Pagina 4 | “Juve, l’harakiri perfetto. Koopmeiners né carne né pesce, Motta deve crescere”

Da carrozza scintillante a zucca in un modo talmente incredibile da far pensare a una magia, come se al 70’ di Juventus-Milan fosse scoccata la mezzanotte per la Cenerentola bianconera. «È mancato il carattere per reagire all’episodio negativo», ha spiegato Thiago Motta dopo l’eliminazione dalla Supercoppa. Il carattere, già. Quella fame di risultato e quella cattiveria nell’inseguirlo, quella...ossessione - per citare la frase del tecnico che ha fatto discutere alla vigilia - che della Juventus sono da sempre tratto distintivo. E allora abbiamo chiesto a cinque grandi ex bianconeri il loro parere su questa Juve che sembra mancare di un pezzo, forse il più importante, del proprio Dna.

Alessio Tacchinardi

«Il primo difetto di questa Juve è proprio la mancanza dell’ossessione di voler vincere le partite. Sono già troppe volte che questa squadra è bellina, gioca bene, poi si distrae, poi prende gol, una volta scivola uno, una volta sbaglia un altro...Col Milan è stato un harakiri perfetto: 70 minuti in totale controllo e in 10 minuti farsi del male, perché la disattenzione di Locatelli sul rigore ci può anche stare, ma il modo in cui è arrivato il secondo gol è inammissibile per come la squadra era sistemata in campo, con la difesa a metà campo allo sbando. Vuol dire che la squadra era nel pallone. Peggio di così, buttando via la partita e con i cambi che - giusti o sbagliati - non hanno funzionato, non poteva andare. Vedi che c’è del buono in questa Juve, ma è bellina e però non è vincente. Le parole di Motta alla viglia sono state forti per chi ha indossato quella maglia e per chi tifa Juve. Io credo che lo abbia detto per togliere pressione alla squadra, però nella mia Juve eravamo ossessionati da vincere anche le partitelle di allenamento. Io non penso che in realtà Motta non sia ossessionato da vincere, questa Juve però non lo è. Partite come quelle con Lecce, Venezia, Bologna, devi aggredirle e portarle a casa. Alla Juve c’è pressione e c’è l’ossessione di vincere perché è l’unica cosa che conta: questi giocatori hanno bisogno di salire di livello di mentalità, altrimenti gennaio sarà terribile. Oggi la priorità è ritrovare proprio l’ossessione di vincere, se serve anche in maniera sporca, sudata e buttando il pallone fuori dallo stadio. Parliamo di forza mentale, non di gioco: quella è la mentalità della Juve e si costruisce ogni giorno. I bianconeri possono uscire da questo gennaio a petto in fuori o finire ancora più in difficoltà: sono a un bivio».

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Alessandro Birindelli

«Contro il Milan la sensazione è stata che i rossoneri, forse anche per il cambio in panchina, avessero un carattere diverso, che volessero vincere a tutti i costi. Nonostante questo la Juve per un’ora ha dominato, ma non dava la sensazione di voler aggredire il risultato, di avere tutta questa fame. Ed è una sensazione comune ad altre partite: sembra che giochi e se il risultato arriva bene, ma che non lo insegua con tutte le proprie forze. Tornando alla mentalità e alla frase di Motta sulla vittoria che non deve essere un’ossessione, ci sta che l’allenatore cerchi di difendere la squadra. Ma l’ossessione di vincere non è entrare negli spogliatoi e urlare “Dobbiamo vincere per forza”. L’ossessione di vincere è l’abitudine a vincere, è l’attenzione al mille per mille sui minimi particolari dal primo all’ultimo minuto. È prevedere tutto quello che può succedere: dove può arrivarmi il passaggio se sono un’attaccante, dove può andare la palla se sono un difensore. È una qualità allenabile e che nella Juve va allenata. Portandola a vincere anche partite sporche, perché non sempre si può essere belli, ma il risultato va voluto comunque».

