Pagina 2 | Gandhi: “Tifo Juve e soffro per i guai che sta passando”

(e.e.) La lunga marcia di Rahul Gandhi. Tra impegno sociale e riscoperta delle proprie radici. Un viaggio interiore, anche. Perché conoscendo se stessi, poi, puoi provare a conoscere gli altri. Gandhi. Un nome che evoca il passato. Gloria e tragedie, imprese e lacrime. Rahul che parte a settembre per capire la sua India, come fece un tempo Mahatma Gandhi (zero parentela, ma il bisnonno di Rahul, il Pandit Nehru, fu seguace della Grande Anima nonché padre della Nazione). Rahul che parla ai media e rivela il suo lato tricolore. E bianconero. Lo fa in una bellissima intervista di Aldo Cazzullo sul Corriere.  Rahul, per chi non lo sapesse, è figlio di Sonia Maino e Rajiv Gandhi, Primo Ministro dall’84 all’89, ucciso in un attentato nel ‘91 dalle Tigri Tamil. Rahul è nipote di Indira che governò a lungo, prima e unica donna della storia del Grande Paese; nonna erede, anche politica, appunto del Pandit Nehru, e pure lei uccisa, dalle sue due guardie del corpo Sikh. Rahul ha vissuto tutto questo, il potere e il lutto. E si è rimesso in gioco, a 52 anni.

Radici a Orbassano

Nella lunga intervista, parla dei motivi che l’hanno indotto a... marciare, la Bharat Jodo Yatra, per unire l’India dall’Oceano Indiano alle nevi del Kashmir. Per dire: 3.500 chilometri a piedi. Tra affetto, forze incredibili negli occhi di chi si unisce e paura per la sicurezza non garantita. Rahul racconta anche il legame con l’Italia e con l’hinterland torinese. Perché la famiglia di mamma Sonia Gandhi (Maino all’anagrafe, in quanto figlia di Stefano Maino e Paola Predebon) aveva messo radici a Orbassano. E lì, a Orbassano, lo scorso agosto si sono svolti, con grande riservatezza proprio per la presenza di Rahul, i funerali di Paola. «Nonna Paolina: ero triste, ma tutti hanno cantato canzoni molto belle, che mi hanno dato conforto. Io ero il cocco della nonna indiana, e mia sorella Priyanka era la prediletta della nonna italiana. Ha vissuto 98 anni, le ero molto legato. Come lo sono a zio Walter, ai cugini, a tutta la famiglia».

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“Tifo Juventus”

Quella torinese. E quella indiana. Mamma Sonia è il perno della famiglia unita. Vedova, è scesa in campo (per venti anni ha guidato il Partito del Congresso) e ora appoggia Rahul. «Lei si preoccupa moltissimo per me», racconta. L’Italia è parte della sua vita, non solo di rimbalzo. «Ci sono tante cose dell’Italia che ammiro. La creatività. La passione. Il talento per la bellezza. Amo la musica italiana: Mina, ma anche le canzoni napoletane. Amo il calcio». Già. Non poteva che essere così. Calcio più di cricket. «Tifo Juve. E soffro per i guai che sta passando. Anche gli azzurri mi hanno deluso: dopo la vittoria agli Europei, mi aspettavo un gran Mondiale, invece… Come si fa a perdere con la Macedonia del Nord! Comunque in finale tifavo Argentina».

“Ripenso a mio nonno”

Preparato, Rahul. Anche sulle vittorie e sulle sconfitte della Nazionale di Roberto Mancini. Le origini italiane, mai celate. «Ripenso a mio nonno Stefano. Aveva combattuto in Africa e in Russia. Da piccolo gli chiedevo sempre di raccontarmi della guerra, e lui non mi rispondeva mai. Fino a quando un giorno mi mostrò un elmetto che usava come vaso, in cui era nata una pianta. Era l’elmetto del suo migliore amico, caduto in combattimento. La pianta era un modo per farlo rivivere. La generazione di mio nonno ha ricostruito l’Italia dopo la Seconda guerra mondiale, con un lavoro durissimo. Forse questa cosa è andata un po’ perduta, la capacità di soffrire. Prima parlavamo di passione. È una parola che ha in sé una carica di sofferenza. Lo struggle, il gusto della lotta. I giovani hanno molto altro, i social, la movida; ma questo un po’ manca. Oggi noi in India dobbiamo lottare contro l’odio e la violenza, per l’amore e la democrazia. Il Mahatma Gandhi ha incarnato un’idea antica nella storia dell’India: cercare la verità senza ricorrere alla violenza. È un’idea che abbiamo in comune con il cristianesimo. Cristo dice di porgere l’altra guancia».

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“Tifo Juventus”

Quella torinese. E quella indiana. Mamma Sonia è il perno della famiglia unita. Vedova, è scesa in campo (per venti anni ha guidato il Partito del Congresso) e ora appoggia Rahul. «Lei si preoccupa moltissimo per me», racconta. L’Italia è parte della sua vita, non solo di rimbalzo. «Ci sono tante cose dell’Italia che ammiro. La creatività. La passione. Il talento per la bellezza. Amo la musica italiana: Mina, ma anche le canzoni napoletane. Amo il calcio». Già. Non poteva che essere così. Calcio più di cricket. «Tifo Juve. E soffro per i guai che sta passando. Anche gli azzurri mi hanno deluso: dopo la vittoria agli Europei, mi aspettavo un gran Mondiale, invece… Come si fa a perdere con la Macedonia del Nord! Comunque in finale tifavo Argentina».

“Ripenso a mio nonno”

Preparato, Rahul. Anche sulle vittorie e sulle sconfitte della Nazionale di Roberto Mancini. Le origini italiane, mai celate. «Ripenso a mio nonno Stefano. Aveva combattuto in Africa e in Russia. Da piccolo gli chiedevo sempre di raccontarmi della guerra, e lui non mi rispondeva mai. Fino a quando un giorno mi mostrò un elmetto che usava come vaso, in cui era nata una pianta. Era l’elmetto del suo migliore amico, caduto in combattimento. La pianta era un modo per farlo rivivere. La generazione di mio nonno ha ricostruito l’Italia dopo la Seconda guerra mondiale, con un lavoro durissimo. Forse questa cosa è andata un po’ perduta, la capacità di soffrire. Prima parlavamo di passione. È una parola che ha in sé una carica di sofferenza. Lo struggle, il gusto della lotta. I giovani hanno molto altro, i social, la movida; ma questo un po’ manca. Oggi noi in India dobbiamo lottare contro l’odio e la violenza, per l’amore e la democrazia. Il Mahatma Gandhi ha incarnato un’idea antica nella storia dell’India: cercare la verità senza ricorrere alla violenza. È un’idea che abbiamo in comune con il cristianesimo. Cristo dice di porgere l’altra guancia».

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