Pjanic, la categoria di Allegri e il problema registi alla Juventus: “Io sono cresciuto così”

Il centrocampista, che ora gioca negli Emirati Arabi, anticipa la sfida contro il Napoli raccontandoci i suoi due ex tecnici: “Max lavora sulla testa. Spalletti? Ho un rimpianto”

Poi ci si accorge che vincere, come dice sempre il mister Allegri, è una cosa straordinaria. Noi sembrava l’avessimo resa un po’ banale...». Lo fa notare con un pizzico di - sacrosanto - orgoglio, Miralem Pjanic, mentre ripensa a tutti i titoli che ha conquistato alla Juventus tra il 2016 e il 2020: 4 Scudetti, 2 Coppe Italia, 1 Supercoppa. E la Champions League l’ha sfiorata, arrivando in finale nel 2016-17. La Juventus gli è rimasta nel cuore, la segue anche dagli Emirati Arabi, dove sta giocando ora.

Pjanic, come procede la sua avventura allo Sharjah?

«Molto bene: sto vivendo qua a Dubai. Sono veramente entusiasta: voglio dare il massimo e vincere i titoli che ci sono da vincere, voglio entrare nella Champions League asiatica. Il livello è abbastanza buono, ovviamente è diverso da quello europeo, ma mi sta piacendo molto. Mi piacciono gli Emirati, l’organizzazione del club è ottima, abbiamo un bravo allenatore. Sono stato sorpreso in positivo».

Ronaldo ha fatto una scelta simile. Altro campionato, ma siete a un’ora e mezza di volo…

«Cristiano è andato all’Al-Nassr, un club molto ambizioso. Sono convinto che il Medio Oriente sarà sicuramente il futuro del calcio: ci sono Paesi che hanno tanto da offrire, ma non è ancora uscito fuori tutto il potenziale. Sicuramente il calcio si svilupperà molto anche qua. Per questo dico che non mi ha per nulla sorpreso la scelta di Cristiano: il livello anche in Arabia non è facile come la gente pensa. Credo che la sua scelta porterà una grande crescita del calcio: penso all’immagine di tutto il Paese, penso ai bambini arabi».

La serie A la segue ancora?

«Ovviamente! Seguo eccome! Della Juve ho visto praticamente tutte le partite».

L’ha stupita la rinascita bianconera?

«No! Io lo sapevo e lo dicevo… Inizialmente i ragazzi hanno vissuto un periodo complicato, ma quando entri in una crisi così, in cui se giochi contro il Psg o l’ultima della Serie A ti sembrano tutti allo stesso livello, è perché la paura e le incertezze entrano nella squadra. Non riesci ad esprimere quello che vuoi, non è facile uscirne. Ma ho sempre detto che nessuno più di Allegri sarebbe stato in grado di ribaltare questa situazione. E infatti oggi sento molto di meno parlare certe persone... La situazione è più calma, per quel che riguarda il lato sportivo intendo, proprio perché Allegri ha rimesso la Juve sulla buona strada. Attenzione però: sono state giocate appena 17 partite, adesso arriva il difficile. Il campionato è ancora molto aperto. Bisogna tenere i piedi per terra e continuare a lavorare nella stessa maniera, raccogliere punti. Poi a marzo diventerà tutto decisivo».

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Ma come fa Allegri a risolvere le situazioni anche più complicate?

«Intanto teniamo bene in conto che nell’arco di una stagione un momento complicato arriva sempre. Speri che non ci sia, è chiaro, ma prima o poi te lo ritrovi. Alla Juve inoltre la pressione arriva davvero da tutte le parti: sei obbligato a vincere, a stare tra i primi. Però Allegri sa entrare nella testa dei giocatori, li mantiene calmi durante la tempesta. Non è per caso se è uno degli allenatori più titolati della storia del calcio italiano: ci sono quelli che vincono e quelli che non vincono. Lui è molto preparato, conosce l’ambiente. Quest’anno ha impiegato un po’ di tempo, ma è stato anche molto sfortunato con gli infortuni. Eppure non l’ho mai visto lamentarsi. Lui fa con quello che ha a disposizione in quel momento. Ha gestito alla perfezione questa situazione di crisi enorme in un momento in cui c’è stato anche il cambio della dirigenza. Nonostante tutto, oggi vediamo la Juve al secondo posto e questo è un grande merito del gruppo e del mister».

