Mattia Perin e la consapevolezza Juve. Il portiere bianconero, due gare da titolare nelle ultime due uscite in campionato, ha voluto scrivere un messaggio particolare sui suoi social. Da anni attento alle dinamiche del benessere e della salute mentale, lo ricorderete nella chiacchierata con la psicologa De Dilectis in "Stories of Strenght" per raccontare il suo punto di vista, l'estremo difensore ha deciso di creare un post per dare consapevolezza a se stesso e alla sua squadra.
Perin, dal ruolo di secondo alla co-titolarità con Di Gregorio
C'è chi ci avrebbe giurato, chi è rimasto sorpreso. La convivenza tra Mattia Perin e Michele Di Gregorio non poteva essere più armonica di così. La separazione con Szczesny e il successivo ingaggio dell'ex Monza suonavano come una sorta di bocciatura per l'ex Genoa. Ma l'estremo difensore che da tempo ormai veste la maglia della Juventus non si è scomposto e con determinazione e caparbietà ha quasi scalzato il compagno di reparto. Negli occhi dei tifosi bianconeri sono ancora impresse le parate contro lo Stoccarda, impreziosite da un rigore neutralizzato che aveva tenuto in vita la Vecchia Signora, prima di subire il gol della definitiva sconfitta. Grazie anche al turnover tra le varie competizioni, Thiago Motta ha tra le mani due primi portieri in una sorta di co-titolarità che garantisce alla Juventus un reparto di estremi difensori tra i migliori in circolazione. La società juventina, nel frattempo, non è rimasta a guardare e ha accelerato sul rinnovo del giocatore, prolungando il contratto fino al 2027.
Perin e la mentalità da leader
Oltre alle prestazioni decisamente al di sopra della sufficienza ogni qual volta è stato chiamato in causa, Mattia Perin si è contraddistinto anche fuori dal rettangolo di gioco. La maturità calcistica dimostrata tra i pali si è tradotta in un cambio di personalità e di approccio verso il mondo del calcio e del lavoro, nel senso stretto del termine. Nelle interviste post-partita ha mostrato le stimmate del leader, prendendosi spesso la responsabilità di alcune gare affrontate sottotono dai bianconeri. Nelle orecchie dei tifosi e degli addetti ai lavori risuonano ancora le sue parole nel post-sconfitta contro lo Stoccarda: "Non siamo stati bravi in campo noi a capire quali erano le difficoltà e come risolverle. Non ho mai visto nessuno avere successo senza avere dei fallimenti prima".
Una crescita che è passata dall'affiancamento di un mental coach, come lo stesso giocatore ha raccontato in una recente intervista: "L'idea di avere un mental coach l’ho sempre considerata una scelta personale, che poteva far bene ad alcuni soggetti ed ad altri meno. Da quando ho iniziato a lavorare con Nicoletta (mental coach, ndr) ho raggiunto la consapevolezza che prendere la decisione di lavorare con un mental coach può solo che migliorare la nostra vita quotidiana oltre che quella lavorativa".
E spiega nello specifico come sia cambiato il suo approccio: "È cambiata in modo positivo, prima raggiungevo la sincronia, ossia lo stato di massima performance, in modo naturale senza sapere come avvenisse il processo. Quando invece non riuscivo a raggiungerla mi domandavo perché non mi sentissi in gara e come avrei potuto fare. Solo che più te lo domandi e più la sincronia si allontana. Grazie all’allenamento con Nicoletta (mental coach, ndr) ora ho gli strumenti e la consapevolezza di entrare in sincronia con molta più naturalezza e semplicità".
E aggiunge: "Mi ha dato gli strumenti per poter ammorbidire il mio inconscio, quando ho cominciato a permettere a me stesso di sbagliare senza criticarmi eccessivamente, in quel momento ho cominciato a capire come interagire con il critico interiore, facendolo diventare un mio alleato anziché un antagonista".
