Champions, la Coppa proibita per la Juventus: Dna, avversari, arbitri o sfortuna?

Il club bianconero è quinto in tutte le classifiche storiche della Champions. Il problema non è il Dna europeo, ma le finali. E ognuna ha una storia diversa
Champions, la Coppa proibita per la Juventus: Dna, avversari, arbitri o sfortuna?© AG ALDO LIVERANI SAS

«Eh, ma la Juve non ha il Dna europeo». La frase è trita e avrebbe un senso solo se per il Dna europeo s’intendesse un’innata capacità di vincere le finali. Perché sette finali perse su nove disputate di Coppa dei Campioni/Champions League (e in assoluto cinque trofei europei alzati al termine di sedici finali) rappresentano una statistica sconfortante, ma questo significherebbe equiparare il Dna europeo al semplice palmares. E questo è decisamente troppo semplicistico. Perché è indubbio che la Juventus abbia un problema con le finali e vale sicuramente la pena capire se c’è una spiegazione o un filo logico che accomuna così tante sconfitte, ma nello stesso tempo vale la pena ricordare che la Juventus nelle coppe europee è sempre stata fra le protagoniste e, per esempio, è stata la prima squadra del mondo ad aver vinto tutte e tre le competizioni Uefa, venendo per questa premiata dalla stessa Uefa con una targa che nessun altro club può vantare.

Juve senza Dna europeo? Falso

Sì, qualsiasi tifoso scambierebbe quella placca consegnata a Giampiero Boniperti nel 1985 con almeno un’altra Champions, ma resta il fatto che è tecnicamente sbagliato definire la Juventus una squadra «senza Dna europeo», perché è una squadra che ha disputato per ventuno volte le semifinali di Coppa Campioni/Champions League (quinta di sempre insieme al Liverpool), perché ha accumulato 374 punti nell’ideale classifica perpetua della Coppa Campioni/Champions League (quinta di sempre), perché negli ultimi trent’anni è l’unica squadra insieme alla regina d’Europa per eccellenza, il Real Madrid, ad aver disputato tre finali consecutive (1996, 1997, 1998 a cui aggiungere,nel 1995, quella di Coppa Uefa), perché è stabilmente nella top 10 del ranking Uefa da mezzo secolo (con la sola eccezione del periodo post Calciopoli). E quindi, anche se tutti questi numeri non contano assolutamente nulla perché a contare sono i trofei in bacheca, non si può affermare che il problema della Juventus sia con le competizioni europee o con la Champions in particolare, ma con le finali. Le maledette finali.

Il problema delle finali

La Juventus ha, infatti, una tanto sinistra quanto accentuata tendenza a perderle, le finali. Soprattutto quelle di Champions League. Perché? Dopo aver scartato l’approssimativa spiegazione del Dna europeo (che poi qualcuno, prima o poi, dovrà spiegare cos’è in concreto), si può provare a classificare queste sette sconfitte per capirci qualcosa di più. Tre di quelle sette finali, la Juventus le ha perse contro squadre indiscutibilmente più forti: nel 1973 contro l’Ajax di Crujjf, Neeskeens e Krol, ossatura dell’Olanda del calcio totale due volte seconda al mondiale (a proposito di perditori seriali di finali); nel 2015 contro il Barcellona di Messi, Neymar, Suarez, Iniesta e Xavi; nel 2017 contro il Real Madrid di Ronaldo, Benzema, Kroos, Modric, Casemiro e Sergio Ramos, in grado di vincerne cinque in nove anni, di Champions. In quelle tre situazioni sarebbe stato un miracolo clamoroso ribaltare il pronostico: è innegabile che le tre Juventus in questione fossero all’altezza di giocarsela, ma più deboli delle corazzate vincitrici.

