Nella storia dei grandi clubs del calcio è ricorrente, al termine di un ciclo vincente, operare una rifondazione proiettata verso il futuro e, auspicabilmente, destinata ad aprire un nuovo ciclo con l’obbiettivo di ripetere i fasti del passato. Normalmente la rivoluzione è limitata alla sola gestione sportiva, attraverso il cambiamento dei dirigenti, della guida tecnica e di gran parte della rosa dei calciatori. Questa nuova fase della vita sportiva e societaria della Juventus nasce, invece, da un progetto molto più complesso e radicale, che investe il club a 360 gradi, sia in relazione al comparto gestionale, sia avuto riguardo a tutto ciò che concerne l’organizzazione della prima squadra.
La necessità di un cambiamento
In verità, la necessità di un cambiamento radicale nella amministrazione e nella gestione economica della Società è stata imposta, da un lato, dalle conseguenze negative dell’emergenza Covid 19 (che hanno drasticamente ridotto i ricavi a fronte di costi divenuti in tal modo insostenibili) e, dall’altro, dalle decisioni di una a dir poco daltonica giustizia sportiva, probabilmente incapace di distinguere colori diversi dal bianco e dal nero e produttiva, nei confronti di un solo club, di perdite quantificabili in almeno 100 milioni di euro per effetto di discutibili decisioni che hanno portato alla esclusione della Juventus dalla coppe europee.
Per far fronte a perdite di bilancio quantificabili nel 2023/2024 in 199 milioni di euro (per oltre la metà dovute alle conseguente delle decisioni della giustizia sportiva), la società ha dovuto e saputo porre in essere una rivoluzionaria politica gestionale rivolta ad operare una forte contrazione delle spese connesse alla rosa della prima squadra (un taglio di oltre 130 milioni di euro con riferimento al triennio precedente), liberandosi degli ingaggi più onerosi e indirizzando gli investimenti (pur rimasti importanti) verso calciatori giovani e dall’ingaggio sostenibile.