Otto mesi dopo l’addio al Tottenham, Antonio Conte ha acceso la vigilia di Juventus-Inter, lasciando intendere come abbia cominciato a guardarsi intorno, in cerca di una nuova esperienza «che mi possa ridare le emozioni che cerco». Una giornata di festa, dedicata agli studenti per raccontare la sua esperienza lavorativa nel mondo del calcio. Più di 700 persone tra laureandi, addetti ai lavori e non hanno seguito con attenzione le indicazioni del “professor” Conte intervenuto presso l’aula magna di Giurisprudenza (dipartimento Scienze Giuridiche di UniSalento) ad un evento organizzato dai corsi di laurea di Diritto e Management dello Sport e di Scienze Motorie e dello Sport, con la cattedra di Giuseppe Palaia (ex medico sociale dell’US Lecce).
L’allenatore salentino (accompagnato in Università dalla moglie Elisabetta, il fratello Gianluca e dai genitori) ha parlato, poi, del suo futuro rispondendo ad una domanda di uno studente che chiedeva di un suo possibile ritorno alla Juventus. Conte, sorridendo, ha spiegato: «I matrimoni si fanno sempre in due, puoi sognare e sperare di sposarti un’altra volta. Quello che conta è che ci sia condivisione di pensiero. Adesso voglio vivere a pieno il mio tempo libero, continuando a studiare per ampliare le mie conoscenze».
Le parole di Conte
L’ex ct della Nazionale italiana ha raccontato i suoi primi passi da bianconero: «Ho avuto l’onore d’incontrare Trapattoni e probabilmente se non lo avessi trovato, non sarei rimasto per 13 anni alla Juventus. Prima di andare a Torino era tutto perfetto, giocavo nella squadra della mia città ed ero con i miei amici. Poi ci sono momenti in cui bisogna fare delle scelte. Quell’anno la Juventus non giocava le Coppe e durante la settimana organizzavano delle partite amichevoli internazionali. In Francia, contro il Monaco, giocai per la prima volta titolare e perdemmo per un mio errore. Quello sbaglio lo ricorderò per sempre, fu un mio fallimento. Una parte del percorso. Lì capii tante cose perché quel momento mi fortificò. Trapattoni mi aiutò tantissimo. Il primo anno a Torino non giocai molto e i primi mesi furono difficili. Fu un rischio perché uscivo dalla zona di comfort della mia città. Spesso mi chiedevo se fosse la scelta giusta ma non volevo tornare da sconfitto. Questo mi ha motivato tantissimo a continuare, a non darmi per vinto».