«Mister, ma siamo mica matti a mandarlo in Primavera? Questo deve rimanere qui con noi», aveva detto Pirlo. «Andrea, ma credi che sia scemo?», aveva risposto Conte. Era l’estate del 2012, eravamo tutti più giovani e Pogba era ancora un teenager, ma in quei diciannove anni c’era qualcosa di esplosivo e nuovo. Il primo Pogba, quello che in un allenamento aveva fatto sobbalzare uno come Pirlo, non ci aveva messo molto a far detonare il suo talento e aprire una finestra dalla quale consentire a tutti di guardare il futuro del calcio.
Pogba, il primo Pogba, è stato uno dei prototipi della modernità: un giocatore al quale è sempre stato difficile assegnare un ruolo, un centrocampista che sapeva fare l’attaccante, che aveva piedi da trequartista e attitudine da mediano, a suo agio in ogni zona del campo e in ogni situazione di gioco, si trattasse di scagliare una sassata sotto l’incrocio o rubare il pallone all’avversario con i suoi tentacoli da polpo. E tutto con una potenza muscolare e un dinamismo atletico da giocatore da Nba. E dei fenomeni del basket americano aveva anche l’attitudine a fare lo show, a diventare personaggio sopra le righe, con i balletti e le pose, con le pettinature, insomma con quell’insieme di cose che lo ha connesso immediatamente alle nuove generazioni, di cui è stato un simbolo oltre che un idolo. Pogba e una manciata di altri giocatori della sua generazione (Tony Kroos, De Bruyne, forse Thiago Alcàntara) hanno stabilito parametri diversi per un centrocampista, ispirando a loro volta un giocatore come Jude Bellingham che ricorda il primo Pogba juventino.
Juve-Cagliari, tra Pogba e Elkann parterre de roi allo Stadium