Juve, museo degli orrori: i quattro crolli inaccettabili e le colpe di Motta

Quattro serate da incubo in quattro competizioni diverse tra lacune di carattere, mentali e sostituzioni azzardate

Se il primo giorno da allenatore della Juventus era scivolato via tra visite mediche di rito e perlustrazione d’obbligo alla Continassa, già al secondo Thiago Motta aveva voluto respirare l’aria densa di storia e di gloria del J Museum. Era lo scorso 9 luglio e nessuno, al momento della firma sul triennale, gli aveva chiesto un trofeo al primo colpo, anche se il neo tecnico e il suo staff erano logicamente ingolositi dalla prospettiva. Non sarà così. Perché una dopo l’altra, al netto del Mondiale per Club che scatterà a metà giugno, le competizioni che l’avevano vista al via hanno sputato fuori la Juventus dalle papabili al successo. E anche in maniera piuttosto fragorosa. Quattro palcoscenici e quattro serate da incubo. Roba da museo degli orrori, più che altro.

Juve ko a Riad contro il Milan in Supercoppa italiana

Il filotto all’incontrario della Juventus di Thiago Motta è iniziato alla prima recita del 2025, in Arabia, di fronte a un Milan frastornato dal fresco avvicendamento Fonseca-Conceiçao. Perché, sì, i rossoneri avrebbero poi clamorosamente sollevato la Supercoppa al cielo, ma quella sera, a Riad, i bianconeri li avevano dominati per oltre un’ora. Fino al primo episodio negativo, cioè, spartito sinistramente analogo a quello risuonato domenica sera allo Stadium. Una notte, insomma, che aveva messo in risalto la fragilità mentale del gruppo e la difficoltà nella gestione del risultato, limite particolarmente di moda nel periodo, dato che la squadra arrivava dalla doppia rimonta subita dalla Fiorentina in campionato. A poco era valsa l’iniziale rete di Yildiz, escluso eccellente di Motta alla vigilia e in campo solo per l’infortunio di Conceiçao a pochi istanti dal fischio d’inizio. E tanto, invece, avevano pesato i cambi nella ripresa, con la Juventus scomparsa dopo l’uscita di scena di Vlahovic, allora unico terminale offensivo a disposizione, e di Thuram, consueto e prezioso argine in mediana.

 

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Juve fuori dalla Champions col Psv Eindhoven

Quello delle sostituzioni, d’altronde, è un comune denominatore a buona parte delle critiche mosse all’ex Bologna. Che anche a Eindhoven, nella notte della rumorosa eliminazione dalla Champions per mano del Psv, aveva tolto capitan Locatelli nel corso della ripresa, nonostante un Koopmeiners febbricitante, finendo per schierare in mediana prima l’adattato Cambiaso e poi l’adattatissimo Nico Gonzalez. E, così, i soli 30’ su 120 in cui i bianconeri avevano saputo tenere a bada l’entusiasmo degli olandesi non si erano rivelati sufficienti per centrare un obiettivo messo nero su bianco dalla dirigenza anche nel business plan. Troppa poca, sul palcoscenico internazionale, la personalità riversata in campo da un gruppo – un po’ per necessità e un po’ anche per scelta – molto giovane. Che avrebbe probabilmente beneficiato della saggezza e del carattere di un tecnico d’esperienza, non di uno al primo giro di giostra ai massimi livelli.

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Il clamoroso tonfo in Coppa Italia e l'addio al sogno scudetto

Il resto è cronaca attuale, con il cappotto interno incassato dall’Atalanta a fare il paio con l’incredibile affermazione ai rigori, in Coppa Italia, dell’Empoli in versione Primavera. Due tonfi, in mezzo a cinque successi di fila in campionato, che hanno confermato la mancanza di continuità, nei risultati e nelle prestazioni, della squadra, una volta crollata di testa e l’altra, di fatto, mai scesa davvero in campo. Contro i toscani non aveva pagato l’azzardo del tandem Kolo Muani-Vlahovic, contro gli orobici l’avventata scelta di schierare Yildiz debilitato da un virus. Il tutto in mezzo a un tourbillon di ruoli cambiati e di capitani alternati che ha (per ora?) impedito al gruppo di acquisire certezze e punti di riferimento. Altroché J Museum...

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Se il primo giorno da allenatore della Juventus era scivolato via tra visite mediche di rito e perlustrazione d’obbligo alla Continassa, già al secondo Thiago Motta aveva voluto respirare l’aria densa di storia e di gloria del J Museum. Era lo scorso 9 luglio e nessuno, al momento della firma sul triennale, gli aveva chiesto un trofeo al primo colpo, anche se il neo tecnico e il suo staff erano logicamente ingolositi dalla prospettiva. Non sarà così. Perché una dopo l’altra, al netto del Mondiale per Club che scatterà a metà giugno, le competizioni che l’avevano vista al via hanno sputato fuori la Juventus dalle papabili al successo. E anche in maniera piuttosto fragorosa. Quattro palcoscenici e quattro serate da incubo. Roba da museo degli orrori, più che altro.

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Il filotto all’incontrario della Juventus di Thiago Motta è iniziato alla prima recita del 2025, in Arabia, di fronte a un Milan frastornato dal fresco avvicendamento Fonseca-Conceiçao. Perché, sì, i rossoneri avrebbero poi clamorosamente sollevato la Supercoppa al cielo, ma quella sera, a Riad, i bianconeri li avevano dominati per oltre un’ora. Fino al primo episodio negativo, cioè, spartito sinistramente analogo a quello risuonato domenica sera allo Stadium. Una notte, insomma, che aveva messo in risalto la fragilità mentale del gruppo e la difficoltà nella gestione del risultato, limite particolarmente di moda nel periodo, dato che la squadra arrivava dalla doppia rimonta subita dalla Fiorentina in campionato. A poco era valsa l’iniziale rete di Yildiz, escluso eccellente di Motta alla vigilia e in campo solo per l’infortunio di Conceiçao a pochi istanti dal fischio d’inizio. E tanto, invece, avevano pesato i cambi nella ripresa, con la Juventus scomparsa dopo l’uscita di scena di Vlahovic, allora unico terminale offensivo a disposizione, e di Thuram, consueto e prezioso argine in mediana.

 

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