Gianni Agnelli, quanto manca alla Juve il bomber delle parole

Ventidue anni senza l’Avvocato: all’inizio della grande era della comunicazione, il club bianconero ha perso il suo più grande comunicatore. La sua lezione

Qualche giorno fa, in una splendida serata in memoria di Pietro Anastasi, organizzata dall’associazione “Quelli di Via Filadelfia”, Roberto Bettega, davanti a una platea di juventini innamorati e irrequieti, ha spiegato in modo molto chiaro un concetto fondamentale. «La Juventus è la Juventus. Se la Juventus, prima o dopo, supera ogni momento difficile è perché appartiene alla stessa famiglia, che ci tiene e non ha mai mollato da centodue anni». Di anni ne sono passati ventidue da quando è scomparso Gianni Agnelli, che del secolo bianconero è stato senza dubbio il simbolo. E non tanto perché sia stato il più importante o quello che ha innovato di più, ma perché ha saputo comunicare in modo dirompente le sue idee e il suo amore per la Juventus.

Nessuno come lui ha espresso l'amore per la Juve

Suo padre Edoardo, negli Anni 20 e 30, ha avuto idee più clamorose e innovative. E suo fratello Umberto ha costruito due tremendi cicli di vittorie e campioni alla fine degli Anni 50 e tra il 1994 e il 2006. Così come suo nipote Andrea ha stabilito il monumentale record di nove scudetti consecutivi, portando avanti visioni sempre avanti di dieci anni. Ma il carisma dell’Avvocato e il suo modo di dire le cose ha fatto sì che, ancora oggi, sia il punto di riferimento morale (o anche solo emotivo) di milioni di tifosi. Certo, è stato un grande intenditore di calcio, un esteta del pallone e un discreto talent scout, ma oggi più che mai manca la sua fulminante capacità di riassumere tutto in una battute, in poche parole che potevano montare o smontare un concetto in modo sostanzialmente definitivo. Proprio all’inizio dell’età della grande comunicazione, la Juventus ha perso il suo più grande comunicatore.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Con una frase poteva demolire uno stadio

Diciamo senza timore di smentite che non avrebbe apprezzato i social network e la loro volgarità, ma l’Avvocato aveva inventato i tweet prima di Twitter, altro che Elon Musk. Le sue battute, lette oggi, sembrano post perfetti. E, in fondo, a loro modo o, meglio, con i modi del Novecento avevano milioni di views e milioni di like. Una frase come «Al Delle Alpi è come giocare sempre fuori casa» ha fatto di più delle ruspe per demolire il vecchio stadio, tanto bello quanto freddo e inadatto a godersi il calcio. Oggi la stessa frase, con Stadium al posto di Delle Alpi, avrebbe altre valenze, relative al tifo, ma è un’altra storia. E l’Avvocato, purtroppo, non si è goduto il nuovo impianto, che gli sarebbe piaciuto da matti, avvicinandolo al campo e al gesto tecnico, di cui era raffinato sommelier, più che della tattica e di quello che oggi chiamiamo genericamente “gioco”. Gianni Agnelli si sarebbe divertito da matti con Coinceiçao e avrebbe fantasticato su Yildiz, al limite anche con il calcio eccentrico di McKennie e avrebbe ammirato molti giocatori degli altri, probabilmente partendo da gente come Leao e Kvaratskhelia. L’Avvocato non riconosceva nemici, nel calcio, aveva un’unica avversaria: la noia. E ultimamente, con la sua Juventus, non sarebbe stato tenerissimo. Avrebbe trovato una frase sferzante, ma nello stesso motivante. Qualcosa per riassumere lo spirito che la Juventus deve avere sempre e comunque, al di là delle situazioni, indipendente dalla partita.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Quello sguardo tra passato e futuro

L’Avvocato, d’altronde, conosceva bene l’andamento ciclico del calcio. Manca il suo sguardo capace di andare distante nel passato o nel futuro, oggi che si giudica una partita dopo quattro passaggi, servirebbe ragionare su un’altra sua frase poi diventata profetica: «Oggi noi abbiamo due stelle e le milanesi una. Mi piacerebbe arrivare alla terza prima che loro arrivino alla seconda». Missione compiuta, gli avrà detto Andrea il 6 maggio 2012, ma il concetto da afferrare è come un tifoso viscerale come lui abbracci i decenni, non i minuti. Che la cronaca passa, la storia resta. Ma lui sapeva dire le cose, che a volte è importante come farle, le cose. Oggi più che mai. E nella Juventus di questi tempi difficili, ma comunque ricchi, avari di soddisfazioni, ma non di prospettive, ancora più di un centravanti che faccia gol ogni partita, servirebbe qualcuno che racconti ai tifosi qualcosa a cui aggrapparsi, intorno alla quale ricompattarsi. E qualcosa anche alla squadra e alla società per rinvigorire la consapevolezza di dove si trovano e cosa significhi trovarsi lì, con quella maglia addosso. Ovviamente non è facile, non è qualcosa che puoi decidere di fare e farla. E persone come Gianni Agnelli non nascono di frequente, altrimenti non mancherebbe così tanto a così tanti tifosi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Qualche giorno fa, in una splendida serata in memoria di Pietro Anastasi, organizzata dall’associazione “Quelli di Via Filadelfia”, Roberto Bettega, davanti a una platea di juventini innamorati e irrequieti, ha spiegato in modo molto chiaro un concetto fondamentale. «La Juventus è la Juventus. Se la Juventus, prima o dopo, supera ogni momento difficile è perché appartiene alla stessa famiglia, che ci tiene e non ha mai mollato da centodue anni». Di anni ne sono passati ventidue da quando è scomparso Gianni Agnelli, che del secolo bianconero è stato senza dubbio il simbolo. E non tanto perché sia stato il più importante o quello che ha innovato di più, ma perché ha saputo comunicare in modo dirompente le sue idee e il suo amore per la Juventus.

Nessuno come lui ha espresso l'amore per la Juve

Suo padre Edoardo, negli Anni 20 e 30, ha avuto idee più clamorose e innovative. E suo fratello Umberto ha costruito due tremendi cicli di vittorie e campioni alla fine degli Anni 50 e tra il 1994 e il 2006. Così come suo nipote Andrea ha stabilito il monumentale record di nove scudetti consecutivi, portando avanti visioni sempre avanti di dieci anni. Ma il carisma dell’Avvocato e il suo modo di dire le cose ha fatto sì che, ancora oggi, sia il punto di riferimento morale (o anche solo emotivo) di milioni di tifosi. Certo, è stato un grande intenditore di calcio, un esteta del pallone e un discreto talent scout, ma oggi più che mai manca la sua fulminante capacità di riassumere tutto in una battute, in poche parole che potevano montare o smontare un concetto in modo sostanzialmente definitivo. Proprio all’inizio dell’età della grande comunicazione, la Juventus ha perso il suo più grande comunicatore.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Loading...
1
Gianni Agnelli, quanto manca alla Juve il bomber delle parole
2
Con una frase poteva demolire uno stadio
3
Quello sguardo tra passato e futuro