Juventus, Intrieri: “Il processo non regge. Sentenza preoccupante”

L'avvocato nel settore penalistico, docente di procedura penale ed esperto di diritto: “Se non c’è una legge che vieta le plusvalenze, come può essere stata infranta? Le intercettazioni? No, non si usano così. Al Tar? È possibile. E chissà: una class action dei tifosi"

TORINO - «Io sono un avvocato penalista e sono milanista. Calcisticamente la Juventus la detesto. Però la stranezza di questa storia mi ha molto colpito. Per diversi motivi».

Prego, avvocato Cataldo Intrieri. Ci dica il primo.

«La storia della Juventus mi è sembrata emblematica di un clima che c’è nel Paese, di un modo di vivere la giustizia molto spiccio, giustizialista. Il sospetto esso stesso diventa una prova».

Così come le intercettazioni.

«Sono il grande tema, sì. Un tema comune a tutta la giustizia italiana, dibattutissimo. Io la penso come il ministro Carlo Nordio: le intercettazioni devono essere un mezzo che serve a cercare le prove dirette, non una prova di qualcosa che invece deve essere accertato. In questa vicenda della Juve, se è vero come è vero, che un processo archiviato è stato riaperto sulla base di brandelli di intercettazioni arrivate dalla Procura di Torino, beh... E peraltro, so che scandalizzerò qualcuno, ma non ritengo neanche che le intercettazioni in questione abbiano questo grande valore di autoconfessione: ci sono rimandi, mezze ammissioni. Nulla di più».

Chiaramente su sponda bianconera si pone anche l’accento sulle conversazioni in cui ad esempio Bertola e Cherubini si dicono sereni perché non c’è dolo.

«Certo. Infatti spieghiamo, perché molti non sanno come funzionano le intercettazioni in Italia: quelle che noi abbiamo, sono solo quelle che ha scelto la procura di Torino per sostenere la propria accusa. Secondo la legge infatti, alla fine delle indagini, la Procura sceglie le intercettazioni che ritiene utili alla sua tesi mentre deposita tutte le altre in un archivio che la difesa può consultare senza poterne fare copia, mettendosi ad ascoltare in una sala audio, e indicando lei eventualmente quali intercettazioni siano di suo interesse. Si tratta di atti di una inchiesta magari durata mesi o anni che gli inquirenti conoscono a menadito; invece i difensori si vedono piombare all’improvviso una massa enorme di documenti che devono cercare di studiare piuttosto affannosamente in un periodo di tempo di circa una ventina di giorni. Ecco perché sostengo che l’uso amplificato e ampliato delle intercettazioni sia un primo punto poco convincente. E c’è un altro aspetto paradossale...».

Prego.

«Le intercettazioni noi non sappiamo neanche se il giudice penale le userà. Perché in teoria funziona così: il Pubblico Ministero presenta le prove al giudice dell’udienza preliminare, il quale potrebbe anche estrometterle. Mettiamo per esempio che alcune intercettazioni manchino di decreti autorizzativi che il Gip deve emettere su richiesta del Pm. Sarebbero inutilizzabili. In sostanza, dunque, per la richiesta di revocazione presso la Corte federale d’Appello sono state usate prove che ancora non si sa se saranno valide nel processo penale. Oltretutto se non si utilizzassero gli elementi di prova del procedimento ordinario si potrebbe far leva sul fatto che la Giustizia Sportiva ha regole specifiche, ma se si utilizzano elementi di prova dalle indagini fatte con il rito penalistico ordinario mi sembra difficile che si possa invocare l’autonomia».

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Il tema della specificità dell’ordinamento della Giustizia Sportiva è centrale.

«Io lo conosco bene il principio di autonomia degli ordinamenti che hanno delle proprie regole. Però c’è un articolo del codice sportivo, l’articolo 44, che dice che il processo sportivo si ispira al modello del giusto processo. E ce n’è uno solo, nel mondo occientale, di “modello di giusto processo”. È basato su poche regole. Peraltro una delle quali, fondamentale, è l’indipendenza dei giudici: non per niente di solito vincono dei concorsi e quindi sono indipendenti visto che lo Stato che li assume non li può licenziare. Qui invece abbiamo giudici e magistrati scelti per chiamata diretta... Ma vabbè, al di là di questo, ci sono delle regole del giusto processo alle quali ci si dovrebbe ispirare».

C’è altro che non la convince?

«Un’altra cosa che mi ha colpito è la motivazione della prima archiviazione. Rispetto alla prima sentenza del Tribunale Federale, avevano usato parole severe sostenendo che questa operazione di uso delle plusvalenze poteva essere considerata opaca, sbagliata, non corretta ma che non era sanzionabile per la mancanza di una norma apposita che dica che questa prassi delle plusvalenze a specchio è vietata. In linguaggio giuridico si parla di principio di legalità grazie al quale il cittadino ha diritto a sapere prima quali possano essere le conseguenze penali della sua condotta, non è che se le deve intuire, immaginare o le deve presumere. Ci deve essere una norma che dice: se ti comporti così, commetti un reato. La Corte d’appello, nella prima sentenza, l’ha sottolineato chiaramente. Dopodiché, sei mesi dopo, senza che una legge in merito sia arrivata, ha cambiato idea. E perché mai ? Perché arrivano le intercettazioni e il materiale da Torino? Poco cambia, se non c’è la norma, il problema non è risolto. Tanto è vero che il ministro Andrea Abodi ha dichiarato ancora in questi giorni che “dobbiamo fare una legge”. E dunque, se si deve fare una legge per vietare queste cose, allora vuol dire che fino ad oggi non c’è nulla che dica che questa prassi è una prassi illecita».

