Tacconi: "Sono scappato con la carrozzina"
È stato un paziente difficile, ribelle come da atleta...
"Scappavo con la carrozzina, una volta mi hanno trovato al quarto piano e non hanno capito come ci sono arrivato. Certe volte mi legavano al letto perché per ben tre volte sono caduto cercando di alzarmi. Mia moglie e mio figlio Andrea hanno avuto tanta pazienza...".
Qual è stata la parte più difficile della riabilitazione: provare di nuovo a mangiare, parlare, ricordare o camminare?
"Un po’ tutto, il cervello è andato indietro di tanti anni, ricordavo cose di 30 anni prima e non del mattino. Avevo difficoltà a parlare, muovermi, però con la riabilitazione ho recuperato. Ad Alessandria, al Don Gnocchi a Milano e poi a San Giovanni Rotondo hanno fatto dei miracoli, ma è stato lungo e io ero insofferente".
In cosa si sente più forte e in cosa si sente più debole dopo la malattia?
"Più debole fisicamente, devo continuare la riabilitazione, ci vuole ancora tempo, però ho un carattere forte. Adesso non faccio più il fighetto di un tempo, sono più forte nel controllare le cose, nel seguire delle regole nel mangiare e nel bere, mi hanno tolto anche il fumo. Non faccio fatica dopo aver visto la morte in faccia...".
A che punto si sente del percorso?
"Sono al 70-75%, sono molto soddisfatto, hanno fatto dei miracoli, mi hanno rimesso a nuovo, peccato soltanto che a San Giovanni Rotondo fossero tutti interisti, ci siamo scontrati un po’ con il medico, ma il suo contributo è stato provvidenziale".
Paragonando la malattia con una metafora calcistica, è stato un rigore, una punizione a giro, un autogol?
"È stata una partita con supplementari e rigori, però ho vinto io".
Essere stato un atleta quanto l’ha aiutato non solo a livello fisico ma anche mentale?
"Moltissimo perché mi ha permesso di non mollare mai. Quando si perdeva una partita dovevi reagire subito, la sconfitta ti aiutava a migliorare, c’era attitudine alla sfida e al sacrificio".