Plusvalenze Juventus, la giustizia del capro espiatorio

La sentenza della Corte d’Appello Federale non è tecnicamente spiegabile se non prendendo in considerazione anche l’accanimento nei confronti del club bianconero e la volontà di affossarlo. È un cecchinaggio feroce e insensato che calpesta il diritto applicando una disparità di giudizio ingiustificabile

È chiaro che il problema non sono le plusvalenze: il problema, per la giustizia sportiva, è la Juventus. Perché la sentenza della Corte d’Appello Federale non è tecnicamente spiegabile se non prendendo in considerazione anche l’accanimento nei confronti del club bianconero e la volontà di affossarlo. È un cecchinaggio feroce e insensato che calpesta il diritto applicando una disparità di giudizio ingiustificabile. La Juventus è l’unica società punita per una violazione, le plusvalenze fittizie, che si commette in due. Se un vantaggio illecito viene tratto dal gonfiare il prezzo di due giocatori coinvolti in uno scambio, questo lo ottengono due club. Come è possibile, quindi, che la Juventus sia l’unica a essere penalizzata?

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È da ipotizzare che la Corte sia andata oltre il meccanismo della plusvalenza in sé e abbia accolto l’idea di un criminoso “sistema Juventus”, ma anche questa ipotesi non giustifica una pena così sproporzionata. Perché quindici punti sono una condanna enorme che deve richiedere una violazione enorme. Possono le plusvalenze, qualora provate, esserlo? Domandarselo è lecito perché, fino a ieri sera, le plusvalenze erano sempre state perdonate sia in sede di giustizia sportiva sia in quella penale. Esiste cioè una consistente giurisprudenza che non consente di pensare alla plusvalenza come a una violazione così grave da giustificare una simile mazzata e che, di conseguenza, va a ingigantire la disparità del giudizio espresso ieri dalla Corte.

Anche perché non esiste da nessuna parte del codice di giustizia sportiva una norma specifica che regoli il problema delle plusvalenze; fatto bizzarro, visto che di quel problema si parla da un quarto di secolo durante il quale nessuno in Figc ha mai pensato di scrivere un articolo specifico al quale potessero fare riferimento i club e i giudici. Così per le plusvalenze puoi essere assolto o condannato a 15 punti, dipende. Da cosa, ce lo dovrà spiegare il giudice Mario Luigi Torsello nelle sue motivazioni, dove tuttavia sarà difficile trovare la spiegazione del perché certe plusvalenze siano state perdonate e quelle della Juventus costino invece una sentenza così violenta.

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L’impressione, ancora una volta, è che la giustizia sportiva non sia uguale per tutti. Il che, in fondo, non è neppure il problema più grave per chi, nei suoi ranghi, ha avuto un gentiluomo come Rosario D’Onofrio, il procuratore dell’Aia, arrestato il 20 maggio 2020 per un trasporto di 44 kg di marijuana, ma promosso nel 2021, mentre scontava la pena ai domiciliari. La stessa giustizia che ieri ha celebrato in segreto il processo, senza permettere una visione pubblica del dibattimento. Perché nascondersi? Perché farlo nel 2023? Cosa era meglio: non mostrare o non far ascoltare? Anche l’inquisizione, in fondo, celebrava pubblicamente i suoi processi.

Sì, dovrà essere molto convincente Torsello nel motivare la sua decisione. E molto attento, perché quelle motivazioni potrebbero segnare un prima e un dopo, perché gli stessi principi e la stessa severità andranno applicati con altri club. Se la Giustizia Sportiva ha deciso di far cambiare marcia al calcio italiano (che di trucchi di bilancio ha campato e vive da trent’anni almeno) è una buona notizia, perché non è mai troppo tardi per mondare certe abitudini. Ma se si pensa che condannare la Juventus equivalga a fare pulizia si applica un metodo selvaggio e primitivo, si fa la giustizia del capro espiatorio.

 

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Aspettiamo con ansia le parole di Torsello, dunque, mentre dalle settanta pagine di memoria difensiva della Juventus si apprende che, ancora una volta, le intercettazioni vengono tagliate e cucite a uso e consumo dell’accusa, per cui se in un passaggio successivo della telefonata una frase sospetta viene smontata, meglio tenersi solo la frase sospetta. Nei corridoi virtuali si dice, inoltre, che a inchiodare la Juventus sia stato il “libro nero di Paratici” che, per la cronaca, è un foglio A4 sul quale Federico Cherubini aveva annotato tutte le decisioni del suo (allora) capo che non gli piacevano, compreso un «abbiamo fatto troppe plusvalenze artificiali», diventata pistola fumante per il procuratore Chiné e per la Corte. E su questo punto Torsello dovrà essere ultra convincente perché trasformare in prova una riflessione appuntata su un foglietto (le «plusvalenze artificiali» andrebbero poi trovate e provate tecnicamente) è qualcosa che in diritto, quello vero, stride come le unghie sulla lavagna.

Si deve aspettare, dunque. Aspettare le motivazioni e l’appello al Collegio di Garanzia presso il Coni, ma nel frattempo la sensazione che ci sia dell’accanimento sarà difficile da spazzare via e inquina la serenità delle riflessioni sugli effettivi errori commessi dalla dirigenza juventina, sulla strategia difensiva (gli avvocati penali in sede di giustizia sportiva trovano un terreno assai scivoloso), su tutto il resto. Perché così non è una cosa logica. Così, è una cosa da matti.

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È chiaro che il problema non sono le plusvalenze: il problema, per la giustizia sportiva, è la Juventus. Perché la sentenza della Corte d’Appello Federale non è tecnicamente spiegabile se non prendendo in considerazione anche l’accanimento nei confronti del club bianconero e la volontà di affossarlo. È un cecchinaggio feroce e insensato che calpesta il diritto applicando una disparità di giudizio ingiustificabile. La Juventus è l’unica società punita per una violazione, le plusvalenze fittizie, che si commette in due. Se un vantaggio illecito viene tratto dal gonfiare il prezzo di due giocatori coinvolti in uno scambio, questo lo ottengono due club. Come è possibile, quindi, che la Juventus sia l’unica a essere penalizzata?

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