Motta, i presupposti ci sono
Ma non è il caso di forzare analogie, quanto di ricordare che l’intelligenza di Motta si misurerà con la sua capacità di calare le sue, splendide, idee in una realtà molto diversa da quella del Bologna. I presupposti perché tutto funzioni ci sono, a partire da un mercato che si sta muovendo in modo molto logico e, soprattutto, coerente con il progetto tecnico-tattico di Motta. Magari non del tutto coerente con quello che ha scritto John Elkann nella lettera agli azionisti Exor (cioè non esattamente un post it sul frigo), in particolare quando ha spiegato come il club deve ripartire «con una maggiore attenzione ai giovani talenti della squadra Next Gen (che quest’anno hanno dimostrato il loro valore), la Juventus punta a costruire una struttura di costi sostenibile...».
Il calciomercato della Juve
Per ora i giovani sono usati per finanziare il mercato (che, per carità, è uno degli scopi di una seconda squadra) e il solo Yildiz sembra avere certezza di un ruolo nella Juventus del futuro, ma l’estate è ancora lunga e dicono che Motta possa puntare su Soulé e Savona, quindi rinviamo i giudizi a fine agosto. Per ora, l’arrivo di Douglas Luiz, Khephren Thuram e Di Gregorio, più quello possibile di Koopmeiners, stanno delineando una formazione molto interessante e potenzialmente molto competitiva fin da subito. D’altronde, Cristiano Giuntoli è un vecchio tifoso juventino e sa che le regole della casa prevedono un sostanziale obbligo di vincere, per cui si è adeguato nella costruzione di una squadra che possa farlo nel più breve tempo possibile, visto che la lunghezza del suo contratto non è detto sia proporzionale a quella della pazienza della piazza. Anche se, visto che inizia una nuova era, la Juventus potrebbe ripensare la sua filosofia, superando il «vincere è l’unica cosa che conta» o, meglio, evolvendolo in qualcosa di meno tranciante. Riscoprire i valori dello juventinismo d’antan che premia l’impegno alla morte per raggiungere il successo oltre che il successo stesso, insomma qualcosa di più vicino al «Fino alla fine» di Andrea Agnelli. Soprattutto perché il mondo juventino deve imparare a godersi di più le vittorie, assaporarle senza il trangugiare bulimico dell’ultimo decennio.