Perin e il messaggio social
Non una poesia qualunque, ma una lettera scritta dalla scrittrice american Marianne Williamson. Una poesia per regalare consapevolezza ed essere fonte d'ispirazione per tanti. Lo è stato per Perin che ha voluto pubblicato il testo nelle sue storie su Instagram, soprattutto dopo il momento che sta vivendo la Juve. Tanti, troppi pareggi e l'ultimo con il Bologna che ha aperto di nuovo la contestazione dei tifosi, dopo Lecce, che hanno chiesto qualcosa in più alla squadra. Il 2-2 in rimonta non ha lasciato contenti i tifosi perché anche loro vogliono vedere qualcosa di più sul campo e un cambio di passo. Niente paura, però, perché c'è Perin a trasmettere forza con un messaggio particolare.
Cosa ha scritto Perin
"La nostra paura più profonda non è di essere inadeguati. La nostra paura più profonda, è di essere potenti oltre ogni limite. E la nostra luce, non la nostra ombra, a spaventarci di più. Ci domandiamo: 'Chi sono io per essere brillante, pieno di talento, favoloso?'. In realtà chi sei tu per NON esserlo? Siamo figli di Dio. Il nostro giocare in piccolo non serve al mondo. Non c'è nulla di illuminato nello sminuire se stessi cosicche gli altri non si sentano insicuri intorno a noi. Siamo tutti nati per risplendere, come fanno i bambini. Siamo nati per rendere manifesta la gloria di Dio che è dentro di noi. Non solo in alcuni di noi: è in ciascuno di noi. E quando permettiamo alla nostra luce di risplendere, inconsapevolmente diamo agli altri la possibilità di fare lo stesso. E quando ci liberiamo dalle nostre paure, la nostra presenza automaticamente libera gli altri. Marianne Williamson. Letta da Nelson Mandela" ha scritto il portiere bianconero.
Perin si racconta: dalla Juventus al suo cambiamento
Il portiere della Juventus si è raccontato ai microfoni di Cronache di Spogliatoio. Sono stati tanti i temi toccati e affrontati da Perin, dal suo “nuovo” ruolo di leader, all’avvicendamento con Di Gregorio fino ad alcuni aneddoti sul passato genoano. Di sicuro non si poteva non partire dalla "consulenza", ripresa dalle telecamere, con Thiago Motta durante la partita con il Milan: “Il mister mi si è avvicinato per chiedermi come stavo vedendo i compagni in campo. Era molto felice perché stavamo occupando le posizioni come ci aveva chiesto e stavamo tenendo la partita come l’avevamo preparata. Mi sento un co-titolare, come tutti i miei compagni che si sentono 24/25 titolari, stiamo dimostrando che tutti possono giocare al posto di chiunque. Questo porta a un’ipercompetitività interna che fa benissimo al gruppo perché il livello degli allenamenti si alza moltissimo, facendo sì che si alzi il livello complessivo. Credo che nel calcio si debba andare in questa direzione in futuro: come dicono in tanti, si gioca troppo. Probabilmente è vero. Ma se hai una rosa di 24-25 titolari, dove tutti si possono alternare, diciamo che non ci saranno più giocatori che faranno 60-70 partite in un anno, che comunque ti logora, ma ci saranno giocatori che ne faranno 40-35 e altri 20-25”.
Perin ha diversi estimatori in Serie A, ma ha negli anni ha sempre scelto la permanenza alla Juve: “È stata sottolineata la leadership. Non mi piace autoreferenziarmi, ma essendo uno di quelli che è qui da più tempo, se c’è da prendersi delle responsabilità non mi tiro indietro. Tutto quello che ho costruito in questi anni è una figura affidabile all’interno del Club, ci ho messo tanto lavoro, impegno e professionalità. Ho sempre avuto richieste che mi lusingano, perché dimostra che sto facendo bene il mio lavoro e le persone che guardano mi gratificano, ma giocare per questa maglia scendere in campo dà sempre una pressione particolare. Quella pressione lì mi dà un furore agonistico che mi permette tutte le mattine di alzarmi e venire qui al campo per continuare a migliorarmi giorno dopo giorno. Giocare nella Juventus, seppur giocando meno, mi ha dato l'opportunità di giocare delle finali, di vincere una Coppa Italia da protagonista. Magari in altri clu giocando più partite, non sarebbe potuto capitare”.
