Non è la vittoria in sé, per quanto importante. Neanche il gioco, per quanto ci siano stati sprazzi anche spettacolari. È il modo in cui il 3-2 di Lipsia è arrivato, le circostanze emotive, la tensione con cui ha vibrato tutta la squadra nel superare le difficoltà. È difficile dirlo adesso, anzi è proprio un azzardo, perché la storia si scrive sempre dopo ed è dopo che si individuano meglio i momento di svolta di una stagione o, addirittura, di un ciclo. Eppure, da mercoledì sera, il popolo juventino ha un pensiero che sussurra ricordi del passato e la sensazione di aver assistito a uno di quelle partite lì, di quelle che in cui la storia mette la freccia e se va in un’altra direzione. Degli indizi, d’altronde, ci sono. Per esempio l’impennarsi delle difficoltà nel corso della partita, la cui sceneggiatura sembrava un film di Fantozzi ma che la Juventus ha recitato come fosse Rocky.
Dopo una manciata di minuti perdi, in modo brutale, il tuo difensore più forte, per l’occasione anche capitano. E lo capisci che non è una roba da niente, perché esce disperato. E non è rassicurante quando una montagna di muscoli con il numero tre sulla schiena esce piangendo. Poi esce Nico Gonzalez. Poi segnano gli altri e il loro centravanti sembra la reincarnazione di Van Basten. E infine il rigore solare negato da Letexier senza neppure andare al Var. Alla mezzora del primo tempo ne sono successe abbastanza per arrendersi psicologicamente. E invece la Juventus resta in partita. La gioca tranquilla, senza fretta o nervosismo, sfruttando la tecnica dei suoi giocatori migliori.