La corona di spine di Pep
Una corona di spine che Pep si è conficcato, neppure troppo metaforicamente, sul capo nel momento che più di tutti ha esemplificato la sua difficoltà di controllo sugli eventi in campo: il pareggio contro il Feyenoord in Champions dopo che i suoi si erano portati in vantaggio sul 3-0. Tra l’illusione di aver fatto ripartire la sua macchina perfetta e la frustrazione di una fragilità irrisolta ha prevalso quest’ultima. Con un dolore perfino fisico. E, di nuovo, non è un caso che perfino un vincente seriale come Guardiola abbia avvertito la necessità infantile di ricordarlo ai contestatori, che sa vincere, di fuggire le insicurezze aggrappandosi a un passato per il cui ricordo non è certo necessario ricorrere agli almanacchi. Se sei abituato a essere il primo della classe, fai fatica a sopportare le critiche della gente comune, di quella che non sa quanto sia profondo l’abisso che tu bordeggi - privilegiato e ricco fin che vuoi - quotidianamente. In ogni maledetta partita, compresa quella di mercoledì allo Stadium in quella Champions che non è più il tuo giardino di casa. Almeno fino a quando non torneranno i giardinieri che coltivano la tua stessa ossessione: vincere.