Leonardo Bonucci è intervenuto al podcast "Passa dal Bsmt" di Gianluca Gazzoli, parlando anche del suo ultimo periodo alla Juventus. Nelle parole di Bonucci c'è tutta la delusione per il suo addio inaspettato alla Vecchia Signora, commentando la decisione del club di metterlo fuori dal progetto facendo indirettamente riferimento a Massimiliano Allegri, pur non nominandolo: "Io me ne sono dovuto andare quasi scappando perché qualcuno aveva deciso che doveva andare così, è stata una manifestazione di un singolo che non meritavo. Mi sembrava quasi uno scherzo, dopo più di 500 partite ricevere il ben servito così. Forse il mio percorso alla Juventus non è ancora terminato, quando penso di voler fare l'allenatore penso a quella panchina lì. Sogno? Si, di arrivare a sedermi su una panchina importante come la Juventus, mi piace pensare che questa storia non sia finita".
Il fine rapporto con la Juventus
Sulla fine del rapporto con la Juventus, Bonucci ha dichiarato: “Sicuramente è una ferita che rimarrà perché quando dai tanto, ti aspetti anche tanto. E devo dire che la Juve a me ha dato tanto però chiudere in questa maniera è stato veramente un colpo che mai mi sarei aspettato. Che mi ha fatto male. Perché ancora oggi parlarne mi dà un po’ di dispiacere. Vedo altri giocatori che hanno giocato alla Juventus che hanno fatto meno di me ricevere il giusto tributo e io me ne sono dovuto andare quasi scappando perché qualcuno aveva deciso che doveva andare così. È stata la manifestazione di potere di un singolo che non meritavo, perché io se fossero stati chiari avrei anche accettato di andare. Se tutti avessero detto l’anno prima ‘Guarda, qua è finita’, invece a me hanno detto “Guarda, noi abbiamo delle priorità rispetto a te, però averti nel gruppo è importante”.
Il rapporto con Giuntoli
"Poi dopo mi sono ritrovato con Giuntoli che era appena arrivato e quindi non aveva possibilità di fare diversamente e mi ha detto “Guarda, non sei più nei piani. Sei fuori rosa”. All’inizio mi sembrava quasi uno scherzo, dopo più di 500 partite ricevere il benservito in questa maniera… Invece era tutto reale. Paradossalmente sono tornato il 17 di luglio ad allenarmi e mi allenavo alle 7:30 di sera quando la squadra si allenava o al mattino presto o addirittura al pomeriggio non si allenava. Ero insieme ad altri ragazzi che erano nella mia stessa situazione, che magari erano stati in prestito da qualche parte o rientravano da un infortunio. Non so ancora oggi darmi una spiegazione. O meglio, la spiegazione la so. È stato un gioco di potere. Prima che Giuntoli mi comunicasse la decisione, io l’avevo già annusata. Cominciavano ad uscire degli articoli che un po’ lanciavano il segnale e infatti quando ricevetti la chiamata da Manna che mi avvisava che sarebbero venuti a casa per parlarmi, parlando con mia moglie le dissi ‘Guarda, vengono perché sta succedendo qualcosa che non ci aspettavamo”. Quindi ero preparato, ma non sei mai preparato a certe cose che ti vengono dette. Soprattutto quando fai tutta una carriera improntata sulla Juventus”.
Il trasferimento in Bundesliga
“La scelta di andare all’Union Berlino? Quello di continuare a giocare era un mio bisogno interiore. Per come era evoluta la situazione con la Juventus sentivo il bisogno dentro di me di andare a giocare per sentirmi ancora giocatore. Quando mi è stato comunicato dalla Juve che ero fuori rosa e che quindi avrei dovuto cercarmi un’altra squadra, il mio pensiero è stato subito “Senza la mia famiglia non vedo da nessuna parte”. Perché comunque in 15 anni, con mia moglie, abbiamo sempre vissuto uno accanto all’altra. Mi spaventava il fatto di poter andare senza di loro. Purtroppo la decisione è stata poi presa il 31 agosto, quando non c’era più tempo di organizzarsi con i bambini per le attività di scuola e quindi ho dovuto mettere un po’ davanti me e il mio lavoro a tutti loro. E questa è una cosa che ha provato me e la mia famiglia".
