TORINO - Il fatto che, nella scorsa e travagliata stagione, il JMuseum abbia stabilito un nuovo record di presenze conferma una grande verità del calcio: le annate storte, anche quando sono due o tre di fila, non cancellano la gloria di un club e l’amore dei tifosi per i loro ricordi più intensi. È una regola che vale per tutte le squadre, ma ieri Thiago Motta era nel museo della Juventus e declinava i suoi pensieri in bianconero, così specchiandosi nei 127 anni di storia ha capito che fare qualcosa di grande in questo club significa fare qualcosa di eterno. Un’enorme responsabilità e, insieme, il più appuntito degli stimoli.
Thiago Motta passeggia tra le leggende bianconere
Motta ha passeggiato nel museo, con un sorriso che si allargava di fronte a ogni pezzo della preziosa collezione. Incuriosito dalle pieghe a lui meno note della storia juventina, ma anche esaltato nel trovarsi a pochi centimetri da una maglia con un nome leggendario o un trofeo della vasta collezione. Conosce il calcio e i suoi personaggi, Motta, e ieri se n’è fatto una goduta scorpacciata, camminando da una teca a un’altra, provando qualche brividino di fronte a nomi, oggetti, fotografie e titoli di giornale. E quasi non s’è accorto, a un certo punto, di essere finito in mezzo a due ologrammi che, immortalati in una fotografia, sembrano idealmente dei numi tutelari: Marcello Lippi da una parte, Giovanni Trapattoni dall’altra. La sfida di Motta, da questa mattina, quando dirigerà il primo allenamento della Juventus, è quella di avercelo anche lui, un ologramma al museo fra tanti anni, conquistandosi il suo pezzo di eternità. Non sarà facile, ma alla Juventus non lo è mai stato per nessuno. E uno che ha giocato nel Barcellona, nell’Inter e nel Paris Saint Germain, in linea di massima, ha un’idea piuttosto precisa di cosa sia e come funzioni una grande squadra, e tutte le responsabilità che comportano per chi la guida.
La Juve di Thiago Motta sta nascendo: la formazione da sogno