C’è una volta su tutte in cui Allegri l’ha stupita particolarmente e le ha fatto pensare: «questo è di un’altra categoria»?

«E’ una questione meno specifica e più generale. Posso dire che lui è di un’altra categoria perché è talmente sereno nel suo lavoro che, di conseguenza, trasmette serenità anche alla squadra. Ricordo i momenti complicati che avevamo passato noi e ricordo che in quelle fasi le sue parole e quelle dei componenti del suo staff erano sempre giuste. Inoltre, altra cosa molto importante, Allegri riesce a far giocare tutti gli elementi che ha a disposizione, quindi sono pochi quelli che si lamentano e non sono contenti perché non hanno minutaggio. Quest’anno ancora di più: ha dato spazio a tanti giovani che si stanno meritando il posto perché stanno facendo i risultati e stanno crescendo allo stesso tempo. Se io diventassi il presidente di una squadra, un giorno, vorrei sempre un allenatore come Allegri. Sempre».

A proposito, Napoli-Juventus chiuderà formalmente l’era Andrea Agnelli.

«Io ho sempre avuto un rapporto molto buono con lui ed è così ancora oggi. Lo stimo tantissimo: è una persona strepitosa. Sin da quando sono arrivato si è creato un buon feeling anche tra le famiglie: ci ha sempre aiutato, è sempre stato a disposizione per qualsiasi cosa succedesse. Ma è stato anche un presidente molto presente con la squadra e con i giocatori, soprattutto nei momenti più difficili. Faceva sentire la fiducia al gruppo, ci parlava. Essì perché quando le cose vanno bene sembra tutto facile, ma arrivano anche i periodi in cui le cose girano meno bene e in cui la squadra ha dubbi. in quei frangenti Agnelli ha fatto la differenza. Risultati alla mano, è stato uno dei presidenti più titolati della Juventus. Ha fatto cose straordinarie. Io so quanto ci teneva a vincere e so quale determinazione aveva. Un grande esempio: umile, gran lavoratore. Lo stimo tantissimo. Nessuno gli toglierà mai quello che ha fatto e lui sarà sempre parte della Juventus».

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Torniamo ai tecnici: ha parlato a lungo di Allegri. Spalletti è molto diverso.

«Io ho avuto la sfortuna di aver potuto lavorare con mister Spalletti solo sei mesi (stagione 2015-16): è stato un grandissimo piacere giocare nella sua squadra. Sono stati sei mesi bellissimi perché era proprio divertente il suo calcio. Non mi sorprende che ora il Napoli stia facendo così bene. Come sempre: le sue squadre sono toste da affrontare e belle da vedere. E’ un allenatore incredibile, veramente molto bravo. Il Napoli è primo meritatamente: gioca un bel calcio sia in campionato sia in Europa».

La più grande qualità di Spalletti?

«La competenza, il suo modo di lavorare la fase difensiva e quella offensiva. Riesce a mettere molto bene la squadra sul campo, ha schemi preparati, movimenti preparati. I giocatori, in partita, sanno molto bene quello che devono fare. Se va tutto liscio in gara è perché Spalletti prepara il gruppo quotidianamente e minuziosamente. Richiede tanto, ma anche ti dà tanto. Poi lui è uno che non guarda i nomi. Non gliene frega niente di chi sei: guarda le prestazioni».

Dire che Allegri è più bravo nel gestire le menti e motivare mentre Spalletti è più bravo nel lavorare sulla tattica è troppo semplicistico o c’è un fondo di verità?

