Niente, è più forte di loro. La squalifica di Francisco Conceiçao è un inno all’ottusità. "Non si poteva fare altrimenti, sul referto c’è scritto quello", rispondono gli esperti di ingiustizia sportiva. Quindi, ricapitolando: l’arbitro Marinelli prende un abbaglio ed espelle Conceiçao per simulazione; poi, coerente con il suo errore, scrive il referto e ribadisce il concetto; nel frattempo il vicedesignatore arbitrale Gervasoni dice, in tv, che quella è una decisione sbagliata e il designatore Rocchi conferma il giorno dopo. Ma ormai la macchina è partita e non ci sono freni e manco il volante, si va dritti contro il muro della logica per la quale, quando si sbaglia, si può anche correggere (e poi quello che distingue le persone intelligenti, no?). E invece no: prendi il referto, leggi il referto, guarda il tabellario, emetti sentenza, timbro, avanti un altro, qui non si perde tempo a ragionare.
Credibilità a pezzi
Così Francisco Conceiçao si è beccato una giornata a gratis e Thiago Motta dovrà farne a meno (la Lazio ringrazia sentitamente per il favore non richiesto), tutto per un errore riconosciuto da tutti, ma purtroppo scritto in un referto. Ed è su questo punto che sale la carogna, perché si possono cambiare le parole del Padre Nostro, ma il referto di Marinelli è intoccabile, inciso sulla pietra tipo i comandamenti. Perché, sì lo ammettiamo, forse stiamo dedicando fin troppo spazio al caso Conceiçao in sé (goccia nell’oceano degli errori di un campionato), ma il caso Conceiçao è emblematico di un ragionare rigido tipico dei sistemi che non funzionano. Cioè, uno scrive una cavolata, tutti la riconoscono come tale, ma ormai non si può fare più niente, eeehh... spiace ma è così. Ma quale credibilità può avere una giustizia che funziona così? Che non riesce mai a essere coerente con se stessa sia quando valuta un pestone che quando giudica le plusvalenze in due, se non tre, modi diversi.