Perin, dal "Mattia folle" al "Mattia riflessivo"
Rispetto a qualche anno fa, Mattia Perin è cambiato tantissimo. Cosa ha generato questa “trasformazione”? “Quella parte lì è ancora dentro di me e non la rinnegherò mai. Certe volte cerco ancora di attingere a quella parte quando magari sono un po' scarico a livello energetico, un po' stanco, quella parte lì mi dà un'energia pazzesca. Quello che mi ha dato equilibrio è sicuramente iniziare a lavorare su di me, sotto l'aspetto mentale, e mi ha fatto capire che non c'è solo una parte, non c'è solo un Mattia. C'è una parte centrale del nostro ego che può gestire tante parti diverse e a me piace giornalmente ascoltarmi e sentire di cosa ho bisogno in quel preciso momento. Magari ci sono dei momenti che sono troppo in over di energia che esce quella parte lì e cerco di riequilibrarla con la calma, ascoltandomi, medito tantissimo, tre, quattro volte a settimana e diciamo che, a parte i compiti di essere un buon marito, un buon padre, un buon compagno di squadra, un buon giocatore, un buon figlio, quello che faccio giornalmente è ascoltarmi, la prima cosa. Perché quando io sono in equilibrio posso fare il bene per me e per chi mi sta intorno. E quindi la ricerca di questo equilibrio giornaliero è quello che mi fa insomma vedere le cose sotto più punti di vista, perché magari c'è il Mattia folle, c'è il Mattia diciamo più sereno, più equilibrato e vedendo da diversi punti di vista quello di cui ho bisogno, è quello che mi fa trovare l'equilibrio e di conseguenza essere performante nella vita”.
Sull’importanza della meditazione: “Generalmente lo faccio in camera, isolato ovviamente, e mi prendo quei 20-30 minuti per meditare. Mi fa stare benissimo. Respiro, faccio respirazione diaframmatica. Le tecniche del respiro sono conclamate anche dalla scienza. Migliora il sistema linfatico, migliora il sistema immunitario, fa bene agli sportivi e ai non sportivi”.
La svolta con il Mental Coach
L’estremo difensore racconta come è maturata la decisione di affiancarsi un mental coach: “Me l’ha consigliata il mio agente Alessandro Lucci. Ero in un periodo dove stavo anche pensando di smettere di giocare dopo l'ennesimo infortunio alla spalla, e gli dissi “Ora basta, smetto, vengo a lavorare per te”. Avevo 26 anni. Volevo smettere, basta. Avevo fatto due crociati, tre volte la spalla, tutto in 5 anni. Non mi stavo più divertendo. Lui mi disse: “Datti un’ultima opportunità e prova a iniziare a lavorare con questa ragazza, Nicoletta Romanazzi, con cui attualmente continuo a lavorare, è la mia mental coach. Lavoriamo ancora perché un percorso dove non smetti mai di imparare. Anzi, quando pensi che hai capito come funzioni o come funziona il mondo ti arriva un'altra batosta che ti rimette con i piedi per terra. Invece tramite questo percorso ho imparato l'umiltà del lavoro su se stessi, che è un lavoro dove veramente non smetti mai perché ci sono sempre nuove opportunità di crescita, ho cominciato a vedere i momenti bui e le crisi che ognuno ha, piccole e grandi, come delle opportunità di crescita, perché ogni volta che sono uscito da quella fase lì mi sono accorto che ero un essere umano migliore, un giocatore migliore, un padre migliore. E quindi è una figata Tutti subiamo il fallimento. È la risposta che conta. Nel documentario dell’Italbasket all’Europeo ’99, Carlton Myers racconta che nel ’97 perdono contro la Jugoslavia e lui va a vederli festeggiare. Tutti gli chiedono: "Ma sei matto?”. E lui risponde che è per introiettare l’immagine di loro che festeggiavano per caricarsi ancora di più, e nel ’99 li batte in semifinale. Quindi è la risposta al fallimento che fa differenza. Credo che non ci possa essere vittoria senza prima aver dei fallimenti. Perché proprio da quei fallimenti e da quei momenti bui, tu ti crei l’opportunità per migliorarti.