«Mah, il punto è che comunque stiamo parlando di due grandi allenatori. Poi, io posso espormi un po’ di più su Allegri perché ho lavorato tanto con lui e ho avuto modo di vincere tutto: lui è uno che vince. Punto. Con Spalletti ci ho lavorato meno, ma anche giocandoci contro percepisci esattamente quello che sentivi da dentro: squadra sempre messa bene in campo».

Come starà preparando la partita, Allegri, secondo lei?

«Il mister sa bene che ci saranno momenti in cui attaccare e momenti in cui difendere. Non puoi pensare che contro il Napoli sarà tutto facile, che starai nei campo avversario a giocare la partita. Hai davanti un rivale forte e pericoloso, primo in classifica: gli azzurri vanno molto veloci davanti, c’è Osimhen che allunga sempre le squadre, c’è Kvaratskhelia che fa la differenza, c’è un bel centrocampo con Lobotka, Zielinski, Anguissa… Tanta qualità. Sarà bello vedere come le due squadre gestiranno la partita. Saranno i piccoli dettagli a farla svoltare da una parte o dall’altra. Una cosa che la Juventus sta facendo molto bene in questo periodo, comunque, è impegnarsi e sacrificarsi per la fase difensiva: questo è tipico delle squadre di Allegri che sono compatte e lasciano poco spazio. Giocare contro di noi era molto difficile: tutti facevano uno sforzo e per gli altri diventava quasi impossibile trovare le imbucate».

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C’è una favorita?

«No, io dico 50 e 50. Anche se la pressione sta dalla parte del Napoli. Hanno perso punti contro l’Inter: ci sta, per carità, ma se vogliono mantenere questa distanza non devono più lasciare niente per strada altrimenti rischiano di andare incontro a incertezze e paure».

Pirlo, poi Pjanic… Da quando è andato via lei la Juventus fatica a trovare un regista. Ora Allegri sta puntando su Locatelli «reinventato», anche se c’è Paredes che sta recuperando spazi. Ha consigli da dare?

«Io sono cresciuto anche ascoltando quello che il mister mi chiedeva su quella posizione. Prima di me c’era Pirlo, io ho trovato il massimo della mia carriera in quella posizione lì: abbiamo vinto gli scudetti, siamo andati in finale di Champions. Credo che i giocatori in regia debbano prendersi le loro responsabilità, sapere che sono in un ruolo molto importante per la squadra: devono inventare, manovrare, anche sbagliare, ma devono prendere certe decisioni sul campo per creare della superiorità. Devono osare, chiedere la palla, distribuirla, giocare in avanti, trovare l’imbucata. Allegri lo dice con precisione quello che serve, starà a loro ascoltarlo. Ricordo che con me ha fatto un lavoro specifico: mi dava indicazioni, mi faceva vedere video con lo staff, mi parlava in allenamento. Anche perché in quanto giocatore davanti alla difesa dovevo dare una mano anche ai compagni per tagliare le linee di passaggio, per recuperare palloni… Allegri ha sfruttato al massimo le mie qualità. Ora può fare lo stesso lavoro con chi c’è: i centrocampisti hanno talento e potenziale, ma la differenza tra un campione e un giocatore «normale» sta anche nella voglia e nella determinazione che ci metti. Peraltro non dimentichiamoci dei giovani: oggi c’è Fagioli, mi è sempre piaciuto anche quando c’ero io e lui era nelle giovanili. Sono contento che abbia più spazio. Miretti non l’ho conosciuto ma mi piace perché quando ha la palla ha sempre la testa alta e guarda in avanti, gioca in avanti, non fa passaggi banali».

Potremo rivederla in Italia?

«Sì! Io tornerò, l’Italia la amo. Sono molto affezionato. Tornerò presto allo Stadium. Il mercato di gennaio? Non so: per adesso nessuno mi ha chiamato».

