Se non segni non vinci, perché il possesso palla e le occasioni non valgono per la classifica: l’implacabile lezione di Juventus-Cagliari si abbatte su Thiago Motta e la sua squadra, con un rimbombo allegriano (e infatti innesca il dibattito più inutile, più sterile e più demenziale del mondo sul che cosa si sarebbe detto se l’allenatore fosse stato Allegri). Ma se l’errore lunare di Vlahovic è l’essenza del calcio, per cui ogni ragionamento si frantuma di fronte a un pallone che entra o che esce, bisogna essere in malafede per non riconoscere la costante crescita della Juventus.
Il grande mistero Vlahovic
E, sì, il possesso, il gioco fluido nella metà campo avversaria, il costruire molte occasioni non servono a nulla se non la butti dentro, ma giocare come ha giocato ieri la Juventus, alla lunga, aumenta in modo importante le probabilità di vincere. Questo è il bicchiere mezzo pieno della gente juventina, sballottata dall’andamento di Vlahovic, in grado di passare dal paradiso all’inferno in tre giorni, trascinandosi dietro l’umore di milioni di tifosi. Resta un mistero come faccia, un giocatore, a segnare gol difficili e spettacolari, come quelli di mercoledì, e fallirne uno elementare come ieri. Ma è il grande mistero Vlahovic, uno di cui la Juventus non può fare a meno, perché mancano i gol dei centrocampisti (a partire da Koopmeiners) e un vice Dusan.