Pagina 2 | L’intercettazione pro Juventus: "Valutazioni corrette". "Non esiste il dolo!". E questa non conta?

TORINO - Lo abbiamo già visto questo film. Aveva un altro titolo, ma lo stesso difetto: i dialoghi non erano completi. La storia si ripete, si processa la Juventus per delle intercettazioni, ma si ascoltano solo quelle che, magari tagliate e cucite, dimostrano le tesi dell’accusa. Quelle che, in un modo o nell’altro, la contraddicono vengono trascurate. Sì, sembra Calciopoli, ma è il caso plusvalenze, che nella revisione del processo da parte della Corte d’Appello Federale è costato 15 punti di penalizzazione alla Juventus e una valanga di mesi di inibizione ai dirigenti. Sulla base di che cosa? Lo scopriremo con la lettura delle motivazioni che il giudice Mario Luigi Torsello, ma dallo svolgimento del dibattimento di venerdì e dai 42 minuti che il procuratore federale Giuseppe Chinè ha dedicato alla Juventus, sui 44 della sua requisitoria, è chiaro che nella violentissima condanna del club bianconero hanno un ruolo fondamentale le intercettazioni. Dialoghi che, secondo le tesi dell’accusa, accolte e rincarate dalla Corte, hanno una «valenza confessoria straordinaria», perché i dirigenti della Juventus, parlando fra di loro, ammetterebbero di aver alterato i valori dei giocatori venduti e comprati per ottenere un guadagno illecito. Si tratta dei dialoghi che, ormai, da un anno circolano ampiamente sui mass media, che sono stati i protagonisti del processo di venerdì scorso e che provengono dalle quattordicimila pagine dell’inchiesta Prisma della Procura di Torino. Una poderosa documentazione dalla quale Chinè ha pescato le intercettazioni che gli facevano comodo per dimostrare che i dirigenti juventini, in fondo, si auto-accusavano.

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Ci sono anche delle telefonate nelle quali i dirigenti si auto-assolvono, perché quelle non contano?

Eppure, ci sono anche delle telefonate nelle quali i dirigenti si auto-assolvono, perché quelle non contano? Se un dialogo telefonico (e si sa quanta leggerezza ci può essere quando si parla al telefono) viene considerato inconfutabile prova «confessoria», perché un dialogo in cui i dirigenti dicono il contrario non può valere come assoluzione? Il 15 luglio del 2021, per esempio, il ds Federico Cherubini parlava con Stefano Bertola, il Cfo, ovvero l’uomo dei conti della Juventus. E diceva: «Ma secondo me, ecco dallo spirito sembra che quello che loro (ispettori di Consob) cerchino è capire dove e come e se ci sia stata una palese sopravvalutazione, come se tra le nostre carte ci fosse non so... Guarda, Pjanic vale 20 ma lo vendiamo 50, come se ci fosse la consapevolezza di quello. Io credo che questo... che ogni volta che c’è stata l’attribuzione di un valore, ripeto può essere stata anche fatta in maniera più o meno corretta, non è che era così...». A questo punto parla Bertola: «No no, non c’è nessun intento doloso, no. Se loro quello stanno cercando non troveranno nulla, non troveranno nulla». Sì, non è molto appassionante come dialogo, ma perché non ha lo stesso peso.

Nella memoria difensiva bianconera si fa notare: «...assai significativamente di tale intercettazione non vi è alcuna traccia, a fronte invece del richiamo – improprio – a diverse intercettazioni di cui viene travisato il contenuto». Perché non solo le telefonate in cui i dirigenti si dicevano che i valori degli scambi non erano stati alterati sono state ignorate, ma alcune chiamate che per l’accusa sono «confessorie» sono state interpretate in modo scorretto.

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Ci sono anche delle telefonate nelle quali i dirigenti si auto-assolvono, perché quelle non contano?

Eppure, ci sono anche delle telefonate nelle quali i dirigenti si auto-assolvono, perché quelle non contano? Se un dialogo telefonico (e si sa quanta leggerezza ci può essere quando si parla al telefono) viene considerato inconfutabile prova «confessoria», perché un dialogo in cui i dirigenti dicono il contrario non può valere come assoluzione? Il 15 luglio del 2021, per esempio, il ds Federico Cherubini parlava con Stefano Bertola, il Cfo, ovvero l’uomo dei conti della Juventus. E diceva: «Ma secondo me, ecco dallo spirito sembra che quello che loro (ispettori di Consob) cerchino è capire dove e come e se ci sia stata una palese sopravvalutazione, come se tra le nostre carte ci fosse non so... Guarda, Pjanic vale 20 ma lo vendiamo 50, come se ci fosse la consapevolezza di quello. Io credo che questo... che ogni volta che c’è stata l’attribuzione di un valore, ripeto può essere stata anche fatta in maniera più o meno corretta, non è che era così...». A questo punto parla Bertola: «No no, non c’è nessun intento doloso, no. Se loro quello stanno cercando non troveranno nulla, non troveranno nulla». Sì, non è molto appassionante come dialogo, ma perché non ha lo stesso peso.

Nella memoria difensiva bianconera si fa notare: «...assai significativamente di tale intercettazione non vi è alcuna traccia, a fronte invece del richiamo – improprio – a diverse intercettazioni di cui viene travisato il contenuto». Perché non solo le telefonate in cui i dirigenti si dicevano che i valori degli scambi non erano stati alterati sono state ignorate, ma alcune chiamate che per l’accusa sono «confessorie» sono state interpretate in modo scorretto.

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