Rabiot esclusivo: "Juve, qui sto bene e posso restare"

Intervista al centrocampista bianconero nel ritiro della Francia a Clairefontaine: "Chiamatemi pure Cavallo Pazzo, mi piace il soprannome. Possiamo andare in Champions anche con il -15"

Nella meravigliosa quiete della campagna francese, a 50 km a sud di Parigi, dove gli alberi della massiccia foresta del Rochefort riempiono occhi e fantasia, la Francia vicecampione del mondo prepara le prime due partite per la qualificazione agli Europei del 2024: venerdì allo Stade de France contro l’Olanda e lunedì in casa dell’Irlanda. Nel magnifico centro federale Fernand Sastre si lavora agli ordini del ct Deschamps per voltar pagina e cancellare la rabbia dopo avere perso in Qatar il Mondiale, ai rigori, contro l’Argentina. Clairefontaine è una delle dodici accademie "d'élite" situate nel territorio, supervisionate dalla Federazione calcistica francese per fra crescere al meglio e monitorare i futuri talenti. Qui ieri Tuttosport ha incontrato Adrien Rabiot, pilastro della Francia ma anche della Juventus di Massimiliano Allegri. E il tecnico livornese per il transalpino ha una predilezione quasi ostentata, gli “garba” - come direbbe lui - ricordare che si tratta di un giocatore con un motore superiore alla media, con una cilindrata maggiorata, grazie alla quale strappa in mezzo al campo infilando progressioni irresistibili ora che negli ultimi tempi ha deciso di verticalizzare di più. Sarà anche per questo, forse, che a due terzi della stagione, ha già stabilito il suo nuovo primato di gol stagionali, a un passo dalla doppia cifra. Ecco come racconta il suo passato, come vive il presente e cosa pensa per il futuro. Parole pensate con attenzione e dette con un garbo e una educazione non frequenti in questo mondo del pallone.

Adrien, partiamo dall'inizio, da quando era bambino. Dove e per quanto tempo ha giocato a pallone?

«Ho iniziato più o meno a sei anni in un club a Creteil, maglia biancoblù, nella periferia di Parigi e da lì è iniziato tutto. Poi sono andato in Inghilterra con uno dei miei fratelli e mia mamma, ho giocato meno di un anno, per poi tornare in Francia: avevo 13 anni. A livello contrattuale c’è stato qualche problema e siamo tornati nel nostro Paese, prima a Pau dove giocavo nel week end e in settimana nel centro d’addestramento della zona dei Pirenei il cui direttore era Stopira. Un anno e mezzo e poi sono tornato a Parigi dove a 15 anni mi ha preso il Psg».

Per quale squadra tifava e chi erano i suoi idoli?

«Mi piaceva tanto il Liverpool perché ero un fan di Steven Gerrard che mi faceva sognare e quindi seguivo i Reds. L’altro mio idolo era Zidane».

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Ha sempre giocato a centrocampo o ha iniziato in un'altra posizione, con un altro ruolo?

«Quando ero più piccolo mi mettevano più alto, come dieci, dietro l’attacco, una sorta di fantasista. Poi mezzala classica, ma mi piace essere un giocatore offensivo, avverto che questa è la mia indole».

La chiamano Cavallo Pazzo, e si ha l'impressione che questo soprannome le piaccia... Il video di lei con la maschera da cavallo è stato un successo sui social... Ma ha mai fatto cose davvero folli nella sua vita?

«Strano che mi sia stato affibbiato questo soprannome, ma in effetti mi piace molto. Io in realtà sono un ragazzo tranquillo e sereno. Ma sul campo mi trasformo e in effetti mi piace il paragone col cavallo che è un animale che corre libero, robusto ed elegante».

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Alla Juventus, dopo quattro anni, è diventato uno dei pilastri. Qual è la particolarità di questo club rispetto agli altri?

«La particolarità è che la base è sempre e comunque il lavoro e questo mi piace perché io ho sempre cercato di lavorare duro e applicarmi, questa è la vera ragione che mi ha fatto arrivare dove sono. Il lavoro per me è alla base di tutto e per questo la Juventus è un’altra realtà, rispetto a tutti gli altri club. Non ho conosciuto altre società italiane, ma non penso che ce ne siano altre come la Juventus».

Come vede il suo futuro e quando penserà di parlarne?

«Per il momento non ci sono novità, ma sicuramente parleremo presto, perché tra circa due mesi la stagione sarà finita e proveremo a discutere, ma io sono tranquillo. C’è la possibilità di andare via ma anche la possibilità di firmare un altro contratto con la Juve per tutte quelle ragioni che ho spiegato prima. Mi sento bene a Torino, faccio un bel lavoro nel club e c’è un buon rapporto coi dirigenti, i compagni e l’allenatore. Anche lui mi ha aiutato in due anni oltre a darmi molta fiducia. Credo che tutto questo sia importante per stare bene e quindi fare la scelta giusta per il mio futuro».

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In cosa vuole migliorare come centrocampista?

