"La solidità e la continuità della proprietà è un elemento importante"
Perché nel calcio dei fondi voi avete una persona fisica che vi parla.
«Non c’è un azionista anonimo. Qui tutti sanno cos’è e cosa rappresenta la famiglia Agnelli nella storia di questo club».
La famiglia e la continuità secolare è la ragione per la quale la Juventus, alla fine, supera ogni tipo di crisi?
«La solidità e la continuità della proprietà è un elemento importante. Che emerge e che inorgoglisce anche i giocatori della Juventus. Anche nei momenti particolarmente difficili e situazioni di grave emergenza, come quelli dell’anno scorso, c’è la garanzia dell’impegno di questo tipo di proprietà ed è un elemento che aiuta anche a livello di comunicazione e motivazione interna. Il fatto comunque di avere una proprietà come la nostra alle spalle, che ha garantito il suo supporto, ha reso una situazione di pura emergenza possibile da gestire».
Il divorzio di Allegri se lo aspettava un po’ diverso?
«Il finale è stato inaspettato. Sicuramente abbiamo avuto una seconda parte della stagione che non è stata facile sotto il profilo sportivo. Poi c’è stata quella reazione nella finale di Coppa Italia che ci ha obbligati a dover prendere delle iniziative e interrompere il rapporto con lui. La volontà di entrambe le parti è stata quella di trovare un accordo cosi come è avvenuto. Detto ciò, anche nella fase successiva all’interruzione, il rapporto personale con Max è sempre stato ottimo sia dal punto di vista professionale che personale».
Le leghe fanno causa alle grandi manifestazioni internazionali, tutti si litigano spazi nei calendari. Ci può essere un equilibrio fra il calcio locale e quello globale?
«Secondo me è più un tema di numero di partite complessive che le squadre debbono fare. E quindi personalmente credo che si debba trovare un maggiore equilibrio su quel numero. Perché poi ci sono pure le nazionali e, per esempio, tanti dei nostri giocatori sono sempre convocati e questo fa lievitare ulteriormente le gare. Tra l’altro, le nazionali assorbono il 25% del tempo dei nostri giocatori, per i quali noi abbiamo il 100% dell’onere economico e questo senza nessun tipo di assicurazione o garanzia da parte di chi organizza i tornei. Insomma, il 25% del tempo dei calciatori non è nella nostra disponibilità. Poi noi li mettiamo a disposizione delle loro nazionali volentieri, beninteso. Però è singoare che un quarto del tempo non lo dedicano alla società di provenienza, la quale, come tutti sappiamo, investe fior di milioni in questi giocatori, senza essere assolutamente tutelata. Dal mio punto di vista, quindi, è urgente trovare un punto di equilibrio. E gli scontri sono inutili: secondo voi, se sparissero la Champions o il Mondiale per club, quelle risorse si riverserebbero tutte e automaticamente nei campionati nazionali? Per me no. Quindi, secondo me, la crescita del valore delle competizioni domestiche sta nello sviluppo del progetto dei campionati. Abbiamo l’esempio della Premier che è stata bravissima in questo e noi dobbiamo essere in grado di fare un progetto qualitativamente migliore: dal punto di vista del calcio espresso, delle strutture correlate, della spettacolarizzazione del prodotto, in modo che possa generare maggiori ricavi e quindi far ripartire il volano dei campioni».