Juve, diritto e rovescio: il fantastico mondo della giustizia sportiva

La giustizia sportiva è un mondo a sé nella giurisprudenza. Molto a sé. Può succedere, come è successo venerdì, che si celebri un processo in mezza giornata e che, in 42 minuti di requisitoria, il procuratore federale condensi quattordicimila pagine di un’inchiesta della magistratura, pescandovi indizi e trasformandoli in prove. E le spacci come “nuove” per ottenere una revisione del processo. Tuttavia quegli elementi non sono sopravvenuti, ci sono sempre stati. Perché l’inchiesta Prisma era già quasi finita quando la Procura aveva aperto il fascicolo sulle plusvalenze e la Procura federale, evidentemente, non aveva ritenuto indispensabile conoscerne i contenuti. Poi ci ha ripensato e dopo la richiesta di rinvio a giudizio dei dirigenti juventini da parte della Procura di Torino, ha deciso che quelle carte potevano servire e ha ottenuto una riapertura che nella giustizia, quella vera, non sarebbe mai stata concessa.

Il "ne bis in idem": da pilastro a paletto rimovibile

Ma la giustizia sportiva è un mondo a sé e il “ne bis in idem” per il quale non si può essere processati nuovamente per un’accusa dalla quale si è stati assolti, da pilastro del diritto quale è diventa paletto, facilmente rimovibile. D’altra parte di travi portanti, nel codice che regola la giustizia sportiva, non ce ne sono molti. D’altra parte ci sono violazioni, come quelle imputate alla Juventus, per le quali si possono ricevere «uno o più punti di penalità». Uno o più. Tendente a infinito? Sostanzialmente sì, perché poi decide una corte: uno, due, quindici... Un po’ come i mesi di inibizione ai dirigenti. Per esempio: l’ex ds della Juventus, Fabio Paratici, da quello che ha fatto intendere il procuratore Chiné e ha avallato il giudice Torsello, era il gran visir delle plusvalenze, il capo della cosca degli scambi artificiali. Bene ha preso 30 mesi di inibizione. Paolo Garimberti, uno dei giornalisti più stimati dell’ultimo mezzo secolo, membro indipendente del CdA della Juventus, che con le questioni delle plusvalenze non c’entrava sostanzialmente nulla, ha preso 8 mesi, così tanto per gradire (non è neanche tesserato Figc). E 8 mesi ha preso anche Nedved, che invece sul mercato interagiva eccome. Qual è il criterio?

"I principi di lealtà sportiva"

D’altronde, a proposito di criterio, secondo il codice di giustizia sportiva si può essere condannati (e anche gravemente) per aver violato i «principi di lealtà sportiva», forse la formulazione più sfuggente di qualsiasi codice del mondo, un buco nero giuridico che può inghiottire qualsiasi fattispecie e condannare a... uno o più punti di penalità. «Eh ma lo sport ha una sua specificità che va tenuta in considerazione», ci si sente sempre rispondere. E sarebbe ora di finirla anche con questa favoletta. Lo sport, il calcio in particolare, non è un gioco è un’industria che in Italia produce miliardi di fatturato, dà da lavorare a decine di migliaia di persone e ne coinvolge emotivamente milioni, continuare a regolarlo come se fosse un eccentrico circolo di gentlemen di fine Ottocento non è soltanto un po’ ridicolo, ma è incosciente e rischioso.

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