Il lato più evidente della crisi bianconera sono i gol subiti: 12 nelle prime 21 giornate, poi 11 in sette partite, prima dello 0-0 col Genoa. Al di là di diverse disattenzioni singole sugli episodi, c’è qualcosa che ha smesso di funzionare?
«L’avere l’obbligo della vittoria e l’avere affrontato squadre che le lasciavano l’iniziativa ha portato la Juve ad alzare il suo baricentro. Mentre nelle prime 21 partite la squadra faceva un gioco più speculativo, nelle ultime 8 partite ha alzato baricentro e pressing: le pressioni nella metà campo avversaria sono passate dal 42% al 50% e l’indice Ppda (indicatore di quanti passaggi durano i fraseggi avversari prima di un intervento difensivo) è passato da 13,3 a 11,8. Aspettare con il baricentro basso e ripartire agevolava la Juve nel trovare le sue giocate nelle ripartenze, cosa che ora invece non riesce più a sviluppare, ma la aiutava anche a difendersi. Ultimamente invece ha trovato molte squadre piccole, si è sbilanciata di più e ha lasciato più campo alle spalle della difesa, che gli avversari hanno potuto sfruttare per ripartire. Ossia fare quello che di solito ama fare la Juve».
Ecco, un altro aspetto degno di nota sono proprio le difficoltà incontrate dalla Juve quando ha dovuto prendere l’iniziativa.
«Sì, la Juve ha fatto fatica soprattutto contro le piccole, che le hanno lasciato campo. In queste situazioni dovrebbero venir fuori linee di fraseggio, invece contro il Genoa i giocatori che hanno fatto più passaggi sono stati i tre difensori e Locatelli, con grande scarto sul resto dei centrocampisti e sugli attaccanti. Chiaro segnale di un problema nel verticalizzare e velocizzare la manovra contro squadre chiuse: i difensori giocanto tra loro in orizzontale e anche Locatelli non riesce a dare l’aumento di efficacia e verticalità che servirebbe (e anche questo ha influito sul rallentamento del ritmo di cui parlavamo prima)».