"Lui faceva finta di non sapere". Si apre così il documentario 'Fragile - la storia di Nicolò Fagioli' su Amazon Prime in cui viene raccontata la brutta esperienza del centrocampista della Juve con la ludopatia. A iniziare il racconto è proprio Laura, la mamma: "Mi ha chiamato dicendomi ci fosse la Polizia sotto a casa ma che non sapeva il motivo". Sette mesi lunghi, difficili, quelli vissuti dal classe 2001 nel periodo della squalifica ma anche un modo per 'spogliarsi' e spiegare a tutti cos'è successo e perché. Un documentario in cui si ripercorre tutto il periodo con le parole della famiglia, di alcuni compagni, Giuntoli e Paolo Jarre, piscoterapeuta con cui Fagioli ha intrapreso il suo percorso riabilitativo. "Sapevo di avere una malattia, ma non volevo ammetterlo a me stesso..." inizia Nicolò.
Fagioli e le scommesse: "Giocavo per adrenalina"
"Ho iniziato a giocare qualche scommessa con gli amici quando avevo 16 anni - ha iniziato Nicolò Fagioli -. Era un modo stupido per passare il tempo. Negli anni è peggiorata perché ha iniziato a essere sempre più frequente perché poi mi alzavo con la voglia di andare a scommettere. In U23 ho iniziato a giocare più soldi del normale. All'inizio non giocavo per vincere soldi ma per l'adrenalina che mi dava. Quando ero alla Cremonese avevo preso il Covid e mi era durato 25 giorni e stavo molto tempo in casa. In quel periodo era diventato tutto automatico farlo, ho iniziato a capire che potevo avere qualche problema. Sono andato al SERT per parlare con qualcuno che si occupasse di gioco d'azzardo per due o tre volte, ma non mi sembrava molto utile a me stesso".
E poi ha continuato: "Pensavo di non aver bisogno di persone specializzate per uscire da questa cosa. Ho iniziato a capire che poteva esserci qualcosa di pesante nei miei confronti a settembre del 2022, nella stagione in cui sono tornato alla Juve dalla Cremonese. Continuavo a sfuggire dai problemi e anche le somme che scommettevo erano sempre più grandi così come i problemi. Non volevo ammetterlo a me stesso e sono andato avanti 6-7 mesi. Ogni tanto vincevo ma ripagavo quel che perdevo. Nel momento più brutto facevo anche 12-13 ore attaccato al telefono, non me ne accorgevo proprio. Sembrava una bolla con me stesso, mi parlavano e dopo un'ora mi ero scordato cosa mi avevano chiesto o detto". L'inizio del calvario...