Pagina 3 | Vialli, professionale come Cristiano Ronaldo: Tacchinardi, racconti Juve

TORINO - Alessio Tacchinardi pensa all’ex compagno di squadra alla Juventus, pensa al «fratello maggiore» e punto di riferimento per un ragazzino appena arrivato, pensa poi all’amico delle partite a golf e delle chiacchierate notturne. Perché «quando Luca tornava a Cremona, era una festa».  Fa fatica, parlando. E si commuove. «Ma è giusto che la gente sappia il più possibile il livello di grandezza di Gianluca Vialli. Quando incroci una persona, pesi e percepisci subito di che livello può essere. E Luca, appena lo conoscevi e avevi modo di frequentarlo, beh... Sentivi subito che era un leader, che aveva carisma. Ti dava qualcosa di forte, ti faceva pensare: mamma mia, questo ha personalità! Noi abbiamo una chat di ex giocatori, e ancora adesso è il nostro capitano. A fine novembre scorso abbiamo fatto una rimpatriata con Marcello Lippi, Luca ci ha mandato un video messaggio. Tre minuti che mi hanno lacerato il cuore per come parlava ancora da capitano, anche se dalla sua voce si sentiva qualcosa».   

Vialli: leader, fratello maggiore, cazziatoni. Professionale alla CR7

«Per me era un fratello maggiore. Sono arrivato alla Juve che avevo 19 anni. Vialli lo guardavo in televisione e me lo sono ritrovato accanto. Mi ha accudito in tutto e per tutto, anche con cazziatoni, rimproveri e con qualsiasi cosa possa fare un fratello maggiore, ma sempre da vero leader. Per noi rimarrà l’unico, clamoroso capitano. Luca aveva qualcosa di diverso e per me l’aveva quando aveva 10 anni, quando ne aveva 5, quando ne aveva 30 o 40. Sempre: leader non si diventa, si nasce. Io me lo immagino nella partita dell’oratorio a 10 anni che “comandava”, ma in maniera positiva, perché voleva vincere contro i 15enni». «Mille ricordi... Ce n’è uno che rende l’idea. Ti passava vicino al ristorante e se avevi la Coca Cola si incazzava. “Ma è martedì, giochiamo domenica...”. Contava nulla: lui voleva super professionalità. Era puntiglioso. Se andavi al campo d’allenamento due ore prima, lo trovavi già là. Se andavi via due ore dopo, lo lasciavi ancora là».

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La svolta con Lippi e la Champions Juve dopo la Samp

«Quando Lippi gli ha detto “ho bisogno di te” c’è stata la svolta. Se sapeva di avere una squadra e un allenatore che contavano su di lui, si prendeva tutti sulle spalle. Lui doveva sentire quel senso di responsabilità lì: se lo percepiva, questo “peso”, ti portava sull’Everest. A costo di non dormire la notte. E mica dico così, tanto per dire. Ricordo la merenda prima della finale di Champions League. Noi mangiavamo, lui guardava il tavolo. Poi guardava l’ora, m’avrà chiesto 50 volte: che ore sono? che ore sono? Io gli dicevo: mangia, ci devi far vincere la Champions! La risposta: “Oh, Tacchi, non dormo da due notti e non ce la faccio a mangiare perché è talmente importante questa partita, la desidero più di qualsiasi altra cosa”. Pensava alla finale persa con la Samp, voleva recuperare. Voleva dimostrare alla Juve che lui era un vincente».  

L'abbraccio con Mancini all'Europeo e i maglioni per nascondere il male

«La foto di Luca che solleva la Coppa per i tifosi juventini è tutto. Ma io penso che ci sia un’altra foto emblematica: l’abbraccio con Mancini dopo la vittoria dell’Europeo. Ha dato tanto a quella Nazionale. Mi immagino i suoi discorsi ripensando a quelli che faceva a noi. Non erano preparati. Lui improvvisava, perché aveva forza. E se doveva attaccarti nello spogliatoio, lo faceva dall’alto del suo carisma. Ecco perché penso a quanto può aver inciso in azzurro. E dunque quell’abbraccio con Mancini è stato un simbolo di tutto questo. Quando ho visto quell’abbraccio ho pianto anch’io, credo che la sua emozione fosse di gioia ma credo si stesse chiedendo “perché proprio a me, questa maledetta?”. E se lo chiedeva in un momento in cui faceva qualcosa che era ancora la sua vita. Ha affrontato la sua malattia con una eleganza incredibile. Mi ricordo una gara alla “Vialli e Mauro”, ricordo di averlo visto con 5-6 maglioni per riempire il suo corpo, perché la chemio lo stava distruggendo. E però lui era là perché era il capitano e voleva vincere quella gara. Era speciale per questo».   

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Il golf e la lezione più importante

«Sì, giocavamo a golf. Ci siamo frequentati tanto anche perché Luca abitava a Londra ma aveva casa qua vicino a me, a Cremona. Quando sapevamo che sarebbe tornato, un po’ tutti noi amici chiedevamo quando sarebbe arrivato per andare a giocare insieme, mangiare qualcosa al golf. Lui era curioso: ti chiedeva mille cose. Di recente abbiamo passato una serata con lui e Prandelli a raccontare aneddoti...».

«Insegnamenti per i giovani? A livello umano, quand’ero un ragazzino appena arrivato alla Juve, mi aveva insegnato ad amare qualunque cosa si faccia. Nel calcio era così, ma nel golf anche, da opinionista pure. Per lui, quale che sia la professione, si lascia tutto sul campo. E poi c’è anche un’altra cosa che mi ha insegnato: puoi cadere, puoi non centrare un obiettivo. Ad esempio penso al Mondiale con la Nazionale, o al suo primo anno alla Juve in cui doveva essere il salvatore della patria e invece ha faticato. Però puoi e devi sempre rialzarti. Ci sono momenti in una carriera in cui le cose possono andare male, ma la voglia di soffrire e lavorare ti fa rialzare se hai forza e coraggio e credi in te stesso. Questo è un grande insegnamento che mi ha dato Luca, sì. Devi avere però poca voglia di cercare alibi, e lavorare duro. Luca ha dimostrato questo sul campo e nella vita». 

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Il golf e la lezione più importante

«Sì, giocavamo a golf. Ci siamo frequentati tanto anche perché Luca abitava a Londra ma aveva casa qua vicino a me, a Cremona. Quando sapevamo che sarebbe tornato, un po’ tutti noi amici chiedevamo quando sarebbe arrivato per andare a giocare insieme, mangiare qualcosa al golf. Lui era curioso: ti chiedeva mille cose. Di recente abbiamo passato una serata con lui e Prandelli a raccontare aneddoti...».

«Insegnamenti per i giovani? A livello umano, quand’ero un ragazzino appena arrivato alla Juve, mi aveva insegnato ad amare qualunque cosa si faccia. Nel calcio era così, ma nel golf anche, da opinionista pure. Per lui, quale che sia la professione, si lascia tutto sul campo. E poi c’è anche un’altra cosa che mi ha insegnato: puoi cadere, puoi non centrare un obiettivo. Ad esempio penso al Mondiale con la Nazionale, o al suo primo anno alla Juve in cui doveva essere il salvatore della patria e invece ha faticato. Però puoi e devi sempre rialzarti. Ci sono momenti in una carriera in cui le cose possono andare male, ma la voglia di soffrire e lavorare ti fa rialzare se hai forza e coraggio e credi in te stesso. Questo è un grande insegnamento che mi ha dato Luca, sì. Devi avere però poca voglia di cercare alibi, e lavorare duro. Luca ha dimostrato questo sul campo e nella vita». 

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