Juve, tutto intorno a Gasp: un suo allievo può dare il colpo di grazia a Motta

La scuola dell'allenatore piemontese e la sliding door di Thiago. Che in bianconero fa perdere valore ai giocatori invece di farlo crescere

Chiamatela “gravità gasperiniana”. Nel momento più delicato della stagione della Juventus, con la squadra costretta ad alzare bandiera bianca di fronte allo strapotere tecnico, fisico e mentale dell’Atalanta, il nome dell’allenatore piemontese è tornato di moda come possibile guida futura dei bianconeri, qualora Thiago Motta dovesse venire meno al mandato numero uno: centrare la qualificazione alla prossima Champions League. Lui, che al netto del restante anno di contratto, difficilmente deciderà di sedersi sulla panchina della Dea nella prossima stagione. Lui che la Juventus, in fondo, l’ha già allenata 22 anni fa, sollevando con la Primavera quello che, fino alla scorsa stagione, era l’unico trofeo della sua carriera da tecnico: il Viareggio 2003. Ai bianconeri bastò un guizzo al 90’ di Chiumiento per superare lo Slavia Praga e aggiudicarsi la 55ª edizione del torneo. Tra le fila di quei giovani e ambiziosi bianconeri è un attaccante in particolare a ispirare nel club floridi prospetti: è originario di Mugnano, piccolo comune della provincia di Napoli, e il suo nome è Raffaele Palladino.

Palladino sfida la Juve

Sarà proprio la sua Fiorentina la prossima avversaria della Juventus in campionato. Una sfida fra compagni di banco: insieme a Thiago ha condiviso lo spogliatoio del Genoa nella stagione 2008/2009 sotto la guida di Gasperini. Un anno particolare per entrambi, stregati dalla gestione del tecnico piemontese. Un modello a cui ispirarsi una volta appesi gli scarpini al chiodo. A pochi giorni dalla clamorosa batosta rimediata allo Stadium dal proprio maestro, Motta si prepara a quella che potrebbe rivelarsi l’ultima spiaggia della sua avventura in bianconero. Il match contro la Viola dell’amico e alter ego Palladino non farà prigionieri. In caso di sconfitta, infatti, non è da escludere che la società bianconera decida di sollevare Thiago dall’incarico. Un esame fatto e finito per misurare se il tecnico - da qui alla fine della stagione - sia davvero in grado di tenere la barra dritta. Il margine con le inseguitrici si fa ogni giorno più labile. Errare non è più ammesso anche perché la Champions più che un obiettivo è ormai un imperativo irrinunciabile.

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Motta ha perso il tocco magico?

Risultati sportivi, bel gioco e valorizzazione dell’organico a disposizione. Questi i tre capisaldi di ognuna delle recenti gestioni di Thiago Motta. Tre principi applicati sempre “erga omnes” in tutte le realtà in cui il tecnico italo-brasiliano si è ritrovato ad allenare. È stato così allo Spezia, dove ha centrato la salvezza con una giornata di anticipo, grazie anche alle chiusure di un giocatore fortemente voluto in estate e messo subito al centro del progetto tecnico: Jakub Kiwior. Con Motta alla guida, il centrale polacco ha vissuto la stagione della consacrazione, tanto che il club - sei mesi più tardi - ha deciso di cederlo all’Arsenal per 25 milioni di euro (a fronte di una spesa di soli 2 milioni) registrando una plusvalenza clamorosa. È stato così nel suo biennio al Bologna, dove ha chiuso prima al nono posto a quota 54 punti (all’epoca record societario di punti); per poi guidare il club alla storica qualificazione in Champions League, la prima per gli emiliani dopo 60 anni.

I valori aumentati

Il tutto, quintuplicando il valore di mercato di alcuni dei suoi giocatori copertina, a cominciare da Zirkzee (ceduto allo United per 42.5 milioni), Calafiori e Schouten. Giocatori svezzati, plasmati e convertiti in vere e proprie miniere d’oro per il club rossoblù, oggi ancora competitivo e in corsa per un posto in Europa. Da qui la domanda: in 8 mesi di Juve in cui due dei capisaldi tanto cari a Motta (bel gioco e risultati sportivi) sono venuti fin qui a mancare, che dire invece della valorizzazione della rosa? In piena linea con quanto accaduto già nelle passate stagioni, a crescere maggiormente sono stati i cartellini dei giovani provenienti dalla Next Gen, su tutti Mbangula e Savona.