È veramente difficile vincere senza perdere, alcune volte ho sentito dire da grandissimi campioni che nella sconfitta godeva perché quella sconfitta e quel malessere gli davano il fuoco per tornare e migliorarsi. Ma voglio far una domanda: cos’è il successo? È una coppa una medaglia, probabilmente sì. Ma in realtà il successo è il percorso che tu fai, il cambiamento che tu hai che ti porta a voler raggiungere quell'obiettivo. Mi spiego meglio: io mi pongo un obiettivo, che è un obiettivo materiale, un obiettivo di posizione… ok, mi pongo quell'obiettivo lì. Tutto quello che fai per cercare di raggiungere quell'obiettivo lì, tutti i cambiamenti che attui, le zone grigie che passi, tutto il sentiero che ti porta dal punto A al punto Z, quello è il successo. Secondo me prendere quella medaglia, quella coppa, quella posizione… è veramente la ciliegina sulla torta, ma quando uno lotta veramente, si migliora, lavora su se stesso per raggiungere quell'obiettivo che si è prefisso e il cambiamento che gli permette di far perché è un cambiamento, quella è la vera vittoria quello è un successo. La medaglia, la coppa, tutto quello è la ciliegina sulla torta per concludere, per mettere la cornice al quadro. È una semina. Come ha fatto sportivamente, ad esempio, l’Atalanta. Perché hai lavorato giorno dopo giorno per migliorarti. Tra l’altro, nel caso dell’Atalanta, strameritato. Secondo me il successo è il cambiamento personale che tu hai per voler arrivare a raggiungere quell'obiettivo lì, perché cambi. Un obiettivo giornaliero che ci possiamo porre è svegliarsi e dire: “Oggi devo essere una persona migliore di quella che ero ieri”. Ma migliore in tutti i punti: può essere a lavoro, può essere come figlio, come padre, può essere in un progetto in cui ti sei infilato, così veramente ogni giorno che viviamo non è un giorno perso".
Come si trasmettono questi messaggi ai più piccoli, ai figli? “Ho Vittoria che compie 7 anni a febbraio, Leonardo ne ha 4 e la piccolina ne fa 2 a febbraio. Con Vittoria riesco già a parlare di emozioni, le faccio capire cosa sta provando in quel momento lì, sarebbe una cosa fighissima, secondo me, mettere nelle scuole una materia: educazione emozionale. Quindi prendere uno psicologo per adolescenti, per le elementari e per i bambini più piccoli, e fare educazione emozionale. Cominciare a capire che quali emozioni viviamo. E far capire, secondo me, che nessuna emozione è sbagliata se apportata nel modo giusto. Quando una persona prova rabbia è un'emozione, la deve provare quella rabbia lì. Ad esempio, ho fatto vedere a mia figlia “Inside Out Ma questi sono lavori che io ho già fatto anche su me stesso: la tristezza, la frustrazione, sono delle emozioni che vanno vissute, le devi provare. Le devi provare perché devi sapere riconoscere quello che stai provando e solamente quando accetti quell'emozione lì, che può essere la tristezza, la frustrazione, la delusione, quando te ne accorgi e sei veramente cosciente di quello che stai provando, si attenua tutto e passa incredibilmente. Se tu fai finta invece e non vedi, arrivano sempre più forti e non le riesci più a gestire”.
E aggiunge: "Ci sono due modi per gestire le cose: uno è cambiarle; e se non le puoi cambiare, allora accettarle. Un'emozione difficile cambiarla di punto in bianco se stai provando soprattutto un'emozione fo come la rabbia, quindi va accettata. Tu mi hai chiesto con i miei figli come faccio: “Ok, delusione devi provare quella delusione lì. Stai male? Va bene, non c'è niente di male a stare male. Anzi, ti fa apprezzare ancora di più quando puoi stare bene, quando magari proverai gioia o felicità, uso gli strumenti che ho imparato in tanti anni di lavoro su me stesso dal punto di vista mentale, perché stiamo parlando di 6 o 7 anni. Riutilizzo quelli che so che possono essere utilizzati da loro, perché proprio ci sono delle tecniche e degli strumenti che fin quando non hai una struttura e una coscienza emotiva formata, è meglio non utilizzare.