Bonucci: "Non sono stati mesi facili"
"Non sono stati mesi facili. Poi devi essere un attimo egoista come io sono stato perché sapevo che se avessi finito la carriera in quel modo mi sarei portato un peso dietro per tutta la vita. Perché ho vissuto per il calcio e finirlo in quella maniera non mi avrebbe reso felice. Oggi posso dire che finisco la carriera da calciatore in maniera serena. Il mio sogno era quello di finire la mia carriera con la Nazionale e con la Juventus in maniera diversa, ma dopo ti devi saper adattare. Devi accettare quello che avviene e prepararti al cambiamento. Sognavo di partecipare a questo Europeo, era il mio obiettivo. Mi ero prefissato la chiusura della carriera a 37 anni. La sincerità è sempre quella che mi ha contraddistinto in carriera perché quando ho parlato in passato e quando parlo non mi piace nascondermi dietro a frasi fatte o mettere una maschera per passare per bello davanti agli altri”.
Il passaggio al Milan
“La Juventus? Dopo più di 500 partite non ho avuto il saluto che meritavo e che merito tuttora per quello che ho dato alla Juventus. Io ho anteposto la Juventus a mia moglie, ai miei figli e al mio benessere perché anche quando sono andato via nel 2017 (Milan, ndr) quella scelta l’ho fatta perché non volevo essere un problema all’interno dello spogliatoio e quindi ho preso quella strada lì per non fare del male alla Juventus. E questa è una cosa che al presidente avevo detto per tutto quello che era successo negli ultimi sei mesi della stagione prima. Io devo andare via da qua perché sarei deleterio dentro lo spogliatoio. Perché mi conosco. È stata una scelta condivisa con allenatore e direttore, che mi hanno venduto a poco per il valore di quel momento”. Sulla sua juventinità, Bonucci ha aggiunto: “Non mi sono mai nascosto dietro una maschera, non ho mai nascosto il fatto di essere juventino e di difendere la Juventus in qualunque modo. Di amarla anche a costo di rimetterci personalmente. Quando ti comporti così poi sei nell’occhio del ciclone, quando mezza cosa non va”.
Il sogno nel cassetto
“Forse il mio percorso alla Juventus non è ancora terminato perché quando penso a voler fare l’allenatore penso a quella panchina lì. Seppure ho ricevuto per volere di un singolo un torto, mi piace pensare che questa storia ancora non sia finita. Forse è una spiegazione che do per non sentirmi ancora ferito da questa mancanza perché è stata dura da digerire. La rabbia che avevo dentro mi ha fatto fare delle scelte sbagliate perché io ho fatto la scelta di andare avanti seppur avevo la forza da un contratto firmato di andare contro la Juventus. Ma in quel momento l’ho fatto per rabbia perché alla fine la Juventus non era la Juventus, in quel momento non c’erano le persone adatte per fare una scelta come quella che è stata fatta perché i dirigenti che in quel momento erano subentrati non avevano il potere di poter dire “No, si fa così”. Quindi sono dovuti andare un po’ sulla scia di quelle che erano state le decisioni di qualcun altro. Dopodiché, quando mi sono fermato un attimo e la rabbia era un po’ scemata ho detto “Cosa sto facendo? Non è la Juventus il problema di tutto, quindi non è corretto che io continui su questa strada a fare una battaglia che sì mi porterà alla vittoria, ma che comunque non mi avrebbe dato niente. Perché la rabbia che provavo era verso chi aveva preso quella decisione di mettermi fuori rosa e non verso la Juventus”.
