«Il pallone è mio». Avrebbe potuto intitolarsi anche così la tesi con cui Thiago Motta ha conseguito nel 2020 l’abilitazione Uefa Pro (il vero titolo è “Il valore del pallone - Lo strumento del mestiere nel cuore del gioco”). Una frase, «Il pallone è mio», che tutti abbiamo pronunciato e sentito pronunciare da bambini, quando conferiva una sorta di potere assoluto: chi giocava, quali erano le regole e quanto durava la partita. Proprio dal pallone come gioco dell’infanzia - per Motta primo regalo del padre - e poi crescendo strumento di espressione come singolo e come parte di una squadra, nasce l’idea di calcio di Motta. Che da quei tempi ha portato con sé il concetto di perdita del pallone come «una sorta di “crimine” calcistico individuale e collettivo da riparare nel modo più deciso» .
Un’idea che si ritrova nel suo Bologna (con il 58% medio di possesso palla secondo solo al Napoli in Serie A) e che è interessante leggere nella sua prima stesura in attesa che Motta la applichi alla Juventus. Un’idea in cui quella frase, «Il pallone è mio», mantiene un’importanza fondamentale, riassunta dal tecnico in tre princìpi: «Per ottenere un calcio dominante bisogna non avere paura del pallone. Per un calcio d’attacco bisogna volere e ottenere il possesso della palla. La fase difensiva deve essere volta al recupero più rapido possibile della palla».