Gatti-Motta, dal feeling iniziale alle scintille di ottobre e quel rinnovo…

Il difensore Juve è il più presente in campo, anche a causa degli infortuni in serie nel reparto. Il rapporto tra centrale e tecnico si è colorato di tutte le sfumature: i dettagli

L’alpinista Federico Gatti, piccozza e ramponi, si è issato oltre quota tremila. Il centrale della Juventus, nell’infausta serata di mercoledì, di fronte all’Empoli in Coppa Italia, ha infatti tagliato il traguardo dei 3035’ stagionali in campo. Nessuno come lui, in bianconero. Pochi come lui, con altri colori addosso. Nonostante un caleidoscopio di stati d’animo che è la rappresentazione plastica di quell’altalena su cui è salito il rapporto di Thiago Motta con i suoi giocatori, cammin facendo. 
Una premessa, certo, è d’obbligo. Perché il centrale venuto dalla Promozione, intesa come la categoria in cui ha militato con la maglia del Pavarolo non più di sette anni fa, è stato finora l’unico difensore bianconero a dribblare la maledizione dell’infermeria. E pure quando ha avuto qualche acciacco, come quello alla caviglia che l’ha condizionato in autunno, è riuscito a stringere i denti, in linea con la figura del giocatore d’altri tempi che evoca in campo. Anche per questo, dunque, oggi può vantare tra le mani la palma di più presente sotto la gestione di Motta. Già, perché Gatti è stato in realtà uno dei primi giocatori, alla Continassa, a fare i conti con un’incomprensione con il tecnico, del quale non tutti i bianconeri hanno saputo digerire modi e abitudini. A partire dal modo di porsi e di evidenziare gli errori individuali, nel corso delle sedute d’allenamento in settimana, di fronte alla squadra al completo. 

 

 

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Da alunno modello alle tensioni

Ma bollare il centrale come un elemento agli antipodi rispetto al credo dell’allenatore, pensando anche alle caratteristiche tecniche del 26enne di Rivoli, sarebbe semplicistico. Anzi, sarebbe proprio errato. Perché dalla preparazione estiva suddivisa tra Torino e Herzogenaurach, per dirla tutta, Gatti era emerso come l’alunno-modello della classe bianconera. Di più: come il capitano designato, oltre che come un titolare piuttosto stabile. Poi, appunto, il confronto tra due caratteri forti. Le scintille. E le tensioni che hanno incrinato il legame allenatore-giocatore fin da ottobre: la fascia assegnata a Cambiaso contro la Lazio, la decisione di preferirgli Danilo a gara in corso con lo Stoccarda, la panchina a San Siro di fronte all’Inter. E la conseguente inversione di marcia dialettica, pur tra i concetti offerti con il contagocce dall’italo-brasiliano a favore di telecamera. Ad agosto: «Federico merita la fascia perché sa trasmettere a tutti quello che vogliamo essere». A ottobre: «Nessun malinteso con lui, ma devo fare delle scelte interne e ho bisogno di tutti».  
Così il centrale ha perso posizioni nell’indice di gradimento del tecnico. Trovando comunque con continuità il campo a causa della serie di infortuni che ha coinvolto Bremer, Cabal, Kalulu e, in ultimo, anche Veiga. E pure la frenata al tavolo delle trattative per il rinnovo, che in autunno pareva soltanto una formalità, pare un riverbero di quelle crepe emerse lungo il cammino. Anche con Gatti, ma non soltanto con lui. 

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L’alpinista Federico Gatti, piccozza e ramponi, si è issato oltre quota tremila. Il centrale della Juventus, nell’infausta serata di mercoledì, di fronte all’Empoli in Coppa Italia, ha infatti tagliato il traguardo dei 3035’ stagionali in campo. Nessuno come lui, in bianconero. Pochi come lui, con altri colori addosso. Nonostante un caleidoscopio di stati d’animo che è la rappresentazione plastica di quell’altalena su cui è salito il rapporto di Thiago Motta con i suoi giocatori, cammin facendo. 
Una premessa, certo, è d’obbligo. Perché il centrale venuto dalla Promozione, intesa come la categoria in cui ha militato con la maglia del Pavarolo non più di sette anni fa, è stato finora l’unico difensore bianconero a dribblare la maledizione dell’infermeria. E pure quando ha avuto qualche acciacco, come quello alla caviglia che l’ha condizionato in autunno, è riuscito a stringere i denti, in linea con la figura del giocatore d’altri tempi che evoca in campo. Anche per questo, dunque, oggi può vantare tra le mani la palma di più presente sotto la gestione di Motta. Già, perché Gatti è stato in realtà uno dei primi giocatori, alla Continassa, a fare i conti con un’incomprensione con il tecnico, del quale non tutti i bianconeri hanno saputo digerire modi e abitudini. A partire dal modo di porsi e di evidenziare gli errori individuali, nel corso delle sedute d’allenamento in settimana, di fronte alla squadra al completo. 

 

 

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