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Angelo Di Livio

«Credo che sia giusto criticare anche Thiago Motta per alcune scelte, come quella di togliere Vlahovic sull’1-0 che non era ancora un risultato sicuro. Però secondo me sono pessime le scelte dei giocatori in campo: vedi il rigore di Locatelli e il secondo gol, con Di Gregorio che prova l’uscita. In questi errori secondo me c’entra poco l’allenatore. Poi bisogna saper leggere le partite e bisogna riacquisire quella mentalità anche un po’ da “provinciale” che non guasta mai: giocare anche sottopalla senza rischiare, senza prendere dei contropiede secondo me un po’ ridicoli. La priorità di Motta ora deve essere riportare nelle condizioni migliori i giocatori che sono stati tanto fuori, da Nico Gonzalez a Douglas Luiz e soprattutto Koopmeiners, che ora non è né carne né pesce. Bisogna resettare un po’ tutto e fare un girone di ritorno da Juve. La frase sulla vittoria che non è un’ossessione secondo me non sta né in cielo né in terra. Sappiamo qual è la ricetta migliore: vincere. Anche proponendo un calcio meno bello. Questo è il succo di tutto: perché non si possono sottovalutare né la Lazio, né la Fiorentina e nemmeno questo Milan, anche se venerdì è stato molto fortunato».

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Franco Causio

«Il carattere di una squadra non lo puoi comprare al supermercato, lo deve portare l’allenatore al gruppo, soprattutto se si tratta di una squadra giovane come questa Juventus. Serve un esame di coscienza da parte di Motta, che è bravo e che merita tempo, ma tutti sbagliano e anche lui deve ancora crescere come allenatore: credo abbia commesso degli errori finora, nella gestione dei cambi come nel dare poche certezze con tante rotazioni quando ha più soluzioni a disposizione. Ma è chiaro che abbia tante attenuanti, dagli infortuni in avanti, e che sia giusto dargli tempo: anche la mia Juve aveva avuto bisogno di un anno sabbatico iniziale, dato che eravamo tanti giovani, prima di iniziare a vincere tutto. Come avevamo acquisito carattere? Grazie al lavoro quotidiano con l’allenatore, come detto, ma anche grazie a 5-6 punti di riferimento d’esperienza nello spogliatoio, che ora forse mancano. E poi avevamo al nostro fianco personaggi del calibro di Boniperti o Agnelli: anche la dirigenza oggi è giovane».

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Domenico Marocchino

«Non ritengo sia una questione di carattere, piuttosto di letture sbagliate delle partite. Continuo a vedere sempre le stesse cose, a partire dalla sostituzione di Vlahovic in favore di un esterno adattato a punta, per esempio. Ma capiso Motta: si affida a dei concetti e va dritto per dritto su quelli. Solo che alla Juventus, al contempo, servirebbe anche più concretezza nell’immediato. Una ricetta per guarire? Il tempo, per permettere a Motta di lavorare e a Giuntoli di sistemare la rosa: credo che i bianconeri siano l’unico club in Italia ad aver iniziato la stagione con una punta soltanto, davanti non ci sono abbastanza alternative. E poi, forse, in estate non avrei lasciato andare a cuor leggero un giocatore come Rabiot, per caratteristiche e anche per esperienza: proprio come successo a McKennie, probabilmente, oggi sarebbe un imprescindibile o quasi… E poi ha inciso la sfortuna finora, non si può negare: dagli episodi a sfavore, come contro il Milan, ai tanti infortunati. Bremer, per esempio, non solo è uno dei centrali più forti a livello internazionale, ma in area avversaria avrebbe assicurato anche qualche gol in più e, di conseguenza, qualche punto in più nella classifica del campionato».

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Franco Causio

«Il carattere di una squadra non lo puoi comprare al supermercato, lo deve portare l’allenatore al gruppo, soprattutto se si tratta di una squadra giovane come questa Juventus. Serve un esame di coscienza da parte di Motta, che è bravo e che merita tempo, ma tutti sbagliano e anche lui deve ancora crescere come allenatore: credo abbia commesso degli errori finora, nella gestione dei cambi come nel dare poche certezze con tante rotazioni quando ha più soluzioni a disposizione. Ma è chiaro che abbia tante attenuanti, dagli infortuni in avanti, e che sia giusto dargli tempo: anche la mia Juve aveva avuto bisogno di un anno sabbatico iniziale, dato che eravamo tanti giovani, prima di iniziare a vincere tutto. Come avevamo acquisito carattere? Grazie al lavoro quotidiano con l’allenatore, come detto, ma anche grazie a 5-6 punti di riferimento d’esperienza nello spogliatoio, che ora forse mancano. E poi avevamo al nostro fianco personaggi del calibro di Boniperti o Agnelli: anche la dirigenza oggi è giovane».

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