Motta e Guardiola allenatori in fuga...dai guai: Juve-City, chi esce dalla crisi

Percorsi diversi, filosofie simili: i due tecnici si sfidano in Champions nel periodo più duro delle loro avventure nei rispettivi club

TORINO - Il bello del calcio, come dello sport in generale, è che dopo qualche giorno ti offre l’opportunità di risollevarti: non sempre nella vita si ha un’altra occasione. Thiago Motta ne avrà a disposizione una bella grossa, perché uscire mercoledì sera dallo Stadium con lo scalpo - sportivamente parlando si intende per carità - di Pep Guardiola sarebbe il modo migliore per zittire chiunque, specialmente chi si lancia in paragoni improbabili con la gestione precedente. Motta è pur sempre ai primi mesi di una nuova avventura e adesso sta cominciando a sentire il peso di una pressione diversa e difficilmente paragonabile con altre piazze. Dall’altra parte non è che se la passino meglio, pur con tutti i distinguo del caso: Guardiola è nel pieno di un ciclo in cui ha vinto tutto, in una fase pure fisiologica di difficoltà che potrebbe sbloccarsi da un momento all’altro. E Thiago, ovviamente, spera che non sia proprio mercoledì il momento per rivedere il vero City.

Motta, la pareggite e il nervosismo

Perché se è vero come è vero che non esiste un momento migliore per affrontare una corazzata come l’altra metà di Manchester, è altrettanto chiaro quanto l’occasione di affrontare un gigante stanco e indebolito sia più unica che rara: approfittarne darebbe tutto un altro senso a questo finale di anno solare, oltre che una spinta propulsiva notevole nella articolata classifica di Champions League. Di contro, non c’è il rischio - nonostante il periodo complesso sotto il profilo dei risultati - che la squadra di Motta possa sottovalutare un avversario con quel nome: entrambi gli allenatori dovranno fare di necessità virtù a causa degli infortuni, ma non sarà certo una corsa agli alibi, non sarebbe nello stile di nessuno dei due. Giochisti in crisi, quantomeno di risultati, perché Motta non può certo essere contento della pareggite di cui la Juventus sta dimostrando di soffrire: certi pareggi, poi, possono pesare come sconfitte nel computo finale in primavera, quando si va di conto. Che poi è giusto anche sottolineare quanto ogni pari faccia storia a sé e sia diverso dall’altro, per peso specifico e per come possa essere maturato.

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Motta e Pep, sfida a scacchi

Quello con il Bologna, a guardare il bicchiere mezzo pieno, è un punto di reazione, di squadra che lotta, di voglia: che la scossa sia arrivata quando Motta è stato espulso è forse un caso o magari anche no, fatto sta che il nervosismo dell’allenatore era tangibile fin da prima del fischio del signor Marchetti, del quale si aspetta il referto con conseguente comunicazione del giudice sportivo per capire come sia andata la vicenda dell’espulsione - per la quale Thiago si è già pubblicamente scusato - e se ci saranno ulteriori strascichi, come una multa o una squalifica di un turno. Che l’allenatore italo-brasiliano non fosse tranquillo al primo incrocio con la sua vecchia squadra si è capito bene anche nel post partita, quando sono emerse vecchie ruggini irrisolte con l’ambiente rossoblù a riaprire una ferita aperta per la piazza, quantomeno per come è stato gestito l’addio. Tant’è, nel calcio si può guardare avanti e Motta l’ha fatto già ieri, nel primo vero allenamento di preparazione alla super sfida di mercoledì, che sarà una partita a scacchi di tattica con lo stratega Pep: analisi con la squadra di ciò che non ha funzionato sabato sera, specialmente a cavallo tra l’ultima parte del primo tempo e l’inizio del secondo, cioè quando la Juve ha incassato i gol di Ndoye e Pobega. Per trovare una cura alla pareggite basta quello, si fa per dire: partire dalla prestazione per tornare alla vittoria. E a quel punto anche il nervosismo non sarebbe più un problema...

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Guardiola, il “giochismo” alla rovescia

Josep “Pep” Guardiola non ha mai frequentato percorsi banali, dissimulando anzi a fatica una sofferenza interiore di fondo a fronte dello stress con cui è obbligato a convivere un allenatore che opera ad alto, perfino altissimo, livello. Ha sempre cercato di mantenere un salvifico distacco dal buio che può inghiottirti quando non riesci a camminare in equilibrio sull’orlo del precipizio, e non è stata causale la decisione di concedersi un anno di stacco totale quando lasciò il Barcellona dei trionfi: casa sua, certo, ma ormai troppo affollata di gente, ansie, aspettative, ricordi e, perché no, vittorie. Non è mica vero che ti abitui e che non te ne frega più nulla di vincere: se sei programmato per fare quella roba e se cresci dentro quella roba lì, se non vinci stai male. È un graffio nell’anima che viene fuori. Ecco: puoi aver vinto campionati in serie, aver dimostrato che la Champions non era solito merito di Messi, Xavi, Iniesta e fenomeni vari, ma se perdi 5 partite di fila ti crolla il mondo addosso. Perché quello non è il posto in cui sei abituato a stare e, neppure troppo in fondo, lo sai che avresti dovuto abbandonarlo. A Barcellona si decise a farlo, raccontano, quando si accorse che durante i “torelli” prima degli allenamenti o delle partite il pallone non “schioccava” più con il suono giusto. Il segnale di una stanchezza diffusa, del logoramento di uno spirito che alla fine riguardava anche lui.

