Oggi, il Consiglio d’Amministrazione misurerà la febbre alla Juventus. E non è detto che i conti del club stiano così male. È vero, verrà approvato un bilancio in rosso per 115 milioni di euro (2022-23), ma si registra una certa calma, nonostante la prospettiva che anche il prossimo esercizio (2023-24) faccia registrare un passivo simile o pure leggermente peggiore. Ma questo dovrebbe accadere esclusivamente per la mancata partecipazione alla Champions League (quella che, ironia della sorte, inizia proprio oggi) e non per problemi gestionali.
Certo, la Juventus di Gianluca Ferrero, che presiederà un CdA delicato dopo le tempeste giudiziarie, dovrà continuare sulla strada intrapresa due estati fa: abbattere i costi legati alla gestione dei giocatori (monte ingaggi e ammortamenti dei cosiddetti cartellini), cercando di mantere alta la competitività, perché è altrettanto importante, anzi esiziale, che la Juventus non manchi la qualificazione alle prossime due edizioni della Champions League. Insomma, il club è solo a metà di un percorso per raddrizzare i conti, i cui risultati tuttavia si iniziano ad apprezzare e che tiene sotto controllo l’ansia degli amministratori bianconeri (pur imponendo responsabilità importanti ad Allegri).
La "dieta" della Juventus: mercato e abbassamento del monte ingaggi
D’altronde è dall’estate del 2021 che la Juventus ha operato un progressivo ricambio generazionale della rosa, abbassando monte ingaggi e ammortamenti, operando sul calciomercato con l’obiettivo di spendere quanto si incassa o anche meno: la strada è ancora abbastanza lunga, ma è quella giusta e, senza imprevisti, nell’arco di tre anni, la Juventus potrà di nuovo ambire all’equilibrio di bilancio. Questo scenario, consolidato da un’estate senza follie e passata più a vendere che comprare, viene osservato e apprezzato dalle banche, tant’è che la Juventus si prepara a rifinanziare il bond da 170 milioni, in scadenza nel primo trimestre del 2024, utilizzando le linee di credito a disposizione del club (con la viva speranza che i tassi tornino ad abbassarsi, quantomeno avvicinando il costo del rifinanziamento a quel 3,4% del bond in scadenza).