TORINO - "È l’avversario peggiore che ho dovuto affrontare, ma alla fine ho vinto io". Stefano Tacconi si racconta nel libro “L’arte di parare” (editore Rizzoli, 17 euro) uscito ieri, un’autobiografia divisa metaforicamente in due tempi con una data, il 23 aprile 2022, a fare da spartiacque: prima la carriera di portiere della Juventus ricca di Coppe e scudetti, poi l’aneurisma celebrale che lo ha colpito e che lo ha costretto a una lunga riabilitazione, affrontata con lo stesso coraggio e forza di volontà con cui scendeva in campo. Tacconi, come nasce l’idea del libro? "Ne avevo già fatto uno, ma era soltanto fotografico, adesso invece c’è la mia vita. Vediamo come va". Quale messaggio ha voluto dare? "Un messaggio di speranza, dopo quello che mi è successo. Voglio dire a chi sta affrontando problemi di salute che si può ricominciare tutto da capo. Io ne sono un esempio". Lei scrive, "avrei preferito trovarmi in porta, con Maradona davanti e 80 mila napoletani che mi urlano cornuto, e perdere un’altra volta, piuttosto che crollare come è successo nell’aprile 2022»... «Lì ero io a decidere, qui non ho deciso io, purtroppo".
Tacconi: "Non sono più il solito stron..."
Ha intitolato il primo capitolo “Il solito stron...”: è autobiografico e perché?
"Perché fa parte del mio carattere: prima non guardavo mai in faccia nessuno, dicevo sempre quello che mi passava per la testa. Adesso, invece...".
È un po’ meno stron...?
"Sicuramente sì, la malattia mi ha cambiato, diciamo un po’ cambiato, sto più attento alle cose".
C’è un parallelo tra il parare i tiri degli avversari e parare i colpi quando la malattia ha provato ad abbatterla?
"No, è sempre il solito Tacconi che para tutto, però l’aneurisma è stato l’avversario peggiore che abbia mai affrontato".
Questo libro è diviso metaforicamente in due tempi. Esiste un terzo tempo?
"Spero proprio di no per quanto riguarda la malattia, per la mia vita voglio un terzo tempo perché ho ancora dei sogni da realizzare".
Ce ne dice uno?
"Aprire un ristorante con mio figlio: ad Alba abbiamo già una cantina, ma cucinare è sempre stata la mia passione".
Cucinava in ritiro ed è riuscito a cucinare anche in uno dei centri di riabilitazione...
"Quando me lo hanno lasciato fare ho capito che stavo guarendo".
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