Danilo e le prime esperienze con il Brasile
Danilo ha poi parlato delle particolari emozioni vissute nelle sue prime esperienze con il Brasile: "Non dimenticherò mai la prima volta che fui convocato nella Nazionale U-20. Eravamo in Paraguay per l'esordio nel Sudamericano e, la sera prima, non facevo altro che pensare a come sarebbe stata la mia maglia appesa nello spogliatoio. Sarebbe stata gialla o blu? Per favore, fa che sia gialla. La mattina dopo, nella foga di giocare, mi pulii gli scarpini tre volte. Poi finalmente arrivai allo spogliatoio ed ecco cosa vidi: DANILO 2. Il giallo perfetto. Il numero verde. Il mio nome. Cazzo! Mi sono seduto lì, tenendo la maglietta tra le mani come un neonato, e questo è l'aspetto che aveva la mia faccia.... (faccina sorpresa ndr.) Giuro. (faccina sorpresa ndr.) Mi sono detto: stai per giocare la partita della tua vita. Darai tutto. Per la tua famiglia e i tuoi amici. Per tutti coloro che ti hanno aiutato ad arrivare fin qui. Per l'intero Paese. Spaccherai! Amico, sono entrato in campo e ho completamente dimenticato come si calciasse un pallone! Ero così nervoso... Un semplice tiro? Fuèèn. L'ho calciato tra gli spalti. La maglietta sembrava pesare 50 chili. E per circa 50 minuti ho giocato la peggior partita della mia vita. Poi ho preso un cartellino giallo e l'allenatore ha avuto pietà di me e mi ha tolto. Ma sapete una cosa? Quando sono uscito dal campo, non ero triste. Non ero nemmeno arrabbiato con me stesso. Perché posso dire onestamente che non potevo fare altro. Ho corso fino quasi a farmi cadere gambe. Ho pensato: se questa è l'ultima volta che gioco per il Brasile, vaffaaaaa! Almeno ho dato tutto in campo. Per me questa è la cosa più importante nel calcio: dare tutto quello che puoi. Beh, non è sempre possibile, lo so".
Danilo e la depressione: "Volevo ritirarmi a 24 anni"
Il calciatore della Juventus ha vissuto anche alcuni momenti difficili: "Ci saranno molti, molti momenti in cui le gambe semplicemente non funzioneranno. Quando ti svegli sentendoti terribile, pensi che tutti ti odino e che non meriti nemmeno di indossare quella maglia. Conosco bene questa sensazione. Sono umano. Non sono sempre stato al mio meglio. Per essere ancora più onesto con voi, durante la mia prima stagione al Real Madrid mi sentivo depresso. Mi sentivo perso, inutile. In campo non riuscivo a fare un passaggio di cinque metri. Fuori dal campo, era come se non riuscissi nemmeno a muovermi. La mia passione per il calcio era scomparsa e non vedevo una via d'uscita. Volevo tornare a casa mia, in Brasile, e non giocare più a calcio. Non mi vedevo più come Baianinho, il figlio di Baiano (è così che chiamano mio papà). Mi vedevo come Danilo, quello che aveva "firmato un contratto da 31 milioni di euro", come riportavano i giornali - il difensore più costoso che il Real Madrid avesse mai acquistato fino a quel momento. Quando giocammo contro l'Alavés, pochi mesi dopo l'inizio della stagione, Theo Hernández mi rubò la palla e crossò per Deyverson che segnò. Vincemmo comunque 4-1, ma era un errore che al Real Madrid non si può commettere. Non dimenticherò mai di essere tornato a casa quella sera e di non essere riuscito a dormire. Scrissi sul mio diario: "Credo sia arrivato il momento di abbandonare il calcio". Avevo 24 anni. Quale parte di me sentiva davvero la pressione? Il ragazzo che era stato una rivelazione come terzino destro al Porto? O il ragazzo di Bicas che aveva improvvisamente firmato per la più grande squadra al mondo? La risposta era chiara. Dentro di te, sei ancora e sarai sempre il ragazzo di Bicas. Non ho detto a nessuno quello che provavo. Casemiro ha cercato di aiutarmi, ma io ho "ingoiato il rospo", come si dice. E il rospo è diventato sempre più grande. Ma dopo alcuni mesi di sofferenza, ho iniziato a vedere uno psicologo che mi ha davvero salvato la carriera. La lezione più importante che mi ha insegnato è stata quella di vedere il gioco attraverso gli occhi di un bambino" si legge nella lettera del brasiliano.