Le bordate ad Allegri
Bonucci ha infine parlato del rapporto con Allegri: "Dopo 8 anni insieme poteva chiamarmi per risolvere la situazione. L'ultimo rapporto che ho avuto è stato dopo la partita a Udine. Ci siamo salutati dopo essere rientrati dalla trasferta, come sempre a fine stagione. Poi anche quand'ero al centro sportivo non c'è mai stato un confronto. Come se per lui fossi un estraneo. Abbiamo caratteri diversi, ci siamo confrontati, abbiamo discusso, litigato, ma io l'ho fatto anche con altri allenatori. In un rapporto umano un minimo di rispetto e di riconoscenza ci debba essere. Bastava che lui fosse chiaro sin dall'inizio. Io sono stato al centro sportivo un mese e mezzo e non ho mai ricevuto da lui una chiamata per dirmi: vieni qua che sistemiamo questa cosa, mi dispiace, qualsiasi cosa. La decisione di farmi fuori poteva benissimo comunicarmela la società, ma un confronto dopo tutti gli anni insieme sarebbe stato il minimo".
L'episodio di Oporto
"Non so se questa cosa fosse legata a quello che è successo nel 2017, con lo sgabello di Oporto. Forse è stato uno strascico di quell'episodio lì. Quello che è accaduto ai tempi è grave, difficile da giustificare, però ne succedono. Io ho discusso anche con Conte nello spogliatoio, sono cose che in un momento di tensione succedono, soprattutto quando c'è un rapporto vero. Io ho sempre cercato di essere me stesso in qualsiasi situazione, e forse questo lato di me mi ha reso un po' antipatico. Ma mi guardo allo specchio con la consapevolezza di non aver mai indossato una maschera. Questo è quello che è successo anche con il mister: ci siamo scontrati e lui la scorsa stagione ha fatto questa scelta". Una reunion con Allegri? Bonucci ha risposto così: "Siamo grandi, viviamo nel calcio, ci sarà modo di incontrarci. Se capiterà ne parleremo. Oggi è una cicatrice che fa male, però con il tempo si dice che passa tutto. Il suo modo di allenare? Io ho sempre detto che il suo modo di gestire le pressioni dello spogliatoio è stato la base delle vittorie e delle finali raggiunte. Quando hai una grande squadra, con grandi giocatori, è difficile gestirli. Lui è stato molto bravo. Poi ci sono cose che possono piacere o non piacere, ma come tutti".
L'amico Perin, la BBBC e il futuro con Chiellini
"Ho discusso anche con Conte - continua Bonucci - ma nello spogliatoio e in campo son cose che capitano, specie quando c’è un rapporto vero. Ho sempre cercato di essere me stesso, dentro e fuori dal campo, in qualsiasi situazione. Forse questo lato vero uscito di me mi ha reso un po’ antipatico, difficile da capire, però posso guardarmi allo specchio con la consapevolezza di non aver mai indossato una maschera. Ovvio che in un mondo che vive di tante maschere, quando sei vero ti porti dietro critiche e insulti, difficilmente c’è chi capisce. Con Allegri ci siamo scontrati, ha preso questa scelta la stagione prima: ti ripeto, dopo 8-9 anni insieme finire così è stato brutto e deludente in senso umano".
"Prima della chiusura della Juve, oltre alla famiglia, gli amici giocatori vicini sono stati tre: Barzagli, Chiellini e Perin. E i due che sono un po’ più esperti c’è stato un confronto vero e profondo, mi hanno aiutato anche a capire e a guardare l’altro lato della medaglia. Anche Mattia è stato di supporto vivendo ancora la Juventus, facendomi capire e parlando della Juve che era prima e che abbiamo avuto la fortuna di vivere noi, dove per 10 anni abbiamo fatto tabula rasa in Italia, e comunque abbiamo sfiorato la Champions League due volte. Loro tre sono le persone con cui mi sono confrontato di più, Giorgio su tutti anche se era in America e c’erano orari differenti. Chiellini rispetto a me è più riflessivo, io magari devo sfogare la rabbia perché sono orgoglioso. Lui con la sua pacatezza, con la sua tranquillità mi faceva riflettere. Ho discusso anche con lui tante volte, perché vivo di impeto e quando vedo dall’altra parte che una persona, nel suo modo di essere, trasmette tranquillità ma in quel momento per me serve rabbia, si discute. Ma il rapporto si è fortificato nel tempo, dura ancora: ci sentiamo 1-2 volte a settimana, facciamo vacanze insieme e in futuro ci sarà sicuramente modo di incontrarci di nuovo anche lavorativamente. Se ti confronti, ti aspetti anche una litigata e se il rapporto è vero si supera, si cresce. Anzi, secondo me serve. Io, Chiellini, Barzagli e Buffon siamo stati importanti nello spogliatoio della Juve quando abbiamo vinto, dividendoci un po’ i compiti. Per fare certe prestazioni in campo ti devi conoscere, devi essere legato anche fuori e noi lo abbiamo costruito".
