Pagina 2 | Juve, Agnelli bis? Sì, ma non ora. Ed Elkann valuta l'anno zero

È difficile pensare che la storia di Andrea Agnelli nella Juventus sia davvero finita il 28 novembre del 2022 con le sue dimissioni. Il suo ritorno alla guida del club è una prospettiva credibile, ma è qualcosa che si può ipotizzare nel giro di qualche anno e non si trovano riscontri che possa avvenire a fine stagione. «Voci che non hanno alcun riscontro fattuale», fa sapere Exor (che della Juventus detiene il 65,4% delle azioni) e si riferisce al vociferato scenario nel quale Andrea sarebbe nuovamente il numero uno bianconero, magari con un partner al suo fianco (da Red Bull a Tether o qualche fondo americano). Scenario che è la conseguenza emotivamente naturale del naufragio della stagione in tre mosse: Psv, Empoli e Atalanta, le partite che hanno disintegrato gli obiettivi, lasciando in piedi solo quello del quarto posto e senza neanche troppo onore. Il catastrofismo di critica e pubblico (in parte giustificato, in parte no) innesca sempre un ripensamento radicale, il ribaltone dei ribaltoni, qualcosa che vada oltre il semplice cambio di allenatore.

Agnelli, l'idea che ispira fiducia

In questo senso, Andrea Agnelli di nuovo presidente è un’idea che ispira nuova fiducia nel futuro (anche perché esiste un passato glorioso a supportarla) ed ecco che l’ipotesi si autogenera nella coscienza collettiva bianconera, che sia vera oppure no. E non lo è, vera. O, meglio, degli articolati scenari che vengono tratteggiati una cosa vera c’è: Andrea Agnelli, il presidente lo rifarebbe volentieri e ama la Juventus in modo profondo e indissolubile. Ma ora non ci sono le condizioni, se e quando dovessero crearsi, difficilmente si tirerebbe indietro. Anche se, no, non sta progettando una squadra, un allenatore, una dirigenza per il suo eventuale ritorno. Adesso vive ad Amsterdam, una manciata di giorni al mese a Torino, segue la sua finanziaria (la Lamse) e la realizzazione della Unify League, il nome definitivo della “Superlega”, della quale si potrebbe presto tornare a parlare. La Juventus la guarda in tv (mai tornato allo stadio dal 28 novembre, troppo ingombrante la sua presenza, soprattutto in un periodo difficile come questo), soffre per le sconfitte, gioisce per le vittorie con il consueto trasporto, quello che non ha mai represso in tribuna e che lo ha avvicinato alla «gente della Juve», come la chiama lui.

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Juve, qualcosa potrebbe cambiare

Il ribaltone dei ribaltoni, quindi, non è in vista. Qualche cambiamento, meno rumoroso del cambio di presidente, potrebbe tuttavia avvenire nell’organigramma della Juventus. Anticiparlo ora non sarebbe, tuttavia, giornalismo ma cartomanzia. Una riflessione è stata appena avviata e prenderà corpo nei prossimi due mesi. Due mesi nei quali ci sarà poco da godere per il popolo bianconero, ma il quarto posto resta la linea del Piave che divide la disfatta totale (con determinate conseguenze anche in società) e il raggiungimento dell’obiettivo economico minimo, che consentirebbe di progettare in modo più sereno la prossima stagione. Stagione, la prossima, che diventa cruciale, perché «l’anno zero», per citare John Elkann, non sta finendo come previsto. Al netto dello “zero tituli”, nessuno ha l’impressione che la squadra abbia seguito un percorso di crescita e progressi; così come pochissimi giocatori sono migliorati tecnicamente e tatticamente (forse le esperienze scioccanti di certe sconfitte potrebbero averne rinforzato il carattere, forse...).

L'anno 0.5

Insomma, non ci sono fondamenta su cui avviare la costruzione del palazzo in quello che sarebbero dovuto essere “l’anno uno”, ma sarà al massimo un «anno 0.5», considerato il gruppetto di giocatori intorno ai quali mettere insieme la squadra. Certo, per coltivare un po’ di ottimismo si può comunque ricordare che al termine della stagione 2010-11 (la prima di Agnelli presidente), il disastro delneriano aveva lasciato dubbi enormi su Chiellini e Bonucci, mentre Barzagli era considerato una passabile riserva. Nel giro di un anno sono diventati la linea difensiva più forte d’Europa e lo sono rimasti per i successivi dieci anni. Ma, al netto delle chiacchiere, la certezza è che fallire anche la prossima stagione non è più una possibilità per chi rimarrà al comando della Juve. Quasi certamente non Thiago Motta. Inutile analizzare, per l’ennesima volta, le sue carenze. È più sincero ammettere che si è trattato di un clamoroso abbaglio collettivo. Nessuno, a giugno aveva ipotizzato una stagione così difficile e deludente: era apparsa una scelta brillante e condivisibile, veniva da una stagione memorabile al Bologna, aveva l’aplomb giusto e idee effervescenti. Oggi quelle stesse idee appaiono confuse e, soprattutto, confondenti per la squadra: qualcosa gli è sfuggito di mano a ottobre e non è riuscito più a riprenderlo (e nessuno sembra averlo aiutato).

