Uno, nessuno e centomila leader: Motta e la confusione dei capitani Juve

Perché le scelte del tecnico bianconero ad oggi non convincono: dall'età media della squadra alla mancanza d'esperienza

TORINO - Uno, nessuno, centomila. L’enigma pirandelliano si è propagato nello spogliatoio della Juventus. Dove il tema della leadership emotiva, a maggior ragione dopo le due sconfitte di fila incassate da Napoli e Benfica, resta centrale. Il leader è uno, ovvero Thiago Motta, guida tecnica e spirituale designata di un nugolo di ragazzi dall’età media raramente così bassa nella storia bianconera? O non è nessuno, come indurrebbe a pensare l’altalena di prestazioni e di stati d’animo su cui è salito questo gruppo senza aver ancora capito come scendere dalla giostra? O, ancora, i leader sono centomila, intenso in senso figurato, ma nemmeno troppo, alla luce dei ben sette differenti capitani che si sono già alternati nelle prime trentadue partite stagionali? Il tecnico italo-brasiliano è più abile a dribblare le domande che a dare le risposte, ma con buona probabilità propenderebbe per l’ultima opzione: «In questo gruppo siamo tutti leader, sia in campo che fuori, a prescindere dall’età anagrafica», la sua recente replica a una considerazione di Gigi Buffon. Una considerazione sulla carenza di personalità in mezzo al campo da parte dei bianconeri, appunto. 

Juve senza leader

Il rettangolo di gioco, d’altronde, inchioda i bianconeri sull’argomento. Alla Continassa non è tutto nero come l’ultima settimana indurrebbe a pensare, perché subito prima delle partite con il Bruges e con il Benfica, per esempio, la Juventus aveva destato un’ottima impressione di fronte all’Atalanta e al Milan. Così come al Maradona, meno di una settimana fa, ha inscenato una partita – a dir poco – dai due volti. Ma l’andamento è tipico di un gruppo giovane – e quello bianconero è il secondo più “virtuoso” per età media dopo il Parma in tutta la Serie A, statistica piuttosto singolare per la Juventus… a dispetto dell’etimologia del proprio nome –, di un gruppo soprattutto a corto di certezze emotive, di solidità mentale, di punti di riferimento forti. Di leader, appunto. Lo scenario non deve certo sorprendere, alla luce della politica sposata fin dall’estate dal tandem Motta-Giuntoli: il giocatore più esperto in campo - senza i vari Szczesny, Rabiot e, ora, Danilo - varia tra i 27enni Di Gregorio e Locatelli e il 26enne Koopmeiners, ben pochi elementi della rosa hanno già vinto dei trofei in carriera e ancor meno, ai nastri di partenza di questa annata, avevano già calcato il palcoscenico della Champions League. La consapevolezza di una situazione, però, non sempre è sufficiente per prevenirne gli effetti collaterali. E questo pare proprio il caso.

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Tutti i capitani di Motta

Thiago Motta, come già sperimentato con successo in passato, a Bologna soprattutto, ha optato per un’interpretazione itinerante della fascia di capitano. In ossequio al concetto dei… centomila leader, evidentemente. Una mossa che può senza dubbio responsabilizzare il gruppo, tutto il gruppo. E accentrare la leadership, in fin dei conti, sullo stesso tecnico, persona decisionista e di personalità, ma a sua volta alla prima esperienza su una panchina così scottante. Una mossa, però, che rischia anche di accrescere la confusione. Un senatore come Danilo, d’altronde, ha indossato la fascia per ben otto volte in stagione, l’ultima a metà dicembre contro il Venezia, ovvero appena due settimane prima di essere messo bruscamente alla porta, con tanto di coda polemica e veleni annessi. Soltanto Locatelli ha finora collezionato più partite da capitano, tredici, ma il mediano è stato soltanto il quinto a essere “provato” con i gradi al braccio, quindi non è certo considerato del tecnico uno con le stigmate del leader. In mezzo, la fascia è passata da Cambiaso, a sua volta a rischio addio nel pieno dell’annata, a Koopmeiners, il volto finora più deludente del mercato estivo. Fino ad arrivare a McKennie, capitano proprio contro il Benfica, dopo aver vissuto l’ultima estate da separato in casa. 

Manca il carisma

Il frenetico avvicendamento, con buona probabilità, sta concorrendo alla fragilità emotiva mostrata finora dalla squadra. E costata già i primi traguardi, oltre a tanti e troppi punti in campionato, soprattutto da situazione di vantaggio. Traguardi come la Supercoppa, obiettivo forse ambizioso in questo momento, ma in ogni caso sfumato a margine di una partita - la semifinale contro il Milan - in pieno controllo dei bianconeri per oltre un’ora. Ovvero fino al primo intoppo, capace da solo di cancellare tutte le sicurezze messe faticosamente insieme dai giocatori. Il passo da fortezza inespugnabile a castello di carta, quando a difettare è (anche) carisma, in fondo è breve. 

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TORINO - Uno, nessuno, centomila. L’enigma pirandelliano si è propagato nello spogliatoio della Juventus. Dove il tema della leadership emotiva, a maggior ragione dopo le due sconfitte di fila incassate da Napoli e Benfica, resta centrale. Il leader è uno, ovvero Thiago Motta, guida tecnica e spirituale designata di un nugolo di ragazzi dall’età media raramente così bassa nella storia bianconera? O non è nessuno, come indurrebbe a pensare l’altalena di prestazioni e di stati d’animo su cui è salito questo gruppo senza aver ancora capito come scendere dalla giostra? O, ancora, i leader sono centomila, intenso in senso figurato, ma nemmeno troppo, alla luce dei ben sette differenti capitani che si sono già alternati nelle prime trentadue partite stagionali? Il tecnico italo-brasiliano è più abile a dribblare le domande che a dare le risposte, ma con buona probabilità propenderebbe per l’ultima opzione: «In questo gruppo siamo tutti leader, sia in campo che fuori, a prescindere dall’età anagrafica», la sua recente replica a una considerazione di Gigi Buffon. Una considerazione sulla carenza di personalità in mezzo al campo da parte dei bianconeri, appunto. 

Juve senza leader

Il rettangolo di gioco, d’altronde, inchioda i bianconeri sull’argomento. Alla Continassa non è tutto nero come l’ultima settimana indurrebbe a pensare, perché subito prima delle partite con il Bruges e con il Benfica, per esempio, la Juventus aveva destato un’ottima impressione di fronte all’Atalanta e al Milan. Così come al Maradona, meno di una settimana fa, ha inscenato una partita – a dir poco – dai due volti. Ma l’andamento è tipico di un gruppo giovane – e quello bianconero è il secondo più “virtuoso” per età media dopo il Parma in tutta la Serie A, statistica piuttosto singolare per la Juventus… a dispetto dell’etimologia del proprio nome –, di un gruppo soprattutto a corto di certezze emotive, di solidità mentale, di punti di riferimento forti. Di leader, appunto. Lo scenario non deve certo sorprendere, alla luce della politica sposata fin dall’estate dal tandem Motta-Giuntoli: il giocatore più esperto in campo - senza i vari Szczesny, Rabiot e, ora, Danilo - varia tra i 27enni Di Gregorio e Locatelli e il 26enne Koopmeiners, ben pochi elementi della rosa hanno già vinto dei trofei in carriera e ancor meno, ai nastri di partenza di questa annata, avevano già calcato il palcoscenico della Champions League. La consapevolezza di una situazione, però, non sempre è sufficiente per prevenirne gli effetti collaterali. E questo pare proprio il caso.

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