"Intensità, tecnica, coraggio: vi svelo il calcio di Motta e la sua mentalità"

"Lo Spezia bocciolo di ciò che è fiorito nei due anni a Bologna: fraseggio per creare spazi, aggressività a palla persa, scambi di ruolo..."

TORINO - Simone Bastoni è rimasto qualche giorno a Empoli, dove sta ancora assaporando il gusto di una salvezza conquistata al 93’ dell’ultima giornata: "È stato indescrivibile… Il momento in cui abbiamo fatto gol… È stato bellissimo. Bellissimo. È stata sofferta, ma proprio per questo è stata ancora più bella". Per lui è stata la seconda salvezza in Serie A in tre stagioni, dopo quella con lo Spezia nel 2021-22. In panchina, allora, Thiago Motta, alla prima esperienza tra i professionisti da inizio stagione, dopo l’Under 19 del Psg e quella da subentrante al Genoa nell’annata precedente, durata due mesi: "Diciamo che allo Spezia eravamo il bocciolo che poi al Bologna è fiorito". E che alla Juventus potrebbe trasformarsi in frutto: "Se la Juve lo prende per me fa la scelta giusta. Thiago Motta ha dimostrato ampiamente le sue capacità e penso sia pronto per una grandissima squadra. E gli auguro tutto il meglio, perché se lo merita".

Sorpreso da quanto ha realizzato nelle due stagioni al Bologna?

"No, sorpreso sicuramente no. Già con noi a La Spezia si vedeva che era un allenatore capace, con delle idee, e col passare del tempo ha dimostrato a tutti che sono ottime idee. Con il Bologna è riuscito a raggiungere un traguardo incredibile, tanto di cappello: è stato molto bravo a perseguire le sue idee e andare avanti".

Cosa ricorda del suo primo impatto con lo spogliatoio?

"Si è subito rapportato con noi come se fosse ancora giocatore, come fosse parte integrante del gruppo, e si è creato subito un grande rapporto con tutta la squadra. Questo però non significa certo che non si capisse chi era la guida: con lui è quasi impossibile, si fa valere e anche parecchio. Penso si sia fatto conoscere anche a Bologna...".

Nella tesi con cui ha chiuso il corso Uefa Pro a Coverciano insiste sulla necessità di avere la palla e coraggio nel giocarla. È quello che vi ha chiesto?

"Sì. Si è presentato chiedendoci fin dai primi giorni di allenamento di avere il coraggio di giocare dal basso, di iniziare la costruzione cercando sempre il fraseggio, senza tirare pallonate in avanti. E anche a Bologna ho visto che ha continuato così. Il fine è quello di attirare gli avversari per creare spazio da attaccare alle loro spalle. A prescindere dal modulo che utilizzavamo o dall’avversario, quella era una costante. Il suo tipo di calcio è questo. Ci ha subito e sempre chiesto essere sempre propositivi, coraggiosi nel cercare di portare avanti la propria idea. Credo siano le parole che descrivono meglio la sua idea di gioco".

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Il metodo Thiago Motta

Voi come avete accolto questa proposta?

"Abbiamo recepito subito, da quel punto di vista è stato facile perché anche con Italiano, pur con alcune differenze, giocavamo con un atteggiamento aggressivo e coraggioso. Così abbiamo capito subito quello che voleva Thiago".

Un modo di giocare che presuppone capacità di giocare la palla con precisione sotto pressione. Come sviluppavate questa abilità?

"Durante la settimana si prepara quello che si vorrebbe fare in partita. Tutto ciò che si vede nei 90 minuti è stato provato molte volte durante la settimana. Ed è un lavoro che cambia, o almeno così era allo Spezia, in base alle caratteristiche dell’avversario. A Bologna l’anno scorso e quest’anno mi pare abbia raggiunto un’identità più forte, plasmandosi di meno sugli avversari. Sono più gli altri che hanno iniziato a preoccuparsi di come gioca lui che viceversa".

Gli allenamenti com’erano?

"Sempre molto intensi, con tanti possessi a tema e partitine, che servivano al tempo stesso a migliorare la tecnica e a ricreare le situazioni che poi ci trovavamo ad affrontare in partita".

Quando la palla ce l’avevano gli avversari cosa vi chiedeva?

"Intanto a palla persa dovevamo subito riaggredire per cercare di recuperarla il prima possibile. Anche questo è uno dei punti di forza del suo modo di giocare: appena persa palla spesso ci sono tre o quattro uomini che attaccano il portatore. È un atteggiamento rischioso, ma che porta anche dei benefici e credo che i pro siano più dei contro: recuperare subito palla in avanti ti permette di creare una nuova azione offensiva, più facile da trasformare in occasione da gol rispetto a un’azione nata da un recupero più basso".

E quando l’azione avversaria partiva dal portiere, o comunque quando gli avversari consolidavano il possesso, come dovevate agire?

"Quando gli avversari impostavano potevamo variare atteggiamento e alternare fasi di pressing e fasi più di attesa. Lui ci dava indicazioni, in base all’avversario, su come uscire alti in pressione sull’impostazione: poi se le prime pressioni andavano bene continuavamo, se vedevamo che andavamo in difficoltà ci ricompattavamo e aspettavamo a metà campo o sulla trequarti avversaria, iniziando a pressare un pochino più in basso. L’idea di base è andare a prendere l’avversario alto, poi variava a seconda di partita e momento".