«Già a livello dei numeri, le statistiche raccontano che sto migliorando molto. Ci sono altri aspetti in cui potrò fare meglio, come i lanci lunghi. Ho comunque mostrato di essere un giocatore completo, ma sicuramente posso fare ancora di più e alzare il livello di ciò che già adesso penso di fare bene. Quando ci riuscirò, allora quelle mie giocate diventeranno ancora più determinanti»

Quanta voglia di vincere si respira nello spogliatoio della Juventus e cosa provate durante il cerchio magico, quando vi abbracciate a centrocampo pochi secondi prima che la partita prenda inizio?

«Posso confermare che nel gruppo c’è davvero tanta voglia di vincere, anche perché è lo spirito storico della Juventus. Io ho vinto tanto prima di venire a Torino e giocare nella Juve ma la Juve ha vinto tantissimo anche prima che arrivassi io. Il Dna del club è chiaro, e tutti vogliamo averlo per riuscire poi a trasmetterlo a chi arriverà. Del resto è quello che è successo a me, quando ho cominciato a vestire la maglia della Juventus. È vero, stiamo vivendo una stagione complicata per tutte le ragioni che sono note, ma io credo che nonostante questo, noi si sia in grado di vincere l’Europa League e anche la Coppa Italia. Anzi, a dirla tutta, posso anche dire che riuscirci in queste condizioni ci regalerebbe una soddisfazione ancora maggiore».

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Lei crede nella qualificazione alla Champions League passando solo dal campionato oppure ritiene che sarebbe meno complicata la via, attraverso la conquista dell’Europa League?

«Senza i 15 punti è sicuro che riusciremmo a centrare la qualificazione per la competizione internazionale più importante. Ma sinceramente, per come stiamo andando in questa seconda parte della stagione, e tenendo conto della forza di questo gruppo, io dico che potremmo qualificarci anche se dovesse restare la penalizzazione. Io ci credo, per me noi adesso siamo secondi perché è quello che dice il campo e la squadra ha la forza per mettere pressione a chi è davanti. Se poi dovessimo vincere l’Europa League allora la qualificazione sarebbe automatica come si sa».

La sua Juventus è in corsa anche per la Coppa Italia. Crede al successo finale e come ha visto l’Inter che avete battuto domenica sera con pieno merito al Meazza?

«Se devo dire la verità, l’impressione che ho ricavato domenica è di una squadra meno forte di quella che abbiamo sfidato all’andata a Torino. Mi è sembrata meno forte anche di quella dell’anno scorso e di due stagioni fa. Ho avuto la sensazione che loro provassero meno sicurezza. Del resto in questo campionato hanno perso molte partite».

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Domenica lei ha giocato una ottima partita servendo anche l’assist a Kostic per la rete decisiva. In realtà, poi, molti commenti hanno puntato sul suo presunto tocco di mano precedente al passaggio finale. Anche in Francia si sarebbe alzato tutto questo maremoto mediatico?

«Direi proprio di no... In Italia ho capito che è sempre così, quando c’è qualcosa che può far discutere, se ne parla tanto e per tanto tempo. Da noi invece un po’ meno, ma lo capisco perché in Italia il calcio è vissuto quasi come una religione e quindi rappresenta una parte molto importante per la vita delle persone che lo seguono e sono tifosi. Per cui posso comprendere il motivo per cui da voi si parla così a lungo di tutto ciò che avviene sul terreno di gioco».

Siete ai quarti di finale di Europa League, possiamo dire che vincere questo trofeo è al momento l'obiettivo prioritario della vostra stagione?

«Siamo concentrati su tutti i fronti e chiaramente questo trofeo è qualcosa che proveremo a conquistare».

Vi considerate favoriti in Europa League?

«La squadra favorita no perché ci sono ancora tante buone formazioni forti, ma ci teniamo a realizzare qualcosa di importante. Se guardo indietro a queste ultime settimane e penso alle nostre prestazioni, non posso che essere fiducioso sia per la conquista dell’Europa League sia della Coppa Italia».

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Per alzare la Coppa Italia bisognerà innanzitutto battere l’Inter nella semifinale di andata e ritorno che si giocheranno nel prossimo mese di aprile. Crede che la Juve sia favorita rispetto ai nerazzurri?

«Beh, se guardiamo cosa ha detto il campo in questa stagione, allora ecco che dobbiamo evidenziare la nostra vittoria a Torino e poi quella recente a casa loro. Quindi dal punto di vista puramente psicologico, questo può rappresentare un piccolo vantaggio. Comunque se prendiamo la nostra rosa e la loro, vediamo che i valori sono abbastanza simili».

Ha due fratelli maggiori che sono sempre con lei, a Torino, allo stadio... in vacanza... sua madre è anche la tua consulente sportiva: quanto è importante la famiglia nella vita di Adrien?

«La risposta è molto semplice. Per me loro e quindi la famiglia non sono importanti, ma fondamentali per stare bene e quindi giocare al meglio e vivere serenamente».

Quali sono i vantaggi di avere una madre che fa anche da consulente sportiva?