"A Cardiff parlai con Dybala all'intervallo": il retroscena
"Se nel 2017 Buffon e Chiellini hanno provato a mediare? Loro hanno aiutato. Dopo la partita in cui successe il fattaccio, la litigata in spogliatoio con l’allenatore, dovevo finire fuori rosa per scelta dell’allenatore. Loro mediarono con Nedved e Paratici e così saltai solo una partita: il tecnico lo accettò e io accettai di dover saltare un ottavo di Champions League. La discussione nacque perché urlai dal campo di sostituire Marchisio, che era stanco tornato dopo un infortunio al ginocchio: serviva per il Porto, e quindi gridai di cambiarlo. Claudio non voleva uscire nonostante avessi i crampi, perciò urlai all’allenatore di fare la sostituzione. Lui invece cambiò Rincon con Sturaro, e io dissi che doveva cambiare Marchisio perché non ce la faceva più, era morto e avremmo dovuto giocare dopo 3 giorni. Non so se lui ha capito qualcosa di diverso: eravamo in campo, urlò in maniera pesante e poi tutto si è trasferito nello spogliatoio. In quel caso arrivò la mediazione e quindi io, dopo la gara di Oporto, rientrai nella successiva partita di campionato e da lì ho sempre giocato. Dopo ci sono stati altri episodi, anche discussione con la dirigenza perché uscì fuori che a Cardiff nell’intervallo della finale di Champions avevo litigato praticamente con tutti. Ma non era assolutamente vero, non litigai con nessuno. Anzi andai da Dybala, che era stato ammonito e si stava nascondendo un po’ per paura del giallo, e gli dissi 'Paulo, gioca libero non stare a pensare al cartellino, perché il tuo talento può farci vincere'".
La rabbia nei confronti della società: "Dovevano difendermi"
"Ma due-tre giorni dopo uscirono articoli che mi attaccavano, dove io ero sempre la pecora nera del gruppo. Chiamai la società e dissi: 'Scusate, ma mi stanno attaccando senza motivo e voi eravate presenti. Non è il caso che interveniate?'. La loro risposta fu che non avevano bisogno di intervenire perché non erano soliti farlo. Cioè un patrimonio della società viene attaccato e per voi non c’è bisogno? Questo mi mandò su tutte le furie, e lì si incrinò definitivamente il rapporto per quel periodo. Col senno di poi, per come mi hanno venduto, forse la soluzione migliore era concludere un trasferimento che facesse bene a tutti quanti. Poi i rapporti si sono ricuciti nel corso dell’anno e sono ritornato una volta che il Milan non poteva più tenermi. Io dissi che se dovevo andare via dai rossoneri, volevo tornare solo alla Juve".
Come nasce l'esultanza dello sciacquarsi la bocca
"Il gol a Torino contro la Juve e l’esultanza dello sciacquarsi la bocca? Era la mia celebrazione solita: io ho sempre detto che non capisco chi non esulta contro le squadre con cui ha giocato, per vari motivi. Il primo è che se sei stato venduto nessuno ha puntato la pistola, anche la società ha deciso di vendersi. Secondo, non rispetti i tuoi nuovi tifosi che sono venuti allo stadio a vederti. Tre, prima della partita ero entrato in campo e avevo ricevuto soltanto fischi e insulti dallo stadio. Probabilmente si comportarono così sia per amore che per odio. E io fui vero in quel momento: avevo segnato il gol del pari, importante. Ero il capitano del Milan, e poi ho rispettato i tifosi arrivati da tutta Italia per tifare Milan. Non ho mancato di rispetto ai sostenitori della Juve, ho rispettato quelli rossoneri. Anche in quel caso fu creato il falso mito che Bonucci è antipatico, che nessuno vorrebbe perché è juventino… Cosa che è tornata fuori quando è saltato il trasferimento dall’Union Berlino alla Roma, perché i tifosi giallorossi dicevano che uno juventino con la loro maglia non si poteva vedere. Sono della Juve, lo sono sempre stato ma quando scendo in campo con una maglia gioco per quella, siamo professionisti: questo viene dimenticato perché fa comodo, così si crea la polemica".
