Motta, questa è resilienza Juve: l'abbraccio con Gatti e il valore aggiunto

Terza vittoria di fila grazie alla capacità di resistere nei momenti difficili: spirito di gruppo, che appare in sintonia con Thiago

TORINO - Tutti uniti verso l’Inter: è il messaggio che lascia in dote la notte di Champions. Quella che ha portato la terza vittoria consecutiva, tutte segnate dal comun denominatore che Thiago Motta ha riassunto con il termine “resilienza” e che, prosaicamente, certifica la capacità di saper soffrire nei momenti meno nobili della partita senza consegnarsi all’aggressività dell’avversario come successe, per esempio, nel secondo tempo di Napoli. Una tappa essenziale del percorso di crescita di una squadra molto giovane (la più giovane nella storia della Juventus nei match a eliminazione diretta: 25 anni e 171 giorni) e che, inevitabilmente, deve allenarsi a gestire le varie fasi di una partita.

Motta spinge sull'intensità

Il primo a saperlo è proprio il tecnico bianconero che per questo spinge molto sul tasto dell’intensità (certi recuperi camminati, un pressing in più) anche e proprio in virtù del fatto che l’età anagrafica consente di mantenere ritmi più alti per lungo tempo in modo appunto da compensare ingenuità o sbavature nelle “letture” della gara. Un salto di qualità ulteriore che fa (anzi, farebbe) il paio con una compattezza di intenti che è diventato il filo conduttore alle dinamiche del gruppo bianconero. Segnali in tal senso si sono percepiti anche martedì sera quando, come del resto a Como, il tratto cooperativistico non è mai mancato e anche chi è subentrato si è calato adeguatamente nella parte in commedia: a esaltare i tifosi, per esempio, hanno contribuito un paio di recuperi di Vlahovic in ripiegamento, testimonianza plastica di dedizione alla causa senza malmostosità da gerarchie o da decisioni dell’allenatore. Si racconta anche di un lungo, energico e significativo (qualche tensioncina c’era stata...) abbraccio, a fine partita, nel tunnel verso gli spogliatoi tra Motta e Gatti che non nasconde la teorizzazione del “pallone in tribuna” al bisogno. Motta, poi, non si è fatto problemi a sostituire Yildiz («per scelta tecnica» ha ribadito più volte nel post partita) che in questa fase della stagione attraversa un momento di appannamento.

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L'Inter e il Psv

Scelte, come da abitudine e da manifesto programmatico. Scelte di fondo che tengono conto dei momenti di una stagione, delle caratteristiche di un gruppo che hanno indotto lo stesso Motta a una mediazione tra le proprie idee e le esigenze dettate dalla necessità contingente di raggiungere gli obiettivi: quelli che, alla fine, spostano i giudizi ovunque e non solo alla Continassa. Ovviamente, e giustamente, il tecnico bianconero non abiura alla convinzione secondo cui «la vittoria arriva attraverso il dominio e il bel gioco», ma ha capito che in questa fase deve predominare il pragmatismo che coniughi l’idea di fondo (e fondante del “progetto”) con la fisionomia di una squadra non sempre in grado di controllare.

Juve, non è un'eresia

Insomma, se non puoi dominare e costruire con il fraseggio, il lancio lungo verso Kolo Muani non è eresia. E il valore aggiunto, così, diventa anche la spensieratezza di McKennie, uno che gioca la Champions con la stessa leggerezza di una ballata country, senza le sovrastrutture mentali che appesantiscono altri. Con la stessa nonchalance si candida con i suoi gol pesanti anche contro l’Inter: quando segna lui, la Juve vince il 73% delle volte. Vale, ovviamente, anche per il ritorno a Eindhoven per non sporcare la statistica che vede la Juve sempre qualificata nei doppi confronti in cui all’andata ha vinto il 2-1 in casa.   

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TORINO - Tutti uniti verso l’Inter: è il messaggio che lascia in dote la notte di Champions. Quella che ha portato la terza vittoria consecutiva, tutte segnate dal comun denominatore che Thiago Motta ha riassunto con il termine “resilienza” e che, prosaicamente, certifica la capacità di saper soffrire nei momenti meno nobili della partita senza consegnarsi all’aggressività dell’avversario come successe, per esempio, nel secondo tempo di Napoli. Una tappa essenziale del percorso di crescita di una squadra molto giovane (la più giovane nella storia della Juventus nei match a eliminazione diretta: 25 anni e 171 giorni) e che, inevitabilmente, deve allenarsi a gestire le varie fasi di una partita.

Motta spinge sull'intensità

Il primo a saperlo è proprio il tecnico bianconero che per questo spinge molto sul tasto dell’intensità (certi recuperi camminati, un pressing in più) anche e proprio in virtù del fatto che l’età anagrafica consente di mantenere ritmi più alti per lungo tempo in modo appunto da compensare ingenuità o sbavature nelle “letture” della gara. Un salto di qualità ulteriore che fa (anzi, farebbe) il paio con una compattezza di intenti che è diventato il filo conduttore alle dinamiche del gruppo bianconero. Segnali in tal senso si sono percepiti anche martedì sera quando, come del resto a Como, il tratto cooperativistico non è mai mancato e anche chi è subentrato si è calato adeguatamente nella parte in commedia: a esaltare i tifosi, per esempio, hanno contribuito un paio di recuperi di Vlahovic in ripiegamento, testimonianza plastica di dedizione alla causa senza malmostosità da gerarchie o da decisioni dell’allenatore. Si racconta anche di un lungo, energico e significativo (qualche tensioncina c’era stata...) abbraccio, a fine partita, nel tunnel verso gli spogliatoi tra Motta e Gatti che non nasconde la teorizzazione del “pallone in tribuna” al bisogno. Motta, poi, non si è fatto problemi a sostituire Yildiz («per scelta tecnica» ha ribadito più volte nel post partita) che in questa fase della stagione attraversa un momento di appannamento.

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