L’alpinista Federico Gatti, piccozza e ramponi, si è issato oltre quota tremila. Il centrale della Juventus, nell’infausta serata di mercoledì, di fronte all’Empoli in Coppa Italia, ha infatti tagliato il traguardo dei 3035’ stagionali in campo. Nessuno come lui, in bianconero. Pochi come lui, con altri colori addosso. Nonostante un caleidoscopio di stati d’animo che è la rappresentazione plastica di quell’altalena su cui è salito il rapporto di Thiago Motta con i suoi giocatori, cammin facendo.
Una premessa, certo, è d’obbligo. Perché il centrale venuto dalla Promozione, intesa come la categoria in cui ha militato con la maglia del Pavarolo non più di sette anni fa, è stato finora l’unico difensore bianconero a dribblare la maledizione dell’infermeria. E pure quando ha avuto qualche acciacco, come quello alla caviglia che l’ha condizionato in autunno, è riuscito a stringere i denti, in linea con la figura del giocatore d’altri tempi che evoca in campo. Anche per questo, dunque, oggi può vantare tra le mani la palma di più presente sotto la gestione di Motta. Già, perché Gatti è stato in realtà uno dei primi giocatori, alla Continassa, a fare i conti con un’incomprensione con il tecnico, del quale non tutti i bianconeri hanno saputo digerire modi e abitudini. A partire dal modo di porsi e di evidenziare gli errori individuali, nel corso delle sedute d’allenamento in settimana, di fronte alla squadra al completo.