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Motta, una squadra folle

Motta potrebbe anche diventare un allenatore da grande squadra, certamente non è riuscito a dimostrare di esserlo adesso, ingarbugliato in scelte cervellotiche, avvitato alle sue teorie e privo del pragmatismo necessario a chiunque sieda sulla panchina della Juventus. Forse il suo cammino andava accompagnato di più e meglio. Anche perché l’annata non è stata una delusione uniforme, ma una linea più spezzata di un elettrocardiogramma: la Juventus di Motta è una squadra folle, in grado di battere l’Inter e pareggiare con il Venezia; di compiere la palpitante impresa di Lipsia e di buttarsi via con il Psv; di battere il Manchester City in Champions e farsi buttare fuori dalla Primavera dell’Empoli in Coppa Italia.

La Juve in crisi adolescenziale

Più che una squadra giovane, una squadra in preda a una crisi adolescenziale. E oltre ad applaudire con entusiasmo il dato dell’età media della rosa, 24 anni, forse si doveva riflettere maggiormente sulla necessità, in una squadra come la Juventus, di un gruppo di tre o quattro giocatori di esperienza per bilanciare l’immaturità emotiva e calcistica di ragazzi di 20 anni con una maglia pesantissima sulle spalle. Attenzione, però, non è ancora tempo di bilanci: mancano dieci partite, tutte decisive per il quarto posto (e Motta, fra l’altro, rischia la panca già domenica a Firenze). Solo con la qualificazione Champions in tasca, si potrà ragionare bene sulla prossima stagione che, quasi certamente inizierà con un altro allenatore. Insomma, per rivedere Agnelli presidente c’è tempo, per Motta in panchina non sembra proprio essercene più.

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Juve, qualcosa potrebbe cambiare

Il ribaltone dei ribaltoni, quindi, non è in vista. Qualche cambiamento, meno rumoroso del cambio di presidente, potrebbe tuttavia avvenire nell’organigramma della Juventus. Anticiparlo ora non sarebbe, tuttavia, giornalismo ma cartomanzia. Una riflessione è stata appena avviata e prenderà corpo nei prossimi due mesi. Due mesi nei quali ci sarà poco da godere per il popolo bianconero, ma il quarto posto resta la linea del Piave che divide la disfatta totale (con determinate conseguenze anche in società) e il raggiungimento dell’obiettivo economico minimo, che consentirebbe di progettare in modo più sereno la prossima stagione. Stagione, la prossima, che diventa cruciale, perché «l’anno zero», per citare John Elkann, non sta finendo come previsto. Al netto dello “zero tituli”, nessuno ha l’impressione che la squadra abbia seguito un percorso di crescita e progressi; così come pochissimi giocatori sono migliorati tecnicamente e tatticamente (forse le esperienze scioccanti di certe sconfitte potrebbero averne rinforzato il carattere, forse...).

L'anno 0.5

Insomma, non ci sono fondamenta su cui avviare la costruzione del palazzo in quello che sarebbero dovuto essere “l’anno uno”, ma sarà al massimo un «anno 0.5», considerato il gruppetto di giocatori intorno ai quali mettere insieme la squadra. Certo, per coltivare un po’ di ottimismo si può comunque ricordare che al termine della stagione 2010-11 (la prima di Agnelli presidente), il disastro delneriano aveva lasciato dubbi enormi su Chiellini e Bonucci, mentre Barzagli era considerato una passabile riserva. Nel giro di un anno sono diventati la linea difensiva più forte d’Europa e lo sono rimasti per i successivi dieci anni. Ma, al netto delle chiacchiere, la certezza è che fallire anche la prossima stagione non è più una possibilità per chi rimarrà al comando della Juve. Quasi certamente non Thiago Motta. Inutile analizzare, per l’ennesima volta, le sue carenze. È più sincero ammettere che si è trattato di un clamoroso abbaglio collettivo. Nessuno, a giugno aveva ipotizzato una stagione così difficile e deludente: era apparsa una scelta brillante e condivisibile, veniva da una stagione memorabile al Bologna, aveva l’aplomb giusto e idee effervescenti. Oggi quelle stesse idee appaiono confuse e, soprattutto, confondenti per la squadra: qualcosa gli è sfuggito di mano a ottobre e non è riuscito più a riprenderlo (e nessuno sembra averlo aiutato).

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