Juventus, la verità sulla fattura «corretta a penna»

La Corte d'Appello Federale scrive nelle motivazioni che c'erano fatture «corrette a penna», ma è davvero così?

TORINO - «In questa direzione, diventano rilevanti le operazioni di nascondimento operate da alcuni dirigenti della FC Juventus S.p.A. che si sono spinte sino ad intervenire correggendo “a penna” le fatture ricevute dalla controparte». Questa parte delle motivazioni della Corte d'Appello Federale che ha fatto scalpore sul Web e sui social, perché dalle parole usate dal giudice Torsello sembra emergere una violazione tanto clamorosa quanto grossolana: correggere a penna una fattura che ha poi un suo tracciamento elettronico è un'azione che può far sorridere. Ma davvero i dirigenti della Juventus hanno «sbarratto e riscritto» la fattura? No.

La verità

Il Marsiglia spedisce la fattura per l'operazione Akè/Tongya e ci sono due problemi. Il primo è l'indirizzo sbagliato della sede della Juventus (Corso Galileo Ferraris 32, dove la palazzina che ospitava la sede bianconera fino a qualche anno fa è in fase di radicale ristrutturazione), il secondo è la modalità con cui il Marsiglia compila la causale, scrivendo «compensazione», la Juventus non può registrare l'operazione come «permuta» tra i due giocatori, per la quale non esiste la fattispecie, quindi rispedisce la fattura correggendo l'indirizzo e scrivendo un appunto nel quale chiede di ricompilare la fattura non facendo riferimento alla compensazione. Per i giudici questo è il chiaro indizio del fatto che i dirigenti juventini volevano «evitare che potesse essere compreso all’esterno che l’operazione era effettivamente di mero scambio (cioè permuta) e non certo composta da atti indipendenti». Insomma, per non dare nell'occhio, visto che - secondo la Corte - si trattava di una plusvalenza fittizia. Ma in tutto questo la fattura è stata riemessa, con l'indirizzo giusto e la dicitura richiesta dalla Juventus, quindi regolarmente registrata e non «corretta a penna».

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