Pagina 2 | Juve, gli esperimenti falliti e la svolta Motta: Giuntoli conosce le regole

Oggi inizia l’era Thiago Motta. È, in realtà, una partenza falsa perché ormai la magia del primo giorno di scuola è spezzettata da arrivi scaglionati, quindi l’era Motta potrebbe partire, nel vero senso della parola, ai primi di agosto quando, tra rientri e mercato, dovrebbe avere una rosa più o meno completa (e quindi poco tempo per lavorarci in vista del 19 agosto, prima gara contro il Como in casa). Ma, tant’è, ieri il nuovo allenatore della Juventus è sbarcato a Torino e da oggi prende servizio nel suo nuovo posto di lavoro, il centro sportivo della Continassa. Il cambio di allenatore è sempre qualcosa che segna una cesura nella storia sportiva di un club, soprattutto negli ultimi trent’anni, durante i quali i tecnici hanno assunto un peso specifico sempre maggiore nell’immagine e nella comunicazione, ma spesso anche nel potere decisionale all’interno di una società.

Juve, tentativo di cambiamento

E l’arrivo di Thiago Motta alla Juventus segna un tentativo di cambiamento, una svolta di pensiero calcistico. Qualcosa di analogo è stato già tentato due volte negli ultimi cinque anni: prima con Sarri e poi con Pirlo. Due esperimenti che, seppure portatori di trofei, sono falliti, facendo addirittura pensare che la causa sia da cercare nella tradizione calcistica conservativa dei bianconeri, una questione di genetica calcistica che rigetta un calcio diverso e più moderno. Balle! Il problema è sempre l’approccio, l’intelligenza di innestare le nuove idee nel modo giusto. Nel 1994 approdava alla Juventus Marcello Lippi, che seppe essere la sintesi hegeliana fra l’antica tesi trapattoniana e l’antitesi sacchista, dominante in quel periodo. Lippi è stato il più moderno dei tradizionalisti o il più tradizionalista dei moderni. E seppe vincere tutto, con un gioco molto aggressivo e prevalentemente sviluppato nella metà campo avversaria, senza mai tradire una fase difensiva con antiche (e solide) radici. Lippi veniva da una miracolosa qualificazione in Coppa Uefa del Napoli (che i maniaci dei ricorsi storici potrebbero sovrapporre alla Champions del Bologna) e aveva un curriculum di provincia, forse solo un pelo più lungo di quello di Thiago, che in compenso ha una carriera da calciatore più importante.

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Motta, i presupposti ci sono

Ma non è il caso di forzare analogie, quanto di ricordare che l’intelligenza di Motta si misurerà con la sua capacità di calare le sue, splendide, idee in una realtà molto diversa da quella del Bologna. I presupposti perché tutto funzioni ci sono, a partire da un mercato che si sta muovendo in modo molto logico e, soprattutto, coerente con il progetto tecnico-tattico di Motta. Magari non del tutto coerente con quello che ha scritto John Elkann nella lettera agli azionisti Exor (cioè non esattamente un post it sul frigo), in particolare quando ha spiegato come il club deve ripartire «con una maggiore attenzione ai giovani talenti della squadra Next Gen (che quest’anno hanno dimostrato il loro valore), la Juventus punta a costruire una struttura di costi sostenibile...».

Il calciomercato della Juve

Per ora i giovani sono usati per finanziare il mercato (che, per carità, è uno degli scopi di una seconda squadra) e il solo Yildiz sembra avere certezza di un ruolo nella Juventus del futuro, ma l’estate è ancora lunga e dicono che Motta possa puntare su Soulé e Savona, quindi rinviamo i giudizi a fine agosto. Per ora, l’arrivo di Douglas Luiz, Khephren Thuram e Di Gregorio, più quello possibile di Koopmeiners, stanno delineando una formazione molto interessante e potenzialmente molto competitiva fin da subito. D’altronde, Cristiano Giuntoli è un vecchio tifoso juventino e sa che le regole della casa prevedono un sostanziale obbligo di vincere, per cui si è adeguato nella costruzione di una squadra che possa farlo nel più breve tempo possibile, visto che la lunghezza del suo contratto non è detto sia proporzionale a quella della pazienza della piazza. Anche se, visto che inizia una nuova era, la Juventus potrebbe ripensare la sua filosofia, superando il «vincere è l’unica cosa che conta» o, meglio, evolvendolo in qualcosa di meno tranciante. Riscoprire i valori dello juventinismo d’antan che premia l’impegno alla morte per raggiungere il successo oltre che il successo stesso, insomma qualcosa di più vicino al «Fino alla fine» di Andrea Agnelli. Soprattutto perché il mondo juventino deve imparare a godersi di più le vittorie, assaporarle senza il trangugiare bulimico dell’ultimo decennio.

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Motta, i presupposti ci sono

Ma non è il caso di forzare analogie, quanto di ricordare che l’intelligenza di Motta si misurerà con la sua capacità di calare le sue, splendide, idee in una realtà molto diversa da quella del Bologna. I presupposti perché tutto funzioni ci sono, a partire da un mercato che si sta muovendo in modo molto logico e, soprattutto, coerente con il progetto tecnico-tattico di Motta. Magari non del tutto coerente con quello che ha scritto John Elkann nella lettera agli azionisti Exor (cioè non esattamente un post it sul frigo), in particolare quando ha spiegato come il club deve ripartire «con una maggiore attenzione ai giovani talenti della squadra Next Gen (che quest’anno hanno dimostrato il loro valore), la Juventus punta a costruire una struttura di costi sostenibile...».

Il calciomercato della Juve

Per ora i giovani sono usati per finanziare il mercato (che, per carità, è uno degli scopi di una seconda squadra) e il solo Yildiz sembra avere certezza di un ruolo nella Juventus del futuro, ma l’estate è ancora lunga e dicono che Motta possa puntare su Soulé e Savona, quindi rinviamo i giudizi a fine agosto. Per ora, l’arrivo di Douglas Luiz, Khephren Thuram e Di Gregorio, più quello possibile di Koopmeiners, stanno delineando una formazione molto interessante e potenzialmente molto competitiva fin da subito. D’altronde, Cristiano Giuntoli è un vecchio tifoso juventino e sa che le regole della casa prevedono un sostanziale obbligo di vincere, per cui si è adeguato nella costruzione di una squadra che possa farlo nel più breve tempo possibile, visto che la lunghezza del suo contratto non è detto sia proporzionale a quella della pazienza della piazza. Anche se, visto che inizia una nuova era, la Juventus potrebbe ripensare la sua filosofia, superando il «vincere è l’unica cosa che conta» o, meglio, evolvendolo in qualcosa di meno tranciante. Riscoprire i valori dello juventinismo d’antan che premia l’impegno alla morte per raggiungere il successo oltre che il successo stesso, insomma qualcosa di più vicino al «Fino alla fine» di Andrea Agnelli. Soprattutto perché il mondo juventino deve imparare a godersi di più le vittorie, assaporarle senza il trangugiare bulimico dell’ultimo decennio.

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