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Quelle perse contro le più deboli

Altre tre di quelle sette finali perse, la Juventus le ha perse contro squadre nettamente più deboli: nel 1983 contro l’Amburgo, che sì era schierato benissimo in campo e aveva molti nazionali tedeschi, ma giocava contro la Juventus dei sei campioni del mondo rinforzata con Platini e Boniek, in grado di buttare via un divario tecnico pazzesco in quella folle notte ad Atene; nel 1997 contro il Borussia Dortmund brillante, ma che non aveva nessuno all’altezza di Zidane, Del Piero, Deschamps, Vieri o Boksic; nel 1998 contro il Real Madrid meno forte che abbia mai vinto una Coppa Europea, perché, sì, c’erano Roberto Carlos e Raul, ma Mijatovic e Morientes non erano certo come Zidane, Del Piero e Inzaghi. Una di quelle finali, infine, la Juventus l’ha persa ai rigori contro il Milan, al termine di una partita equilibrata, come equilibrato era il confronto fra le due migliori squadre del calcio italiano ed europeo in quel momento. Il Milan non era più forte o più debole e ha vinto per aver realizzato un rigore in più di quella folle sequenza di Manchester con Dida e Buffon protagonisti di cinque parate su dieci penalty.

C'è poco da rimproverarsi

Esiste, dunque, un filo conduttore? Apparentemente no. Perché in quattro casi su sette la Juventus ha poco da rimproverarsi, se non la sfortuna di essere arrivata in finale contro una squadra più forte o aver sbagliato un rigore di troppo. Le rimanenti tre sono invece ragione di laceranti rimpianti. E, in fondo, anche di qualche recriminazione, soprattutto nel 1997 e nel 1998. A Monaco di Baviera, contro il Borussia Dortmund la Juventus perde 3-1, ma si lamenta per due interventi sospetti da rigore (su Jugovic e Del Piero) e un gol annullato a Vieri per un fallo di mano molto dubbio: tre decisioni molto sfortunate dell’arbitro ungherese Sandor Puhl che, azzeccandone almeno una, avrebbe potuto cambiare la storia del match (a fine partita il vicepresidente Roberto Bettega sibilò: «Ci ha battuto una federazione più forte»).

Il fuorigioco di Mijatovic

Ad Amsterdam, l’anno successivo, la Juventus perse 1-0 contro il Real e il gol che decise l’assegnazione della Coppa dalle grandi orecchie era in fuorigioco. Attenzione, non in “dubbio fuorigioco”, proprio in fuorigioco, visibile chiaramente in tutte le immagini televisive che inchiodano la posizione irregolare di Predrag Mijatovic: chissà, con il Var quella finale poteva finire in un altro modo. Insomma, due coppe la Juventus le ha perse anche per colpa degli arbitri (a cui qualcuno aggiungerebbe quella di Berlino 2015, per il fallo da rigore da Pogba, ma è un altro discorso perché quel Barcellona era davvero molto più forte). Eppure raramente se ne parla quando si argomenta sullo scarso “Dna europeo della Juventus”. La Juventus stessa, al netto di qualche polemica del momento, non ha mai epicizzato quegli errori arbitrali, schivando la creazione del “gol di Turone europeo”, anzi, ha sempre fatto autocritica sull’approccio tenuto in quelle partite.

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La tesi di Amoruso

Di recente, per esempio, c’è stata una ricostruzione di Nicola Amoroso che ha accennato alla «pancia piena» con cui erano state affrontate le finali ‘97 e ‘98, ovvero dopo aver già vinto il campionato. Possibile che di fronte a una Coppa scemi l’appetito? È molto strano ipotizzarlo, tuttavia, non si può non notare che sei di quelle sette finali, la Juventus le ha perse dopo aver vinto il titolo italiano. Un caso o la tesi Amoroso ha un fondamento? Anche perché le due coppe vinte, nel 1985 e nel 1996, sono state alzate in annate senza scudetto.  Oppure è un problema psicologico quello della Juventus in finale? Una specie blocco storico? È un’ipotesi, per carità, ma perché una finale persa nel 1973 da Causio, Anastasi e Altafini dovrebbe influenzare Dybala, Pjanic e Mandzukic nel 2017? In realtà un meccanismo può esserci: i giocatori cambiano, l’ambiente no. E quando l’idea che la Juventus abbia una sorte di maledizione delle finali ha iniziato a prendere corpo, i tifosi, i dirigenti e i media hanno sempre generato una certa “ansia da finale” che in qualche modo può aver condizionato i giocatori.