"L’esultanza? è nata nel passaggio dal Bari alla Juventus. Da noi si dice, quando parli male di qualcuno, ‘Sciacquati la bocca’. Ho un gruppo di amici dove c’è chi tifa Lazio, chi Roma, chi Juve, chi Inter, chi Milan… Quando mi trasferii alla Juve facemmo una scommessa: se avessi segnato almeno 5 gol al mio primo anno, esultando sempre in quel modo, tutti i miei amici si sarebbero rasati a zero come me. Quell’anno feci 4 gol, quindi non vinsi la scommessa e fortunatamente per loro si tennero i capelli. Poi da lì notai che i ragazzini mi salutavano con quell’esultanza: è una cosa carina, un gesto tra amici, e allora continuai a farlo. Poi dopo una gara con la Roma in cui segnai, misi sui social la mia esultanza e lì nacque la polemica che avevo attaccato i tifosi, che era un gesto verso i sosten tori giallorossi. Da quel momento ogni volta che esultavo era polemica, far capire il vero significato era una causa persa. Fortunatamente ho fatto tanti gol, e diversi importanti tra Juve, Milan e Italia. Anche con l’Union Berlino, quando ho segnato sotto il ‘muro giallo’ del Borussia Dortmund, ho esultato allo stesso modo: questo per dire che non è che faccio quel gesto contro i tifosi avversari".
Ho avuto tanti allenatori, il mio modello è Conte
"Fare un gol o un intervento incredibile in difesa? Per noi difensori il salvataggio di un gol è unico. Il problema è che viene visto in maniera diversa: se intervieni e salvi un gol hai fatto il tuo, nessuno esalta quello che hai fatto. Vengono idolatrati i portieri se salvano una rete o i giocatori che segnano. Ricordo l’intervento su Higuain, ma anche quello in Champions contro la Lokomotiv Mosca: Szczesny era battuto su un tiro di Joao Mario e io salvai sulla linea, di coscia, e quello valse il passaggio agli ottavi. Quegli interventi li ricordo io e chi vive per quello, ma la gente si ricorda il gol del 3-2. Oggi con i social è più facile esaltare i gesti difensivi, prima era molto più difficile. Tra l’altro io iniziai centrocampista, poi alla Berretti della Viterbese cambiai ruolo. Quell’anno lì iniziai addirittura come prima punta perché non era arrivato l’attaccante che serviva: feci 7 partite e 4 gol. Poi arrivò il centravanti e mi spostò a difensore, non passando nemmeno per il centrocampo. E lì mi fu detto che se volevo fare carriera come stava facendo Nesta dove giocare lì, avendo visione di gioco pur dovendo migliorare nella fase difensiva. Io ero scettico, ma ero il capitano della squadra e a malincuore accettai per non contraddire l’allenatore".
"Scudetti. Il più bello fu il primo: venivamo da due settimi posti, la Juve faceva fatica a ritrovarsi dopo il 2006. E con Conte iniziò questa cavalcata: nessuno ci dava per protagonisti del campionato, e invece con lavoro, dedizioni e la mentalità di Antonio siamo stati un rullo compressore. Ho avuto la possibilità di essere allenato da tanti allenatori, ma quello a cui sono più grato è Conte. Lui ha inventato la BBC, sono migliorato tantissimo grazie a lui. Poi ho avuto altri tecnici bravi come Mancini con cui abbiamo vinto l’Europeo o Lippi che mi chiamò in Nazionale all’inizio. Mi piace anche ricordare Gattuso che ho avuto al Milan: è come un fratello, lo voglio ricordare perché per me è stato importante averlo, per l’uomo oltre che per l’allenatore".