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 Motta e l'interscambiabilità dei ruoli

Un’altra caratteristica peculiare del Bologna è stata la duttilità di molti giocatori sia nei ruoli, sia nelle posizioni e nei movimenti in campo a prescindere dal ruolo. Sono concetti che aveva cercato di trasmettere anche a voi? Lei per esempio passò da terzino sinistro a mezzala sinistra.

"Io avevo giocato soprattutto terzino la stagione precedente, con lui sono tornato a fare il centrocampista come avevo sempre fatto, comunque si basa molto sulle caratteristiche dei giocatori. Sugli scambi di posizione lavoravamo già anche noi, ma è una caratteristica che a Bologna ha accentuato e migliorato. Era una cosa che richiedeva anche a noi, ma non sempre riuscivamo a farla bene, magari ci mancava un pochino di quel coraggio che è riuscito a trovare a Bologna. Però sì, anche a noi chiedeva soprattutto di alzare un difensore: quando giocavamo a tre dietro ci riuscivamo abbastanza, a due (centrali, ndr) per noi era un pochino più complicato".

Come funziona sul campo questa intercambiabilità? Su che base ad attaccare lo spazio che si è creato va un giocatore anziché un altro?

"Thiago Motta voleva prima di tutto che capissimo dov’era lo spazio e, in base alle posizioni in campo in quel momento, andassimo ad occuparlo: se era più a sinistra tendenzialmente andavo io, più a destra Maggiore. Il Bologna lo ha fatto con una maggiore indipendenza dai ruoli di partenza: diciamo che noi eravamo il bocciolo che poi a Bologna è fiorito".

Il rapporto a livello umano com’era stato?

"Dopo la vittoria a Napoli (1-0 con autogol di Juan Jesus il 22 dicembre 2021, ndr) si creò un gruppo solidissimo, un tutt’uno tra noi e tutto lo staff, non solo il mister, che è ciò che poi ci ha permesso di raggiungere l’obiettivo. Noi davamo tutto per lui e lui dava tutto per noi. A me ha lasciato un grandissimo ricordo come uomo, oltre che come grande allenatore, e tuttora ogni tanto lo sento. Ho davvero un buonissimo ricordo, professionale e personale. Di lui e di tutto il suo staff".

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TORINO - Simone Bastoni è rimasto qualche giorno a Empoli, dove sta ancora assaporando il gusto di una salvezza conquistata al 93’ dell’ultima giornata: "È stato indescrivibile… Il momento in cui abbiamo fatto gol… È stato bellissimo. Bellissimo. È stata sofferta, ma proprio per questo è stata ancora più bella". Per lui è stata la seconda salvezza in Serie A in tre stagioni, dopo quella con lo Spezia nel 2021-22. In panchina, allora, Thiago Motta, alla prima esperienza tra i professionisti da inizio stagione, dopo l’Under 19 del Psg e quella da subentrante al Genoa nell’annata precedente, durata due mesi: "Diciamo che allo Spezia eravamo il bocciolo che poi al Bologna è fiorito". E che alla Juventus potrebbe trasformarsi in frutto: "Se la Juve lo prende per me fa la scelta giusta. Thiago Motta ha dimostrato ampiamente le sue capacità e penso sia pronto per una grandissima squadra. E gli auguro tutto il meglio, perché se lo merita".

Sorpreso da quanto ha realizzato nelle due stagioni al Bologna?

"No, sorpreso sicuramente no. Già con noi a La Spezia si vedeva che era un allenatore capace, con delle idee, e col passare del tempo ha dimostrato a tutti che sono ottime idee. Con il Bologna è riuscito a raggiungere un traguardo incredibile, tanto di cappello: è stato molto bravo a perseguire le sue idee e andare avanti".

Cosa ricorda del suo primo impatto con lo spogliatoio?

"Si è subito rapportato con noi come se fosse ancora giocatore, come fosse parte integrante del gruppo, e si è creato subito un grande rapporto con tutta la squadra. Questo però non significa certo che non si capisse chi era la guida: con lui è quasi impossibile, si fa valere e anche parecchio. Penso si sia fatto conoscere anche a Bologna...".

Nella tesi con cui ha chiuso il corso Uefa Pro a Coverciano insiste sulla necessità di avere la palla e coraggio nel giocarla. È quello che vi ha chiesto?

"Sì. Si è presentato chiedendoci fin dai primi giorni di allenamento di avere il coraggio di giocare dal basso, di iniziare la costruzione cercando sempre il fraseggio, senza tirare pallonate in avanti. E anche a Bologna ho visto che ha continuato così. Il fine è quello di attirare gli avversari per creare spazio da attaccare alle loro spalle. A prescindere dal modulo che utilizzavamo o dall’avversario, quella era una costante. Il suo tipo di calcio è questo. Ci ha subito e sempre chiesto essere sempre propositivi, coraggiosi nel cercare di portare avanti la propria idea. Credo siano le parole che descrivono meglio la sua idea di gioco".

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