Perin e l'importanza dell'educazione emozionale
Ad esempio la più grande, Vittoria, che comunque ha già 7 anni, è un po' più formata… poi le femmine stanno un passo avanti rispetto a noi uomini, io che li vedo davanti a me: ho Leonardo e Vittoria che hanno 2 anni di differenza, noi uomini siamo più “bambacioni” da piccoli, guardiamo le stelle. Le femmine invece hanno un altro passo. E mi diverto, vedo che lei sperimenta e vede che quello che le dico è vero, e quindi penso: “Immaginati se già da piccoli ci avessero insegnato… oppure quante cose mi sarei evitato, quante cavolate non avrei fatto”. Però probabilmente quello che sono oggi è l'insieme anche delle cavolate che ho fatto e va benissimo così. Perché, secondo te, siamo ancora in una società in cui dire “Vado dal dentista” è omologato e invece “Vado dallo psicologo” è un problema. Non riesco a darmi una risposta. Secondo me tutti dovremmo andare dallo psicologo. Parto da zero: noi nasciamo e non conosciamo le articolazioni della nostra mente, non sappiamo pienamente come funziona il nostro cervello, non sappiamo appieno come funziona la nostra anima. Ci sono delle persone che studiano e che ci possono aiutare a capire come funzioniamo, quindi perché non farlo?
Perché io devo andare in palestra tutti i giorni un'ora, poi un'ora in campo, un'ora in fisioterapia tutte le cure, guardo ogni dettaglio della squadra avversaria, e non dovrei curare la parte più importante dell'essere umano che è il muscolo più potente che abbiamo, ovvero il cervello? Ogni tanto io ci penso e ai più giovani io la dico, poi ovvio ci sono persone che probabilmente credono che non serva perché magari non hanno ancora vissuto un momento che li ha portati a chiedere aiuto a qualcuno, ma io quello che ci tengo a dire è: “Non aspettate che vi succeda qualcosa nella vita per chiedere aiuto, cominciate prima”, perché abbiamo veramente un potere totalmente inespresso, e ve lo dico io che 10 anni fa ero uno dei ragazzi più folli in circolazione, quindi se sono cambiato io potete cambiare anche voi. E magari potete anche evitarvi qualche spiacevole momento. Sai, io alla fine ho avuto 5 interventi nella vita, ma cosa sono 5 interventi nella vita di un essere umano? In una carriera sono tanti, dispiace certo, ma figuriamoci. Ho fatto un podcast con la m mental coach, che uscirà a breve, dove intervistiamo campioni dello sport sull’aspetto mentale: Jacobs, Danilo, altri campioni olimpici, Vettori che è campione di UFC. Tutte persone che sanno quanto sia importante la parte mentale. Perché io la prima volta che sono andato da lei, probabilmente era per lo sport. Ma è per la vita! E poi veramente è un tabù che comunque si sta rompendo, perché ci sono sempre più sportivi o giocatori che comunicano il fatto di lavorare sull'aspetto mentale, e questa è una roba fantastica”.
Perché le persone ne riescono a parlare solo dopo tanto tempo? È successo anche con Chivu: “Basta pensarla così: perché alleno tutto e non devo allenare anche la testa? Tanto chi più grandi e chi più piccoli, tutti noi abbiamo i nostri problemi e i nostri pensieri. Abbiamo magari cose pregresse non viste o non affrontate: quando tu non affronti delle situazioni e non le chiudi, oppure fai finta che non siano esistite, si creano dentro di te degli spazi che io chiamo “zainetti emozionali”. Che ti appesantiscono. Ma che in verità lavorano nel subconscio e ti appesantiscono, non ti permettono di essere la migliore versione di te stesso, ma perché non dobbiamo lavorarci. Abbiamo una vita, perché non dobbiamo puntare a essere la nostra migliore versione. Curo tutto? Sì, assolutamente sì. Curo anche la testa, che è quello che ti fa fare la differenza. Io ad oggi sono sicuro, in qualsia lavoro, che lavorare sulla testa è l'85% del successo, ovvero per arrivare a fare nel miglior modo possibile quello che fai”.