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City fra indagini e infortuni

A Manchester, invece, ha accettato un rinnovo quando lui per primo era consapevole che pure questa volta si è a fine percorso. Ma la riconoscenza verso il club e la volontà di mandare un segnale proprio nel momento in cui il City è oggetto di una severa indagine da parte della Premier, hanno prevalso: "Il Manchester City significa molto per me. Questa è la mia nona stagione qui; abbiamo vissuto così tanti momenti fantastici insieme. Ho un sentimento davvero speciale per questa squadra. Ecco perché sono così felice di restare per altre due stagioni". Salvo, poi, tenere comunque una porta aperta: "Perché il contratto è necessario per lavorare, ma il club sa che quando verrà il momento in cui è finito, il club lo saprà". E infine la dolce ossessione: "Abbiamo vinto molto e mi sento bene qui. È un lavoro e devi avere un contratto ma so che se non vinciamo, forse non continuerò. Lo so esattamente e vogliamo vincere ancora tanto". Ma capita che i giocatori si infortunino - e non gente qualunque: Rodri, De Bruyne, Stones, Kovacic, Foden - e che la mistica si sfarini dentro la sazietà a fronte di concretezza e freschezza altrui. Perché Guardiola è sempre lui, ma mai prima d’ora Guardiola aveva conosciuto un novembre così devastante: cinque partite, un pareggio e quattro sconfitte; 15 gol subiti e 6 realizzati tra Premier League e Champions League. E una sconfitta in Coppa di Lega contro il Tottenham.

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La corona di spine di Pep

Una corona di spine che Pep si è conficcato, neppure troppo metaforicamente, sul capo nel momento che più di tutti ha esemplificato la sua difficoltà di controllo sugli eventi in campo: il pareggio contro il Feyenoord in Champions dopo che i suoi si erano portati in vantaggio sul 3-0. Tra l’illusione di aver fatto ripartire la sua macchina perfetta e la frustrazione di una fragilità irrisolta ha prevalso quest’ultima. Con un dolore perfino fisico. E, di nuovo, non è un caso che perfino un vincente seriale come Guardiola abbia avvertito la necessità infantile di ricordarlo ai contestatori, che sa vincere, di fuggire le insicurezze aggrappandosi a un passato per il cui ricordo non è certo necessario ricorrere agli almanacchi. Se sei abituato a essere il primo della classe, fai fatica a sopportare le critiche della gente comune, di quella che non sa quanto sia profondo l’abisso che tu bordeggi - privilegiato e ricco fin che vuoi - quotidianamente. In ogni maledetta partita, compresa quella di mercoledì allo Stadium in quella Champions che non è più il tuo giardino di casa. Almeno fino a quando non torneranno i giardinieri che coltivano la tua stessa ossessione: vincere.

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TORINO - Il bello del calcio, come dello sport in generale, è che dopo qualche giorno ti offre l’opportunità di risollevarti: non sempre nella vita si ha un’altra occasione. Thiago Motta ne avrà a disposizione una bella grossa, perché uscire mercoledì sera dallo Stadium con lo scalpo - sportivamente parlando si intende per carità - di Pep Guardiola sarebbe il modo migliore per zittire chiunque, specialmente chi si lancia in paragoni improbabili con la gestione precedente. Motta è pur sempre ai primi mesi di una nuova avventura e adesso sta cominciando a sentire il peso di una pressione diversa e difficilmente paragonabile con altre piazze. Dall’altra parte non è che se la passino meglio, pur con tutti i distinguo del caso: Guardiola è nel pieno di un ciclo in cui ha vinto tutto, in una fase pure fisiologica di difficoltà che potrebbe sbloccarsi da un momento all’altro. E Thiago, ovviamente, spera che non sia proprio mercoledì il momento per rivedere il vero City.

Motta, la pareggite e il nervosismo

Perché se è vero come è vero che non esiste un momento migliore per affrontare una corazzata come l’altra metà di Manchester, è altrettanto chiaro quanto l’occasione di affrontare un gigante stanco e indebolito sia più unica che rara: approfittarne darebbe tutto un altro senso a questo finale di anno solare, oltre che una spinta propulsiva notevole nella articolata classifica di Champions League. Di contro, non c’è il rischio - nonostante il periodo complesso sotto il profilo dei risultati - che la squadra di Motta possa sottovalutare un avversario con quel nome: entrambi gli allenatori dovranno fare di necessità virtù a causa degli infortuni, ma non sarà certo una corsa agli alibi, non sarebbe nello stile di nessuno dei due. Giochisti in crisi, quantomeno di risultati, perché Motta non può certo essere contento della pareggite di cui la Juventus sta dimostrando di soffrire: certi pareggi, poi, possono pesare come sconfitte nel computo finale in primavera, quando si va di conto. Che poi è giusto anche sottolineare quanto ogni pari faccia storia a sé e sia diverso dall’altro, per peso specifico e per come possa essere maturato.

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