Certo, la sua vita è stata una grande sfida vinta. Ora vive a Dubai, praticamente in un Paese da sogno. E pensare che tutto era iniziato in Bosnia, con la guerra, poi la fuga, i sacrifici…

«Io so quanto ci ho lavorato per arrivare a certi livelli: ci ho messo tanta passione. Oggi sono in un altro continente, ma sto facendo sempre quello che mi piace: amo il calcio, lo seguo. Anche quando smetterò rimarrò in questo mondo. Tutto questo è stato un sogno. Ho giocato nelle più grandi squadre europee: in Francia, in Italia, in Francia, in Turchia. Sono state esperienze molto piacevoli sapendo la strada che ho fatto: dalla Bosnia, scappando dalla guerra, andando in Lussemburgo. Sono partito da un piccolo Paese con neanche mezzo milione di abitanti e sono arrivato a giocare al Lione, alla Roma, alla Juventus, al Barcellona, al Besiktas. E’ stata una grande rivincita per me e la mia famiglia. Oggi sto qua e provo a trasmettere certi valori anche a mio figlio».

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Poi ci si accorge che vincere, come dice sempre il mister Allegri, è una cosa straordinaria. Noi sembrava l’avessimo resa un po’ banale...». Lo fa notare con un pizzico di - sacrosanto - orgoglio, Miralem Pjanic, mentre ripensa a tutti i titoli che ha conquistato alla Juventus tra il 2016 e il 2020: 4 Scudetti, 2 Coppe Italia, 1 Supercoppa. E la Champions League l’ha sfiorata, arrivando in finale nel 2016-17. La Juventus gli è rimasta nel cuore, la segue anche dagli Emirati Arabi, dove sta giocando ora.

Pjanic, come procede la sua avventura allo Sharjah?

«Molto bene: sto vivendo qua a Dubai. Sono veramente entusiasta: voglio dare il massimo e vincere i titoli che ci sono da vincere, voglio entrare nella Champions League asiatica. Il livello è abbastanza buono, ovviamente è diverso da quello europeo, ma mi sta piacendo molto. Mi piacciono gli Emirati, l’organizzazione del club è ottima, abbiamo un bravo allenatore. Sono stato sorpreso in positivo».

Ronaldo ha fatto una scelta simile. Altro campionato, ma siete a un’ora e mezza di volo…

«Cristiano è andato all’Al-Nassr, un club molto ambizioso. Sono convinto che il Medio Oriente sarà sicuramente il futuro del calcio: ci sono Paesi che hanno tanto da offrire, ma non è ancora uscito fuori tutto il potenziale. Sicuramente il calcio si svilupperà molto anche qua. Per questo dico che non mi ha per nulla sorpreso la scelta di Cristiano: il livello anche in Arabia non è facile come la gente pensa. Credo che la sua scelta porterà una grande crescita del calcio: penso all’immagine di tutto il Paese, penso ai bambini arabi».

La serie A la segue ancora?

«Ovviamente! Seguo eccome! Della Juve ho visto praticamente tutte le partite».

L’ha stupita la rinascita bianconera?

«No! Io lo sapevo e lo dicevo… Inizialmente i ragazzi hanno vissuto un periodo complicato, ma quando entri in una crisi così, in cui se giochi contro il Psg o l’ultima della Serie A ti sembrano tutti allo stesso livello, è perché la paura e le incertezze entrano nella squadra. Non riesci ad esprimere quello che vuoi, non è facile uscirne. Ma ho sempre detto che nessuno più di Allegri sarebbe stato in grado di ribaltare questa situazione. E infatti oggi sento molto di meno parlare certe persone... La situazione è più calma, per quel che riguarda il lato sportivo intendo, proprio perché Allegri ha rimesso la Juve sulla buona strada. Attenzione però: sono state giocate appena 17 partite, adesso arriva il difficile. Il campionato è ancora molto aperto. Bisogna tenere i piedi per terra e continuare a lavorare nella stessa maniera, raccogliere punti. Poi a marzo diventerà tutto decisivo».

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