Perin, il ricordo di Thiago Motta compagno di squadra e momento Juve
Il portiere della Juventus prima di avere Thiago Motta come allenatore ha avuto modo di conoscerlo da compagno di squadra: “Il mister è stato un anno e io avevo 16 anni ed è stato il primo anno in cui ho iniziato ad andare in prima squadra, avrò fatto 10/15 allenamenti insieme a loro, potevo ammirarlo solo come calciatore, che era fantastico. Poi ci ho giocato insieme anche in Nazionale, era l'anno di Milito in cui siamo andati in Europa League con Gasperini. Non pensavo al fatto che sarebbe potuto diventare allenatore, era troppo presto, Thiago avrà avuto 28 anni”.
La Juventus sta vivendo una situazione difficile, come la sta gestendo il mister e come la sta vivendo Perin? “Vedo questo momento come un'opportunità. Ne parlavamo prima: nei momenti di crisi è lì che si tira fuori il meglio, è lì che si migliora, uscendo da quella crisi e avendo dato. Ovviamente devi lavorare perché poi passa da lì, bisogna lavorare e bisogna essere professionali, bisogna sapersi connettere tra noi giocatori, ed è una cosa che sono sicuro stiamo già facendo e miglioreremo. Il mister la sta gestendo con massima tranquillità e ci dà grande serenità. Questa è la cosa più importante, sappiamo benissimo ed è un dato di fatto che abbiamo vissuto comunque un periodo difficile per via delle assenze, non ci piangiamo addosso, l'ho detto l'altro giorno dopo Lecce e noi siamo andati a Lecce per vincere e volevamo vincere, giochiamo col Bologna anche se siamo in undici noi giochiamo per vincere, non solo perché siamo la Juventus ma perché crediamo in quello che facciamo.
E crediamo di essere un gruppo forte che si deve migliorare, che deve crescere e che deve puntare a vincere passando anche attraverso questi momenti qui. Hai fatto l’esempio dell'Atalanta, ha seminato e seminato e poi ha vinto. Noi in questo momento dobbiamo seminare, lo so che la Juventus ha abituato a vincere da subito, è il più grande club d'Italia insieme all'Inter e al Milan, ma è un dato di fatto che ci vuole tempo. I nostri tifosi sono abituati molto bene ed è giusto che sia così, perché siamo la Juventus, ci vuole solo un po' di pazienza in questo momento qui perché siamo una squadra giovane fatta di grandi giocatori, ma non solo: sono giovani professionisti con grande standing umano e questo non è facile da trovare al giorno d'oggi. Anche i più giovani sono ragazzi veramente seri e tutto questo mi porta a pensare che, non so quando, ma arriveremo a ottenere i nostri obiettivi”.
Perin e al grande competitività in allenamento: "Behrami ne sa qualcosa"
A Perin piace alzare costantemente la competitività in allenamento, al punto che un suo ex compagno ha raccontato di essere arrivati quasi alle mani: “Valon Behrami! Eravamo uguali da questo punto di vista, l’adrenalina era alta e a volte siamo andati allo scontro. Ottenemmo due salvezze incredibili con quel Genoa, veramente incredibili. Loro per me saranno sempre miei fratelli, ma veramente a livello emotivo. Si è creato un legame straordinario, poi passano inosservate le salvezze perché comunque non vinci niente, ma a certe volte retrocedere è più brutto di arrivare secondi. Molto più brutto di arrivare secondi. Un anno durante il Covid, che partivamo a gennaio che avevamo 7/8 punti in meno e ci siamo salvati all'ultima giornata con il Verona e l'anno dopo a dicembre avevamo 7/8 punti e poi ne abbiamo fatti tipo 34 nel girone di ritorno, e mi ricordo lì veramente vidi lo spessore umano di tanti miei ex compagni, tra cui Valon. Non c'erano altre strade, ma noi ci saremmo salvata. L’unione che si è creata in quei momenti lì c’è ancora oggi, se ci penso mi vengono i brividi”.
