Inchiesta Juve: è un tema tecnico, no al giustizialismo per compiacere le folle

Il fatto che si parli di una squadra di calcio non significa che tutti ne possono parlare come capita con il pallone. L’inchiesta sul presunto falso in bilancio della Juventus si dipana su un territorio ipertecnico, scivolosissimo per chi non conosce in modo approfondito la materia. Si può, certo, buttarla in caciara e blaterare di “gravissime violazioni” o di “infrazioni insignificanti” con lo stesso accalorato piglio con cui si discute di un fuorigioco, ma si alza vertiginosamente la probabilità di fare brutta figura. In particolare la questione della “manovra stipendi”, che potrebbe diventare nodale sia nel procedimento penale che in quello sportivo, è un tema che ha visto esprimersi in modo diverso molti esperti della materia. L’interpretazione di dominio pubblico, in questo momento, è quella dei pm, quindi quella dell’accusa, che quindi considera l’operato della Juventus fuori legge. Non è scritto da nessuna parte, però, che sia l’interpretazione giusta ed esprimersi in anticipo, prima di ascoltare l’altra versione, non solo viola il sacro principio giuridico della presunzione di innocenza, ma anche l’altrettanto sacro principio di buon senso che imporrebbe di tacere quando non si conosce bene l’argomento.

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Così come può risuonare molta politica nell’invocazione della «pulizia», quando non si sa ancora bene quanto e quale sporco ci sia da pulire. Il giustizialismo di questi giorni, in cui c’è chi calcola le sentenze con in mano il codice del tifoso e chi impartisce lezioni morali da pulpiti quanto meno discutibili, restituisce l’immagine di un Paese che usa sempre di più la pancia e sempre meno la testa. Ma converrebbe abituarsi all’idea che l’innocenza o la colpevolezza della Juventus verrà decisa sulla base di relazioni di periti che affronteranno lo scontro in un campo piuttosto intricato, perché le leggi che regolano i bilanci e la tecnica con cui questi vengono redatti sono una scienza in cui non è stretto il margine di interpretazione. Aspettare il risultato, abbassando la temperatura del dibattito, sarebbe saggio. Tanto ci sarà tempo dopo le sentenze di discutere, anche con foga, ma almeno su un terreno concreto e non sulle inconsistenti nuvole ipotetiche. Dire che il calcio sia una «cosa sporca» equivale a fare la stessa affermazione della politica o dell’economia. Semplificando i temi con il qualunquismo, aggiungendo la spruzzata di populismo del «non lo guardiamo più», ci si può costruire una grande carriera da opinionista al bancone, ma non si spiegano i problemi e non si danno soluzioni. Il calcio è un patrimonio dell’umanità e un settore produttivo di discreto rilievo del nostro Paese, va salvato da tante storture, con pazienza e competenza, non buttato nella spazzatura della retorica d’accatto.

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Il fatto che si parli di una squadra di calcio non significa che tutti ne possono parlare come capita con il pallone. L’inchiesta sul presunto falso in bilancio della Juventus si dipana su un territorio ipertecnico, scivolosissimo per chi non conosce in modo approfondito la materia. Si può, certo, buttarla in caciara e blaterare di “gravissime violazioni” o di “infrazioni insignificanti” con lo stesso accalorato piglio con cui si discute di un fuorigioco, ma si alza vertiginosamente la probabilità di fare brutta figura. In particolare la questione della “manovra stipendi”, che potrebbe diventare nodale sia nel procedimento penale che in quello sportivo, è un tema che ha visto esprimersi in modo diverso molti esperti della materia. L’interpretazione di dominio pubblico, in questo momento, è quella dei pm, quindi quella dell’accusa, che quindi considera l’operato della Juventus fuori legge. Non è scritto da nessuna parte, però, che sia l’interpretazione giusta ed esprimersi in anticipo, prima di ascoltare l’altra versione, non solo viola il sacro principio giuridico della presunzione di innocenza, ma anche l’altrettanto sacro principio di buon senso che imporrebbe di tacere quando non si conosce bene l’argomento.

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