Il fattore... C

Temere una partita è come aver iniziato a perderla e quindi questo fattore va preso in considerazione.  Il resto può anche essere annoverato alla voce sfortuna. Sì, non è un analisi scientifica, ma è innegabile che il famigerato “fattore C” incida spesso profondamente in uno sport come il calcio. D’altronde, il Benfica, che di finali ne ha perse cinque, dà la colpa a Béla Guttmann, allenatore ungherese che, licenziato dal club, lanciò l’anatema della Coppa Campioni, mai più vinta dal club di Lisbona. Leggende metropolitane di questo genere sono forse ancora meno concrete del concetto di Dna europeo, ma per spiegare il più grande mistero juventino di sempre c’è pure chi si spinge nell’esoterismo calcistico inventandosi i Guttmann bianconeri. Forse, tuttavia, prima della prossima finale avrebbe più concretamente senso che la Juventus e il suo popolo si ricordassero di essere una potenza europea, nonostante il palmares. 

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«Eh, ma la Juve non ha il Dna europeo». La frase è trita e avrebbe un senso solo se per il Dna europeo s’intendesse un’innata capacità di vincere le finali. Perché sette finali perse su nove disputate di Coppa dei Campioni/Champions League (e in assoluto cinque trofei europei alzati al termine di sedici finali) rappresentano una statistica sconfortante, ma questo significherebbe equiparare il Dna europeo al semplice palmares. E questo è decisamente troppo semplicistico. Perché è indubbio che la Juventus abbia un problema con le finali e vale sicuramente la pena capire se c’è una spiegazione o un filo logico che accomuna così tante sconfitte, ma nello stesso tempo vale la pena ricordare che la Juventus nelle coppe europee è sempre stata fra le protagoniste e, per esempio, è stata la prima squadra del mondo ad aver vinto tutte e tre le competizioni Uefa, venendo per questa premiata dalla stessa Uefa con una targa che nessun altro club può vantare.

Juve senza Dna europeo? Falso

Sì, qualsiasi tifoso scambierebbe quella placca consegnata a Giampiero Boniperti nel 1985 con almeno un’altra Champions, ma resta il fatto che è tecnicamente sbagliato definire la Juventus una squadra «senza Dna europeo», perché è una squadra che ha disputato per ventuno volte le semifinali di Coppa Campioni/Champions League (quinta di sempre insieme al Liverpool), perché ha accumulato 374 punti nell’ideale classifica perpetua della Coppa Campioni/Champions League (quinta di sempre), perché negli ultimi trent’anni è l’unica squadra insieme alla regina d’Europa per eccellenza, il Real Madrid, ad aver disputato tre finali consecutive (1996, 1997, 1998 a cui aggiungere,nel 1995, quella di Coppa Uefa), perché è stabilmente nella top 10 del ranking Uefa da mezzo secolo (con la sola eccezione del periodo post Calciopoli). E quindi, anche se tutti questi numeri non contano assolutamente nulla perché a contare sono i trofei in bacheca, non si può affermare che il problema della Juventus sia con le competizioni europee o con la Champions in particolare, ma con le finali. Le maledette finali.

Il problema delle finali

La Juventus ha, infatti, una tanto sinistra quanto accentuata tendenza a perderle, le finali. Soprattutto quelle di Champions League. Perché? Dopo aver scartato l’approssimativa spiegazione del Dna europeo (che poi qualcuno, prima o poi, dovrà spiegare cos’è in concreto), si può provare a classificare queste sette sconfitte per capirci qualcosa di più. Tre di quelle sette finali, la Juventus le ha perse contro squadre indiscutibilmente più forti: nel 1973 contro l’Ajax di Crujjf, Neeskeens e Krol, ossatura dell’Olanda del calcio totale due volte seconda al mondiale (a proposito di perditori seriali di finali); nel 2015 contro il Barcellona di Messi, Neymar, Suarez, Iniesta e Xavi; nel 2017 contro il Real Madrid di Ronaldo, Benzema, Kroos, Modric, Casemiro e Sergio Ramos, in grado di vincerne cinque in nove anni, di Champions. In quelle tre situazioni sarebbe stato un miracolo clamoroso ribaltare il pronostico: è innegabile che le tre Juventus in questione fossero all’altezza di giocarsela, ma più deboli delle corazzate vincitrici.

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