E aggiunge: “Ho tanti miei compagni che, quando facciamo le partitelle contro non mi sopportano. Locatelli mi odia proprio. E siamo amicissimi fuori dal campo eh! So che certe volte sono un po' pesante, però sono fatto così. Non posso mettere da parte quella mia parte perché se la mettessi da parte, non sarei realmente io e non sarei performante alla stessa maniera. È una parte di me che mi fa svegliare la mattina e mi fa venire qua a dare ogni giorno tutto quello che ho. Mi hanno detto che tieni molto ai discorsi pre-partita. Il percorso di cambiamento che ho fatto mi ha fatto diventare molto spirituale, leggo tantissimi libri sulla spiritualità e guardo tante cose che mi hanno fatto bene. Con parole un po' più semplificate cerco di portarle nello spogliatoio. Alcune volte sono robe epiche, però fighe, mi piace dirle alcune volte. Si alza tantissimo l'energia. E certe volte sento che mmm… vuol dire o che non sono stato capito bene, o che non è piaciuta”.
Perin oltre il calcio: dal vino al ciclismo
C’è un’altra passione che intriga molto Perin, quella per il vino e la vendemmia: “Vado a lavorare in cantina. È una grande passione che cerco di portare con moderazione nella mia vita, perché comunque sono uno sportivo professionista e professionale. Quindi lo faccio con le giuste dosi, però è una passione incredibile. Durante l'estate la coltivo tantissimo, vado a trovare i produttori in Borgogna, nella zona dello champagne, ho tantissimi amici produttori che sono diventati miei amici, vengono qui in Italia a vedere le partite, ho tantissimi amici qui nelle Langhe, vicino a Torino. E quindi avendo tanti amici e tanti produttori che ho conosciuto grazie a questo mondo qui, quando ho dei giorni liberi vado in cantina a lavorare da loro oppure in vigna, mi piace sporcarmi le mani e capire come fanno a farlo così buono. Voglio capire quando lo sto bevendo, cosa sto bevendo e il percorso di quel lavoro: è diverso, sai? Ha un altro sapore. Ci sono i produttori di vino che ho conosciuto io, che hanno delle storie da raccontare, hanno una cultura veramente importante.
Proprio perché hanno a che fare con l'universo, con la terra, con le condizioni climatiche, con la vigna… è tutta vita, no? E hanno una cultura, ma non solo nel loro lavoro, proprio in generale, hanno una curiosità che non li spinge solo a fare ciò che amano, ma hanno proprio mille storie da raccontare. Un esempio: Teobaldo Rivella, che sta a Barbaresco, ha 82/83 anni, io vado anche solo a bermi un caffè con lui perché ha argomenti da raccontare. Oppure Gianni Canonica, comunque so dei must nelle Langhe, sono conosciuti in tutto il mondo, vado lì anche senza parlare di vino, mi raccontano le storie e mi raccontano come hanno vissuto, mi raccontano magari delle vendemmie belle oppure brutte, di cosa hanno provato. Ogni volta che vado lì e sto con loro imparo qualcosa. E mi nutro di queste loro storie, di questi loro racconti che hanno un legame con la terra. Spesso ci disconnettiamo perché stiamo sempre al telefono, oppure a casa davanti alla televisione o magari sei con i bambini e li vai a prendere a scuola e li porti dentro una centrifuga. Perdiamo veramente il contatto con la vita. Anche proprio con il saper ascoltare. Magari anche solo andare al supermercato dove non conosci il cassiere e chiedergli come sta andando la sua giornata. Non dovremmo rendere invisibili tutte le persone intorno a noi. Ho notato questa cosa, ogni volta che ascolto persone più grandi di me imparo qualcosa, mi rimane dentro. Quell’incontro con i produttori mi nutre. Mi fa crescere, capito? Quindi vado anche solo a prendermi un caffè con loro e mi fanno dei regali emotivi ed emozionali”.
