Pagina 3 | “Conceicao per noi era Messi. L’ho sentito e sulla Juve mi ha detto…”

TORINO - Come svetta questo Francisco Conceiçao da Coimbra, detto “Chico”, 170 centimetri d’imprevedibilità. Svetta in campo, appariscente più d’un marcantonio di due metri. E svetta nelle statistiche, leader della speciale graduatoria sui migliori dribblatori d’Europa, davanti a Yamal e Vinicius. «Le sue prestazioni hanno sempre rubato l’occhio, fin da quando militava nel vivaio del Porto - la riflessione di Israel Dionisio, suo allenatore ai tempi dell’Under 17 e dell’Under 19 nei “Dragoes” -. Di giocatori con le sue caratteristiche, nel calcio di oggi, se ne vedono ben pochi».

Israel Dionisio, che ragazzo era Conceiçao prima di affacciarsi al grande calcio?

«Un ragazzo con un forte spirito vincente, innanzitutto, nello sport come nella vita. In campo o fuori, Chico è sempre rimasto lo stesso: molto competitivo e con una solida mentalità».

Quale caratteristica lo contraddistingue, più delle altre?

«Dico la personalità. Non ha mai timore di farsi dare il pallone nei piedi, anche sotto pressione. E non teme il confronto nell’uno contro uno con il diretto marcatore».

Per questo è così difficile trovargli un termine di paragone?

«Si distingue da tutti per come si muove. Anche se…»

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"Tutti hanno iniziato a chiamarlo Messi"

Anche se?

«Anche se una volta, durante un torneo giovanile in Spagna, dopo averlo visto giocare, tutti hanno iniziato a chiamarlo Messi. Secondo me è successo per due motivi: il primo è la statura, naturalmente, il secondo proprio il suo modo di interpretare il calcio, sempre spavaldo anche nelle difficoltà».

Ecco, la statura: nel calcio così fisico di oggi il suo “formato” è per forza un limite?

«Nel ruolo che ricopre, per come la vedo, l’altezza non è un fattore. Conta la robustezza, quello sì. Ma Chico ha una grande potenza nelle gambe, che gli permette di reggere il contatto con gli avversari, cambiare direzione d’improvviso e compiere grandi accelerazioni».

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"In estate gli avevo confidato che..."

C’è una sua qualità che, in Italia, dobbiamo ancora scoprire?

«Se ripenso al ragazzo che allenavo, in realtà, c’è una dote che faticavo a riconoscergli e in cui ora mi pare molto migliorato: la fase difensiva. In estate gli avevo confidato che quello italiano sarebbe stato il calcio giusto per migliorare, perché avrebbe abbinato conoscenze tattiche alle sue qualità».

Di quanto margine di crescita pensa che disponga ancora?

«Molto, secondo me. Il suo trasferimento nella Juventus l’ha aiutato a maturare, così come le prime esperienze con la Nazionale».

L’ha ancora sentito di recente?

«Sì, mi ha raccontato di essere molto contento per come è iniziata la sua avventura alla Juventus. Ora seguo i bianconeri anche sui social, così da non perdermi nulla di lui! Ho lavorato con molti giocatori importanti, in passato, e continuo a monitorarli tutti: sono molto legato a loro, vivo una sorta di paternità calcistica».

Ma è stato difficile allenare un ragazzo con un cognome così ingombrante?

«Per nulla, e credo non sia stato un problema nemmeno per lui. Chico, anzi, è un privilegiato: suo papà Sergio, in un colpo solo, è un papà, un ex giocatore e un allenatore. Ho percepito quanto questo sia stato importante nella sua crescita».

Questa sera c’è Juventus-City: può lasciare il segno?

«Penso sia una buona partita per lui, perché il Manchester vuole il possesso della palla e l’occupazione della metà campo offensiva, concedendo in compenso la profondità agli avversari: questo può essere un fattore decisivo».

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"In estate gli avevo confidato che..."

C’è una sua qualità che, in Italia, dobbiamo ancora scoprire?

«Se ripenso al ragazzo che allenavo, in realtà, c’è una dote che faticavo a riconoscergli e in cui ora mi pare molto migliorato: la fase difensiva. In estate gli avevo confidato che quello italiano sarebbe stato il calcio giusto per migliorare, perché avrebbe abbinato conoscenze tattiche alle sue qualità».

Di quanto margine di crescita pensa che disponga ancora?

«Molto, secondo me. Il suo trasferimento nella Juventus l’ha aiutato a maturare, così come le prime esperienze con la Nazionale».

L’ha ancora sentito di recente?

«Sì, mi ha raccontato di essere molto contento per come è iniziata la sua avventura alla Juventus. Ora seguo i bianconeri anche sui social, così da non perdermi nulla di lui! Ho lavorato con molti giocatori importanti, in passato, e continuo a monitorarli tutti: sono molto legato a loro, vivo una sorta di paternità calcistica».

Ma è stato difficile allenare un ragazzo con un cognome così ingombrante?

«Per nulla, e credo non sia stato un problema nemmeno per lui. Chico, anzi, è un privilegiato: suo papà Sergio, in un colpo solo, è un papà, un ex giocatore e un allenatore. Ho percepito quanto questo sia stato importante nella sua crescita».

Questa sera c’è Juventus-City: può lasciare il segno?

«Penso sia una buona partita per lui, perché il Manchester vuole il possesso della palla e l’occupazione della metà campo offensiva, concedendo in compenso la profondità agli avversari: questo può essere un fattore decisivo».

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