutato a ritagliarsi spazio. Ma le occasioni, quando capitano, bisogna saperle sfruttare. E per Moise non era scontato, dopo il periodo difficile vissuto, anche se lui è abituato a sorprendere. Come a Parigi: lo davano per spacciato, compresso tra tanti fenomeni, ma ha segnato 17 gol in un anno».

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A proposito delle esperienze all’estero: come aveva vissuto l’addio alla Juventus nel 2019?

«Ci era rimasto molto male, perché avvertiva la sincera fiducia della società. Ma non rientrava nei piani di Sarri, così il club aveva dovuto trovare una soluzione al problema. Che goduria, nell’ultimo turno di campionato, vedergli segnare una doppietta alla Lazio proprio sotto lo sguardo del tecnico!».

Dalla partenza al rientro: Moise ha spinto per tornare a indossare la maglietta bianconera, un anno e mezzo fa?

«Certo: la prospettiva era quella di approdare in un grande club, con l’allenatore che l’aveva lanciato e con il direttore sportivo che l’aveva seguito nel vivaio. E poi, se ti richiamano, è perché credono ancora in te».

Le voci di mercato che gli hanno ronzato intorno in estate, invece?

«L’hanno lasciato indifferente, di chiacchiere ad agosto se ne sentono sempre in quantità. Certo, ogni tanto negli scorsi mesi mi ha detto “Basta, me ne vado!”, ma erano sfoghi estemporanei dovuti allo scarso impiego. Non è mai stato sul punto di andarsene e non intende farlo né adesso né in futuro: alla Juventus è al top ed è davvero a casa sua».

Ma le racconta qualche retroscena del gruppo odierno?

«Si trova molto a suo agio, anche perché è inserito in un contesto ricco di giovani. Nelle ultime settimane è rimasto impressionato dalla crescita di Iling, di cui mi parla molto bene, ma è Fagioli che fin dall’estate ha insistito sempre a descrivermi come un autentico fenomeno!».

Moise a Torino, lei a Nola: patite i quasi mille chilometri tra voi?

«Sinceramente la distanza non mi pesa, anche se è ovvio che vorrei potergli stare più vicino. Anche solo per qualche dritta in più».

Da attaccante ad attaccante, gliene riserva qualcuna anche a livello prettamente tecnico?

«Lo bacchetto sempre sul fatto che deve migliorare nel ripulire i palloni: sta crescendo anche in quel fondamentale, ma non è ancora il suo forte. E dire che, in allenamento, ha vicino Vlahovic da cui imparare».

Gli dà qualche consiglio anche sulla vita fuori dal campo?

«Ma no, si sta comportando davvero bene. Ha sempre avuto un carattere che viaggia a fiammate, a volte è un diavolo e a volte è un monaco. Ma adesso è in versione monaco e me lo tengo stretto così!».

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TORINO - Kean raccontato da Kean. E, allora, tocca fare ordine. Chi viene raccontato è Moise Kean: professione attaccante, classe 2000, volto copertina dell’ultima Juventus pre-Mondiale con cinque reti in tre settimane. Chi racconta, invece, è Giovanni Kean: anche lui attaccante, sette anni più anziano del fratello, un presente nell’area di rigore del Nola in Serie D. «Moise l’ho cresciuto io, nessuno lo conosce meglio – certifica Giovanni, tra le premesse –. Siamo molto legati, anche se ora lontani, visto che sto giocando in Campania. Ma ci sentiamo tutti i giorni. E alla fine di ogni partita».

Ecco, appunto: Giovanni Kean, come ha sentito Moise nelle ultime telefonate post-gara?

«Decisamente sollevato. L’ultimo anno è stato il più difficile della sua carriera: nel percorso di un attaccante è normale che a tratti si segni di più e a tratti di meno, solo che intorno hai chi un minuto ti esalta e quello dopo ti butta giù».

E suo fratello ha faticato ad assorbire questa altalena?

«Sì, anche se credo gli sia comunque servito da lezione. Ero certo che ne sarebbe venuto fuori, perché ha una carattere forte. Ogni tanto la gente si dimentica che è del 2000: è in campo da tanto tempo, ma solo perché aveva esordito già a 16 anni. Moise ha solo bisogno di sentire fiducia intorno a sé, a quel punto riesce a dimostrare quanto vale».

Qual è stata la ricetta per lasciarsi alle spalle le difficoltà?

«Quando tutto gira male, devi individuare i tuoi tuoi punti deboli e cercare delle soluzioni. Così lui ha iniziato a lavorare sulla testa, per aumentare l’asticella della concentrazione. E anche sul peso: ha capito che condurre una vita sana, in tutto e per tutto, ti permette di rendere al massimo del potenziale. Ma attenzione: lui adesso è al 70%, ha ancora ampi margini».

Testa e dieta: così è arrivata la svolta?

«Così, in estate, si è presentato in ritiro un Moise diverso. Allegri è stato il primo a a rendersi conto dei suoi progressi e del fatto che si sia presentato nel pre-campionato con un’altra mentalità rispetto al passato. E anche con una maggiore massa muscolare, appunto. L’ha subito visto diverso da come lo conosceva, anche se poi non sempre la svolta può arrivare al primo colpo».

E cosa ha inciso, allora, per arrivare a un autunno da così grande protagonista?

«Anche gli infortuni nel reparto, naturalmente, che l’hanno aiutato a ritagliarsi spazio. Ma le occasioni, quando capitano, bisogna saperle sfruttare. E per Moise non era scontato, dopo il periodo difficile vissuto, anche se lui è abituato a sorprendere. Come a Parigi: lo davano per spacciato, compresso tra tanti fenomeni, ma ha segnato 17 gol in un anno».

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