Ma è anche un ottimo ciclista: “La coltivo in estate. Ovviamente stando molto attento sulle strade, ma anche per mantenermi allenato mi piace. Magari due giorni faccio palestra e un giorno esco in bici. Oltre che una passione è anche un modo per tenere la mia parte metabolica attiva. È una passione nata grazie a mio nonno: mio padre e mia madre lavoravano sempre, mio padre faceva due lavori addirittura. La domenica riuscivo ad andare al mare con loro. Quindi il sabato andavo dai nonni in campagna, mio nonno era muratore e tornava tutti i giorni alle 15 e accendeva il Giro o il Tour. La prima tappa che vidi era nel ’99 con Pantani, quando ebbe un guasto alla catena o bucò la ruota. Poi rimontò. Avevo 6 anni. Ricordo mio nonno in piedi sulla sedia che tifava. La prima volta che vidi Pantani, da lì mi appassionai. Poi dopo i fatti del 2009 con il doping mi sono allontanato, deluso. Ultimamente invece con questi campioni eccezionali, mi piace proprio vedere le corse. Anche in ritiro, in palestra o in viaggio. L’ho trasmesso anche a Locatelli, siamo vicini in pullman. Non dimenticherò mai la squalifica di Pantani: ero al compleanno di un mio amico di scuola calcio. C’era una televisione ed era la breaking news del TG5”.
E, secondo il portiere bianconero, nel “calcio si dovrebbe parlare di altri temi oltre il calcio”: "Sono d’accordo. Purtroppo, hanno etichettato i calciatori come una categoria, ed è stata anche colpa nostra probabilmente perché in tanti anni probabilmente non ci siamo fatti vedere di più, non abbiamo fatto vedere anche gli esseri umani che siamo, ma solo la parte calcistica. Però c'è chi è più introverso, c’è chi vuole più privacy per la sua vita ed è giusto che sia così, io sono abbastanza estroverso e mi piace parlare delle mie passioni, mi piace perché quando poi trovo la passione di un'altra persona mi piace ascoltare quella passione lì e magari vengo ispirato. L’errore, secondo me, è che tanti sportivi non si creano altre passioni al di fuori del loro sport e lavoro. E poi quando finisce carriera è un problema perché dopo 25 anni che fai la stessa cosa, se non hai altre passioni che fai? Quel problema non ce l’avrò, ne ho pure troppe”.
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Mattia Perin e la consapevolezza Juve. Il portiere bianconero, due gare da titolare nelle ultime due uscite in campionato, ha voluto scrivere un messaggio particolare sui suoi social. Da anni attento alle dinamiche del benessere e della salute mentale, lo ricorderete nella chiacchierata con la psicologa De Dilectis in "Stories of Strenght" per raccontare il suo punto di vista, l'estremo difensore ha deciso di creare un post per dare consapevolezza a se stesso e alla sua squadra.
Perin, dal ruolo di secondo alla co-titolarità con Di Gregorio
C'è chi ci avrebbe giurato, chi è rimasto sorpreso. La convivenza tra Mattia Perin e Michele Di Gregorio non poteva essere più armonica di così. La separazione con Szczesny e il successivo ingaggio dell'ex Monza suonavano come una sorta di bocciatura per l'ex Genoa. Ma l'estremo difensore che da tempo ormai veste la maglia della Juventus non si è scomposto e con determinazione e caparbietà ha quasi scalzato il compagno di reparto. Negli occhi dei tifosi bianconeri sono ancora impresse le parate contro lo Stoccarda, impreziosite da un rigore neutralizzato che aveva tenuto in vita la Vecchia Signora, prima di subire il gol della definitiva sconfitta. Grazie anche al turnover tra le varie competizioni, Thiago Motta ha tra le mani due primi portieri in una sorta di co-titolarità che garantisce alla Juventus un reparto di estremi difensori tra i migliori in circolazione. La società juventina, nel frattempo, non è rimasta a guardare e ha accelerato sul rinnovo del giocatore, prolungando il contratto fino al 2027.