Pagina 2 | Juve, la spalla ideale di Vlahovic c’è già: “È più adatto da sottopunta”

Quando il calendario si fa duro... la Juve potrebbe ricominciare a giocare e vincere. È una delle riflessioni che emergono dall’analisi della crisi bianconera che abbiamo fatto con Adriano Bacconi, precursore dell’analisi tattica in tv, collaboratore tra gli altri di Marcello Lippi e oggi figura centrale di House of calcio: «un canale di solo calcio su youtube, twitch, instagram e tik-tok, live dal lunedì al venerdì dalle 19 alle 23 nelle settimane in cui ci sono i campionati. Tutti i format sono basati sull’analisi dei dati che la mia azienda Math & Sport produce per la Lega di Serie A, che li fornisce durante le partite a tutti gli allenatori di Serie A attraverso un apposito tablet».

Ventuno giornate a ritmo Scudetto, otto a ritmo salvezza tranquilla: che è successo alla Juve?

«La cosa più evidente è la differenza di passo della Juve tra il girone d’andata e questo scorcio del girone di ritorno: la Juve va più piano. Nel girone d’andata la squadra di Allegri aveva un’andatura media, sia in fase di possesso che di non possesso, sempre superiore all’avversario. Una capacità frutto sicuramente della condizione fisica e probabilmente anche della fame, dell’unità di intenti, dello spirito di rivalsa rispetto all’anno scorso. Questo ritmo è cambiato in questa parte del girone di ritorno: venendo meno questo gap di intensità agonistica e di corsa rispetto agli avversari, la Juve non è riuscita a fare la differenza attraverso organizzazione e qualità collettive. Nell’ultima partita, ad esempio, la Juve ha avuto la stessa velocità media del Genoa in fase di non possesso (entrambe 9,3 chilometri all’ora nel primo tempo; 8,8 i bianconeri e 8,9 i rossoblù nel secondo) e nel primo tempo in fase di possesso (entrambe 8,8 km/h), marcando una differenza solo in fase di possesso nella ripresa (ancora 8,8 km/h i bianconeri, 8,2 i rossoblù)».

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Il lato più evidente della crisi bianconera sono i gol subiti: 12 nelle prime 21 giornate, poi 11 in sette partite, prima dello 0-0 col Genoa. Al di là di diverse disattenzioni singole sugli episodi, c’è qualcosa che ha smesso di funzionare?

«L’avere l’obbligo della vittoria e l’avere affrontato squadre che le lasciavano l’iniziativa ha portato la Juve ad alzare il suo baricentro. Mentre nelle prime 21 partite la squadra faceva un gioco più speculativo, nelle ultime 8 partite ha alzato baricentro e pressing: le pressioni nella metà campo avversaria sono passate dal 42% al 50% e l’indice Ppda (indicatore di quanti passaggi durano i fraseggi avversari prima di un intervento difensivo) è passato da 13,3 a 11,8. Aspettare con il baricentro basso e ripartire agevolava la Juve nel trovare le sue giocate nelle ripartenze, cosa che ora invece non riesce più a sviluppare, ma la aiutava anche a difendersi. Ultimamente invece ha trovato molte squadre piccole, si è sbilanciata di più e ha lasciato più campo alle spalle della difesa, che gli avversari hanno potuto sfruttare per ripartire. Ossia fare quello che di solito ama fare la Juve».

Ecco, un altro aspetto degno di nota sono proprio le difficoltà incontrate dalla Juve quando ha dovuto prendere l’iniziativa.

«Sì, la Juve ha fatto fatica soprattutto contro le piccole, che le hanno lasciato campo. In queste situazioni dovrebbero venir fuori linee di fraseggio, invece contro il Genoa i giocatori che hanno fatto più passaggi sono stati i tre difensori e Locatelli, con grande scarto sul resto dei centrocampisti e sugli attaccanti. Chiaro segnale di un problema nel verticalizzare e velocizzare la manovra contro squadre chiuse: i difensori giocanto tra loro in orizzontale e anche Locatelli non riesce a dare l’aumento di efficacia e verticalità che servirebbe (e anche questo ha influito sul rallentamento del ritmo di cui parlavamo prima)».

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Il calendario che da ora in avanti sarà più difficile, in termini di valore delle avversarie, potrebbe dunque essere paradossalmente un aiuto?