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Da Mbangula e Savona a Vlahovic e Kolo Muani

L’esterno belga, lanciato da Motta fra i titolari già nella prima giornata di campionato, si è rivelata fin qui una soluzione preziosa, specie a partita in corso, con tanto di 3 gol e 4 assist in sole 20 presenze. Oggi il suo valore di mercato si aggira intorno ai 25 milioni di euro. Discorso simile per il terzino azzurro, insostituibile per Motta fino a poche settimane fa - per via dell’emergenza infortuni - prima che Weah gli rubasse il posto sulla corsia di destra. E proprio l’americano, insieme a Khephrén Thuram e Cambiaso, rappresenta oggi una delle poche sorprese in termini di rendimento fra i bianconeri che - qualora decidessero di cederlo in estate - potrebbero tranquillamente chiedere più del doppio della cifra elargita due anni fa al Lille (12 milioni di euro). Cinque “eccezioni”, inserite in uno scenario globale non esaltante, che vede la maggior parte degli interpreti bianconeri fermi ai picchi di valore di inizio stagione (vedi i vari Di Gregorio, Gatti, McKennie, Locatelli e Yildiz), o addirittura largamente al di sotto delle cifre spese dalla Juventus per portarli a Torino. Basti pensare a Vlahovic, acquistato nel 2022 per 70 milioni di euro, e declassato da Motta ben prima che il club chiudesse per il prestito di Kolo Muani.

I pochi miglioramenti

Oggi, vista la complicata situazione del serbo in bianconero, di fronte a un’offerta di 15/20 milioni la società potrebbe decidere di liberarsene. Il discorso si sposta poi sui nuovi arrivati, a cominciare da Koopmeiners e Douglas Luiz, arrivati rispettivamente per 51 e 50 milioni (oggi valgono poco più della metà). O ancora Nico Gonzalez (pagato 33 milioni) lontano anni luce dal giocatore consacratosi con la Fiorentina. Insomma, a registrare un “upgrade” significativo sono stati in pochissimi. Ma le responsabilità non sono tutte ascrivibili alle scelte e al lavoro dell’allenatore: una regola che vale ovunque, non solo alla Juve. Nella sua esperienza al Bologna, Motta aveva come ds Sartori che non ha sbagliato un colpo o quasi. Evidentemente non tutti, tra nuovi acquisti e non, sono stati all’altezza della Juve in una stagione in cui poche cose hanno funzionato.

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Chiamatela “gravità gasperiniana”. Nel momento più delicato della stagione della Juventus, con la squadra costretta ad alzare bandiera bianca di fronte allo strapotere tecnico, fisico e mentale dell’Atalanta, il nome dell’allenatore piemontese è tornato di moda come possibile guida futura dei bianconeri, qualora Thiago Motta dovesse venire meno al mandato numero uno: centrare la qualificazione alla prossima Champions League. Lui, che al netto del restante anno di contratto, difficilmente deciderà di sedersi sulla panchina della Dea nella prossima stagione. Lui che la Juventus, in fondo, l’ha già allenata 22 anni fa, sollevando con la Primavera quello che, fino alla scorsa stagione, era l’unico trofeo della sua carriera da tecnico: il Viareggio 2003. Ai bianconeri bastò un guizzo al 90’ di Chiumiento per superare lo Slavia Praga e aggiudicarsi la 55ª edizione del torneo. Tra le fila di quei giovani e ambiziosi bianconeri è un attaccante in particolare a ispirare nel club floridi prospetti: è originario di Mugnano, piccolo comune della provincia di Napoli, e il suo nome è Raffaele Palladino.

Palladino sfida la Juve

Sarà proprio la sua Fiorentina la prossima avversaria della Juventus in campionato. Una sfida fra compagni di banco: insieme a Thiago ha condiviso lo spogliatoio del Genoa nella stagione 2008/2009 sotto la guida di Gasperini. Un anno particolare per entrambi, stregati dalla gestione del tecnico piemontese. Un modello a cui ispirarsi una volta appesi gli scarpini al chiodo. A pochi giorni dalla clamorosa batosta rimediata allo Stadium dal proprio maestro, Motta si prepara a quella che potrebbe rivelarsi l’ultima spiaggia della sua avventura in bianconero. Il match contro la Viola dell’amico e alter ego Palladino non farà prigionieri. In caso di sconfitta, infatti, non è da escludere che la società bianconera decida di sollevare Thiago dall’incarico. Un esame fatto e finito per misurare se il tecnico - da qui alla fine della stagione - sia davvero in grado di tenere la barra dritta. Il margine con le inseguitrici si fa ogni giorno più labile. Errare non è più ammesso anche perché la Champions più che un obiettivo è ormai un imperativo irrinunciabile.

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