Pagina 2 | La Juve e il giallo dei documenti: da Torino a Roma in 28 giorni...

I ventotto giorni del mistero. Potrebbe essere ribattezzato così il periodo che intercorre tra il 27 ottobre e il 24 novembre scorsi, in attesa che qualcuno decida di fare chiarezza. Magari in seno al Collegio di Garanzia del Coni, cui la Juventus ha intenzione di far ricorso dopo aver letto le motivazioni della Corte d’Appello Federale per giustificare il macigno di 15 punti di penalizzazione con cui ha sorprendentemente deciso di affossare la classifica della squadra di Allegri. Già, ma che cosa è successo durante quei ventotto giorni? Una domanda che il club bianconero si è legittimamente posto, senza – per ora – aver ottenuto una risposta esauriente.

L'articolo 63 del Codice di Giustizia Sportiva

Per spiegare i termini della questione, innanzitutto, occorre riavvolgere il nastro. E consultare l’articolo 63 del Codice di Giustizia Sportiva della Figc, quello relativo a revocazioni e revisioni: “Tutte le decisioni adottate dagli organi di giustizia sportiva, inappellabili o divenute irrevocabili, possono essere impugnate per revocazione innanzi alla Corte federale di appello entro trenta giorni dalla scoperta del fatto o dal rinvenimento dei documenti”, si legge. Così ha provveduto a fare, almeno sulla carta, il procuratore federale Giuseppe Chiné in merito al “caso plusvalenze”, tema sul quale la Juventus era già stata assolta. Non una, ma ben due volte. Per tirarla in ballo una terza, infatti, Chiné ha ricevuto dalla Procura di Torino gli atti dell’inchiesta Prisma in data 24 novembre e il successivo 22 dicembre ha richiesto la parziale revocazione della decisione presa dalla Corte Federale d’Appello nello scorso mese di maggio. Giorni intercorsi tra il ricevimento del faldone e la decisione di riaprire il caso: ventotto. Iter seguito alla lettera, dunque? Beh, questo dicono le date delle carte protocollate.

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La richiestà del 27 ottobre e il viaggio a Torino

La richiesta di poter accedere agli incartamenti prodotti dai magistrati torinesi, infatti, risale in realtà al 27 ottobre. E, dunque, quasi due mesi prima rispetto alla suddetta richiesta di revocazione, ben al di fuori dei limiti temporali imposti dal Codice di Giustizia Sportiva. Perché, dunque, intercorre quasi un mese tra la richiesta e la consegna dei documenti? E in quali mani sono state, eventualmente, le copie – cartacee e digitali – di quel faldone? Interrogativi legittimi, soprattutto alla luce di un ulteriore dettaglio. Nei giorni immediatamente successivi alla richiesta avanzata da Chiné, a fine ottobre, organi di stampa avevano infatti riportato del viaggio a Torino da parte di una figura di spicco della Procura Federale per disporre degli incartamenti. Aveva fatto seguito una smentita rispetto alla persona citata dalle cronache, ma non rispetto al fatto in sé. E, considerando che il lavoro dei pm a Torino ha prodotto un plico di 14mila pagine, è facile comprendere come un mese in più a disposizione avrebbe fatto decisamente comodo alla Procura per approfondire i fatti lì sopra riportati.

"Una replica lacunosa"

Saremmo nel campo del vizio di forma, dunque, un aspetto quasi marginale rispetto alle tesi difensive della Juventus, che entrano nel merito e nella sostanza di accuse da cui alla Continassa sono certi di potersi sottrarre con la forza della ragione. Ma questo non significa che la nebbia intorno a quei ventotto giorni non debba essere diradata, anche perché potrebbe annidarsi proprio lì l’inammissibilità della revocazione. Così, in data 11 gennaio, la Juventus ha chiesto “delucidazioni in merito alla richiesta inoltrata al procuratore aggiunto Marco Gianoglio e recante la data del 27 ottobre, al fine di verificare la tempestività dell’impugnazione per revocazione. In particolare, si richiede di essere messi a conoscenza e di documentare la modalità e la tempistica della trasmissione e/o del deposito di tale richiesta alla Procura della Repubblica torinese”. Nella risposta, arrivata due giorni più tardi, la Procura Federale si è limitata a evidenziare come “con la proposizione del ricorso per revocazione, tutti gli atti del procedimento sono stati trasmessi alla Corte Federale d’Appello presso la cui Segreteria sono depositati”. Una replica piuttosto lacunosa, secondo i legali bianconeri. Che hanno posto l’accento su questa incongruenza venerdì scorso e che torneranno a farlo davanti al Collegio di Garanzia presso il Coni. Così, quei ventotto giorni, a tutt’oggi, restano avvolti nel mistero.

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La richiestà del 27 ottobre e il viaggio a Torino

La richiesta di poter accedere agli incartamenti prodotti dai magistrati torinesi, infatti, risale in realtà al 27 ottobre. E, dunque, quasi due mesi prima rispetto alla suddetta richiesta di revocazione, ben al di fuori dei limiti temporali imposti dal Codice di Giustizia Sportiva. Perché, dunque, intercorre quasi un mese tra la richiesta e la consegna dei documenti? E in quali mani sono state, eventualmente, le copie – cartacee e digitali – di quel faldone? Interrogativi legittimi, soprattutto alla luce di un ulteriore dettaglio. Nei giorni immediatamente successivi alla richiesta avanzata da Chiné, a fine ottobre, organi di stampa avevano infatti riportato del viaggio a Torino da parte di una figura di spicco della Procura Federale per disporre degli incartamenti. Aveva fatto seguito una smentita rispetto alla persona citata dalle cronache, ma non rispetto al fatto in sé. E, considerando che il lavoro dei pm a Torino ha prodotto un plico di 14mila pagine, è facile comprendere come un mese in più a disposizione avrebbe fatto decisamente comodo alla Procura per approfondire i fatti lì sopra riportati.

"Una replica lacunosa"

Saremmo nel campo del vizio di forma, dunque, un aspetto quasi marginale rispetto alle tesi difensive della Juventus, che entrano nel merito e nella sostanza di accuse da cui alla Continassa sono certi di potersi sottrarre con la forza della ragione. Ma questo non significa che la nebbia intorno a quei ventotto giorni non debba essere diradata, anche perché potrebbe annidarsi proprio lì l’inammissibilità della revocazione. Così, in data 11 gennaio, la Juventus ha chiesto “delucidazioni in merito alla richiesta inoltrata al procuratore aggiunto Marco Gianoglio e recante la data del 27 ottobre, al fine di verificare la tempestività dell’impugnazione per revocazione. In particolare, si richiede di essere messi a conoscenza e di documentare la modalità e la tempistica della trasmissione e/o del deposito di tale richiesta alla Procura della Repubblica torinese”. Nella risposta, arrivata due giorni più tardi, la Procura Federale si è limitata a evidenziare come “con la proposizione del ricorso per revocazione, tutti gli atti del procedimento sono stati trasmessi alla Corte Federale d’Appello presso la cui Segreteria sono depositati”. Una replica piuttosto lacunosa, secondo i legali bianconeri. Che hanno posto l’accento su questa incongruenza venerdì scorso e che torneranno a farlo davanti al Collegio di Garanzia presso il Coni. Così, quei ventotto giorni, a tutt’oggi, restano avvolti nel mistero.

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