Secondo lei come andrà a finire?

«Non lo so proprio. Si figuri che io ero convinto che non sarebbe stata accolta la richiesta di revocazione... Però attenzione: se vengono lesi diritti fondamentali, anche i tesserati possono rivolgersi al giudice ordinario per chiedere i danni. Io sono convinto che se dovesse essere confermata questa sentenza probabilmente la Juventus perseguirebbe questa strada e si rivolgerebbe al Tar per essere risarcita del danno. Se un domani il giudice ordinario italiano o la Corte di Giustizia europea dovessero sanzionare la Figc per un danno arrecato, beh, questo segnerebbe la perdita di credibilità della Giustizia Sportiva. Questo processo, storico per la Juventus, forse porterà a una riforma di questo ordinamento. Me lo auguro. Il luogo comune del fare presto e in fretta perché lo spettacolo-calcio deve continuare può andar bene se dobbiamo discutere la partita, il fallo, l’ammonizione... Ma quando cominciamo a parlare di processi penali modello Calciopoli o plusvalenze, come questo, quel tipo di giustizia brutalmente spicciola non può funzionare. Infatti la gente è sconcertata, non comprende la disparità di trattamento».

I tifosi potrebbero fare qualcosa? Magari una class action?

«È interessante da pensare. Altro non immagino che possa accadere: non c’è una modalità di intervento del tifoso nel procedimento penale o sportivo. Ma appunto si può pensare, in un futuro, alla possibilità di una class action di tifosi che si ritengono danneggiati da un provvedimento disciplinare iniquo e chiedono il risarcimento dei danni lamentando e portando le prove. Potrebbe essere un ulteriore sviluppo di questa vicenda».

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TORINO - «Io sono un avvocato penalista e sono milanista. Calcisticamente la Juventus la detesto. Però la stranezza di questa storia mi ha molto colpito. Per diversi motivi».

Prego, avvocato Cataldo Intrieri. Ci dica il primo.

«La storia della Juventus mi è sembrata emblematica di un clima che c’è nel Paese, di un modo di vivere la giustizia molto spiccio, giustizialista. Il sospetto esso stesso diventa una prova».

Così come le intercettazioni.

«Sono il grande tema, sì. Un tema comune a tutta la giustizia italiana, dibattutissimo. Io la penso come il ministro Carlo Nordio: le intercettazioni devono essere un mezzo che serve a cercare le prove dirette, non una prova di qualcosa che invece deve essere accertato. In questa vicenda della Juve, se è vero come è vero, che un processo archiviato è stato riaperto sulla base di brandelli di intercettazioni arrivate dalla Procura di Torino, beh... E peraltro, so che scandalizzerò qualcuno, ma non ritengo neanche che le intercettazioni in questione abbiano questo grande valore di autoconfessione: ci sono rimandi, mezze ammissioni. Nulla di più».

Chiaramente su sponda bianconera si pone anche l’accento sulle conversazioni in cui ad esempio Bertola e Cherubini si dicono sereni perché non c’è dolo.

«Certo. Infatti spieghiamo, perché molti non sanno come funzionano le intercettazioni in Italia: quelle che noi abbiamo, sono solo quelle che ha scelto la procura di Torino per sostenere la propria accusa. Secondo la legge infatti, alla fine delle indagini, la Procura sceglie le intercettazioni che ritiene utili alla sua tesi mentre deposita tutte le altre in un archivio che la difesa può consultare senza poterne fare copia, mettendosi ad ascoltare in una sala audio, e indicando lei eventualmente quali intercettazioni siano di suo interesse. Si tratta di atti di una inchiesta magari durata mesi o anni che gli inquirenti conoscono a menadito; invece i difensori si vedono piombare all’improvviso una massa enorme di documenti che devono cercare di studiare piuttosto affannosamente in un periodo di tempo di circa una ventina di giorni. Ecco perché sostengo che l’uso amplificato e ampliato delle intercettazioni sia un primo punto poco convincente. E c’è un altro aspetto paradossale...».

Prego.

«Le intercettazioni noi non sappiamo neanche se il giudice penale le userà. Perché in teoria funziona così: il Pubblico Ministero presenta le prove al giudice dell’udienza preliminare, il quale potrebbe anche estrometterle. Mettiamo per esempio che alcune intercettazioni manchino di decreti autorizzativi che il Gip deve emettere su richiesta del Pm. Sarebbero inutilizzabili. In sostanza, dunque, per la richiesta di revocazione presso la Corte federale d’Appello sono state usate prove che ancora non si sa se saranno valide nel processo penale. Oltretutto se non si utilizzassero gli elementi di prova del procedimento ordinario si potrebbe far leva sul fatto che la Giustizia Sportiva ha regole specifiche, ma se si utilizzano elementi di prova dalle indagini fatte con il rito penalistico ordinario mi sembra difficile che si possa invocare l’autonomia».

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