"Conte sicuramente per me è un modello, da cui prendere spunto. Qualche episodio? Quando abbiamo litigato (ride, ndr). Ce ne siamo dette di ogni: era il 2014. Aveva cambiato modulo e non avevo giocato, il giorno seguente in allenamento mi stuzzicava perché non andavo al massimo. Aveva ragione, ma io sono orgoglioso, sentivo di aver subito un torto. Arrivammo praticamente faccia a faccia, ma il giorno dopo ci siamo abbracciati e ancora oggi ci sentiamo spesso, ci confrontiamo. Cosa fa la differenza nel suo modo di allenare? La preparazione tattica, che è sotto gli occhi di tutti, ma anche meticolosità e costanza in quello che fa. È un martello che non molla e ti convince che quello che ti sta dicendo ti porta alla strada giusta, e tante volte è successo quello che diceva in riunione o ti faceva vedere sul campo. Oltre a questo, ha la dota di tirarti fuori la parte animale: basti pensare all’Italia di Euro 2016. Eravamo una Nazionale media che se l’è andata a giocare coi campioni del mondo della Germania, e perdemmo solo ai rigori. Ricordo che ci fece fare dei testi all’inizio dell’Europeo che sembravano assurdi considerando che avremmo dovuto giocare 10 giorni dopo. Invece lui per dimostrarti che potevi dare il 100% ci fece fare quel test e ci disse che chi non lo finiva non sarebbe nemmeno stato convocato".
Come nasce l'esultanza dello sciacquarsi la bocca
"Il gol a Torino contro la Juve e l’esultanza dello sciacquarsi la bocca? Era la mia celebrazione solita: io ho sempre detto che non capisco chi non esulta contro le squadre con cui ha giocato, per vari motivi. Il primo è che se sei stato venduto nessuno ha puntato la pistola, anche la società ha deciso di vendersi. Secondo, non rispetti i tuoi nuovi tifosi che sono venuti allo stadio a vederti. Tre, prima della partita ero entrato in campo e avevo ricevuto soltanto fischi e insulti dallo stadio. Probabilmente si comportarono così sia per amore che per odio. E io fui vero in quel momento: avevo segnato il gol del pari, importante. Ero il capitano del Milan, e poi ho rispettato i tifosi arrivati da tutta Italia per tifare Milan. Non ho mancato di rispetto ai sostenitori della Juve, ho rispettato quelli rossoneri. Anche in quel caso fu creato il falso mito che Bonucci è antipatico, che nessuno vorrebbe perché è juventino… Cosa che è tornata fuori quando è saltato il trasferimento dall’Union Berlino alla Roma, perché i tifosi giallorossi dicevano che uno juventino con la loro maglia non si poteva vedere. Sono della Juve, lo sono sempre stato ma quando scendo in campo con una maglia gioco per quella, siamo professionisti: questo viene dimenticato perché fa comodo, così si crea la polemica".
"L’esultanza? è nata nel passaggio dal Bari alla Juventus. Da noi si dice, quando parli male di qualcuno, ‘Sciacquati la bocca’. Ho un gruppo di amici dove c’è chi tifa Lazio, chi Roma, chi Juve, chi Inter, chi Milan… Quando mi trasferii alla Juve facemmo una scommessa: se avessi segnato almeno 5 gol al mio primo anno, esultando sempre in quel modo, tutti i miei amici si sarebbero rasati a zero come me. Quell’anno feci 4 gol, quindi non vinsi la scommessa e fortunatamente per loro si tennero i capelli. Poi da lì notai che i ragazzini mi salutavano con quell’esultanza: è una cosa carina, un gesto tra amici, e allora continuai a farlo. Poi dopo una gara con la Roma in cui segnai, misi sui social la mia esultanza e lì nacque la polemica che avevo attaccato i tifosi, che era un gesto verso i sosten tori giallorossi. Da quel momento ogni volta che esultavo era polemica, far capire il vero significato era una causa persa. Fortunatamente ho fatto tanti gol, e diversi importanti tra Juve, Milan e Italia. Anche con l’Union Berlino, quando ho segnato sotto il ‘muro giallo’ del Borussia Dortmund, ho esultato allo stesso modo: questo per dire che non è che faccio quel gesto contro i tifosi avversari".