«Diciamo che dipende dal tipo di rapporto che si ha. Non tutti possono per esempio avere la mamma come proprio agente. Noi abbiamo un rapporto molto stretto anche perché abbiamo avuto problemi famigliari in passato che ci hanno unito ancora di più. Loro sono il mio autentico pilastro. Con mia mamma sappiamo dividere al meglio il nostro rapporto personale da quello invece professionale e sportivo. Non è da tutti».

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Qual è il giocatore che l'ha impressionata di più in Serie A in questi quattro anni in cui la sta frequentando?

«Direi che per questa stagione non ho nessun dubbio nell’indicare Osimhen. L’attaccante del Napoli sta facendo davvero bene e devo dire che è migliorato tantissimo anche rispetto alla passata annata e rispetto a quando giocava in Francia nel Lille, si vedeva che aveva tantissimo potenziale ma solo ora le sta esprimendo al massimo. È davvero esploso. Quando sono arrivato, invece, il calciatore che mi aveva colpito di più era Dybala: Paulo ha colpi eccezionali che possono fare la differenza».

Cosa le piace di Massimiliano Allegri? Ogni volta in cui deve parlare di lei spende tantissimi elogi.

«Io credo che Allegri abbia davvero tantissime qualità. Secondo me innanzitutto sa gestire molto bene il gruppo e a volte si rivolge ai giocatori come un padre. Ha la qualità di saper parlare al meglio con tutti i componenti della rosa, comprendendone anche le caratteristiche psicologiche. Poi è fantastico per come sa incoraggiare tutto il gruppo. Anche nei momenti di massima difficoltà o pressione, lui sa sempre trovare le parole giuste con il tono giusto. Ci incita a non mollare mai ed è capace a mascherare sempre l’eventuale tensione che può provare».

Dopo quattro anni vissuti in Italia avrà imparato a conoscere i nostri pregi e i nostri difetti. Cosa le piace soprattutto del popolo italiano?

«Sarà che io sono francese e quindi ho una visione diversa dalla vostra ma io vi trovo molto calorosi. Molto di più, per esempio, dei francesi».

Quali sono i suoi hobby preferiti?

«Adoro guardare molte trasmissioni che fanno vedere lo sport in diretta. Dalla lotta della Mma, al tennis, e l’atletica. Mi piace perché adoro lo sport e mi aiuta anche per capire e prendere spunto su eventuali movimenti che posso poi trasportare nel calcio».

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Nella meravigliosa quiete della campagna francese, a 50 km a sud di Parigi, dove gli alberi della massiccia foresta del Rochefort riempiono occhi e fantasia, la Francia vicecampione del mondo prepara le prime due partite per la qualificazione agli Europei del 2024: venerdì allo Stade de France contro l’Olanda e lunedì in casa dell’Irlanda. Nel magnifico centro federale Fernand Sastre si lavora agli ordini del ct Deschamps per voltar pagina e cancellare la rabbia dopo avere perso in Qatar il Mondiale, ai rigori, contro l’Argentina. Clairefontaine è una delle dodici accademie "d'élite" situate nel territorio, supervisionate dalla Federazione calcistica francese per fra crescere al meglio e monitorare i futuri talenti. Qui ieri Tuttosport ha incontrato Adrien Rabiot, pilastro della Francia ma anche della Juventus di Massimiliano Allegri. E il tecnico livornese per il transalpino ha una predilezione quasi ostentata, gli “garba” - come direbbe lui - ricordare che si tratta di un giocatore con un motore superiore alla media, con una cilindrata maggiorata, grazie alla quale strappa in mezzo al campo infilando progressioni irresistibili ora che negli ultimi tempi ha deciso di verticalizzare di più. Sarà anche per questo, forse, che a due terzi della stagione, ha già stabilito il suo nuovo primato di gol stagionali, a un passo dalla doppia cifra. Ecco come racconta il suo passato, come vive il presente e cosa pensa per il futuro. Parole pensate con attenzione e dette con un garbo e una educazione non frequenti in questo mondo del pallone.

Adrien, partiamo dall'inizio, da quando era bambino. Dove e per quanto tempo ha giocato a pallone?

«Ho iniziato più o meno a sei anni in un club a Creteil, maglia biancoblù, nella periferia di Parigi e da lì è iniziato tutto. Poi sono andato in Inghilterra con uno dei miei fratelli e mia mamma, ho giocato meno di un anno, per poi tornare in Francia: avevo 13 anni. A livello contrattuale c’è stato qualche problema e siamo tornati nel nostro Paese, prima a Pau dove giocavo nel week end e in settimana nel centro d’addestramento della zona dei Pirenei il cui direttore era Stopira. Un anno e mezzo e poi sono tornato a Parigi dove a 15 anni mi ha preso il Psg».

Per quale squadra tifava e chi erano i suoi idoli?

«Mi piaceva tanto il Liverpool perché ero un fan di Steven Gerrard che mi faceva sognare e quindi seguivo i Reds. L’altro mio idolo era Zidane».

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