«Secondo me sì. La Juve con questa gestione di Allegri ha mostrato di non essere molto flessibile, di non avere molte alternative: quando l’avversario si chiude la soluzione è il cross per Vlahovic, spesso neanche dal fondo. Di giocatori che sanno veramente costruire gioco nella formazione bianconera ci sono un po’ Miretti, un po’ Rabiot e Cambiaso. Gli altri sono o incursori o giocatori che puntano sul duello: mancano quelli che giocano per gli altri e per creare spazi. Il Bologna, dove tutti si scambiano posizione, è l’esempio opposto: basta guardare Vlahovic, che presidia lo spazio e gioca sul duello, e Zirkzee che non sai mai dov’è ed è il primo a creare spazio. Poi su questo tipo di difficoltà ha inciso anche la scelta di Allegri di giocare senza un vero organizzatore di gioco, rinunciando ad Arthur e Paredes: Locatelli non è un play, ma un interditore e potenzialmente un incursore se giocasse mezzala. Gli manca quella visione, quella velocità e imprevedibilità nel passaggio che un vero play dovrebbe avere. Contro squadre di livello più alto, per tornare al calendario, che giocano alla pari, ma ti fanno anche giocare e ti lasciano degli spazi, la Juve può ritrovare più facilmente il suo dna e trovare i varchi per “accendere” le sue mezzali».

Uno dei temi più dibattuti è la posizione di Chiesa: cosa indicano i vostri dati?

«Nonostante giochi seconda punta, tende sempre a defilarsi molto a sinistra. Questo partire dal centro e allargarsi lo porta a tirarsi dietro l’avversario e spesso a ricevere andando incontro, spalle alla porta e quindi dovendo girarsi anziché puntare l’uomo. Così perde il vantaggio di giocare vicino a Vlahovic e il vantaggio di essere vicino alla porta, e al tempo stesso non guadagna il vantaggio in termini di spazio che potrebbe avere partendo subito largo».

Chi potrebbe essere la spalla ideale di Vlahovic?

«Vlahovic riesce comunque a essere pericoloso, per la capacità che ha di vincere i duelli: essendo bravo anche spalle alla porta, se avesse vicino un giocatore per fare l’uno-due o liberare il terzo uomo, secondo me sarebbe sfruttato meglio. Yildiz per me in questo senso ha caratteristiche migliori, perché sta più vicino all’area e la punta di più di Chiesa, è più adatto a giocare da sottopunta, mentre con Chiesa si dovrebbe passare al 4-3-3. Modulo che però accentuerebbe la mancanza di un regista, perché verrebbe meno l’aiuto al centrocampo dei braccetti difensivi che la Juve invece sfrutta molto bene, e sarebbero ancora più necessari gli scambi di posizione, ad esempio con una mezzala quando il regista è mancato: troppe cose in poco tempo. La Juve ora deve pensare a ritrovare compattezza dietro e velocità nelle giocate verticali».

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Il lato più evidente della crisi bianconera sono i gol subiti: 12 nelle prime 21 giornate, poi 11 in sette partite, prima dello 0-0 col Genoa. Al di là di diverse disattenzioni singole sugli episodi, c’è qualcosa che ha smesso di funzionare?

«L’avere l’obbligo della vittoria e l’avere affrontato squadre che le lasciavano l’iniziativa ha portato la Juve ad alzare il suo baricentro. Mentre nelle prime 21 partite la squadra faceva un gioco più speculativo, nelle ultime 8 partite ha alzato baricentro e pressing: le pressioni nella metà campo avversaria sono passate dal 42% al 50% e l’indice Ppda (indicatore di quanti passaggi durano i fraseggi avversari prima di un intervento difensivo) è passato da 13,3 a 11,8. Aspettare con il baricentro basso e ripartire agevolava la Juve nel trovare le sue giocate nelle ripartenze, cosa che ora invece non riesce più a sviluppare, ma la aiutava anche a difendersi. Ultimamente invece ha trovato molte squadre piccole, si è sbilanciata di più e ha lasciato più campo alle spalle della difesa, che gli avversari hanno potuto sfruttare per ripartire. Ossia fare quello che di solito ama fare la Juve».

Ecco, un altro aspetto degno di nota sono proprio le difficoltà incontrate dalla Juve quando ha dovuto prendere l’iniziativa.

«Sì, la Juve ha fatto fatica soprattutto contro le piccole, che le hanno lasciato campo. In queste situazioni dovrebbero venir fuori linee di fraseggio, invece contro il Genoa i giocatori che hanno fatto più passaggi sono stati i tre difensori e Locatelli, con grande scarto sul resto dei centrocampisti e sugli attaccanti. Chiaro segnale di un problema nel verticalizzare e velocizzare la manovra contro squadre chiuse: i difensori giocanto tra loro in orizzontale e anche Locatelli non riesce a dare l’aumento di efficacia e verticalità che servirebbe (e anche questo ha influito sul rallentamento del ritmo di cui parlavamo prima)».

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