Juve, spazio alla fantasia: Motta e il controllo ossessivo che mortifica la classe

Troppi input tattici da recitare a memoria: la qualità non è una colpa, ma un valore

TORINO - Ma sta a vedere che... Già, sta a vedere che la “sensazione” ricavata osservando 42 partite partite giocate dalla Juventus avvicini alla ragione di questa stagione fortemente orientata verso il flop! Perché, a volte, il fiuto aiuta eccome. A indirizzare verso il “senso” delle cose, a capire l’anima delle persone. Il fiuto va oltre a ciò che si vede, appartiene al sentire: inteso, ovviamente, non come “senso” studiato dall’otorinolaringoiatra... E così, partire dal “sentire” - per arrivare ad analizzare i numeri utili a radiografare l’annata Juve, comparandoli a quelli del Bologna di Thiago della passata stagione - regala un quadro preciso del lavoro torinese di Motta. Quadro, cifre alla mano, più che mai perfettibile. Certo, si era capito a naso che questa Juventus, seconda rosa della Serie A come valore, avrebbe dovuto e potuto fare di più in Italia e nelle Coppe.

 

 

Juve: i big ostaggio degli schemi

Ma, scovato il vizio di fabbrica e partendo da questo, si può intervenire per correggere il trend e provare a far sì che le restanti ultime nove giornate possano risultare decisive. Con la squadra in grado di esprimere il massimo del proprio potenziale e incamerare i punti per garantirsi almeno il 4° posto, traguardo minimo di inizio stagione. Minimo ma anche il più importante, visto che garantisce un bonus di almeno 65 milioni di euro oltre al massimo della visibilità per gli sponsor e della goduria per i tifosi con la Champions. La verità è che non è necessario avere un Qi da scienziato nucleare per rendersi conto che questa Juventus targata Thiago Motta sia stata frenata, non poco, dall’ossessione degli schemi, seppur elastici nella loro specificità con il fluidismo degli interpreti. Troppi dettami, troppi input tattici, troppa attenzione ai moduli a mortificare, di fatto, la qualità tecnica dei giocatori. Mai veramente liberi di esprimere la propria creatività e classe per firmare giocate determinanti. La ricerca quasi compulsiva del possesso palla fine a se stesso non contempla rischi eccessivi con giocate ardite, in grado di rompere gli equilibri grazie proprio all’intuizione del singolo.

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Motta e i top player senza gioia

In questo modo non si sfrutta la qualità a disposizione, con i big costretti a recitare a memoria il copione scritto, magari nel ruolo nemmeno più indicato. La gran parte dei dati illustra una parentela strettissima tra il Bologna di un anno fa e la Juventus di quest’anno: peccato che tra le due rose la differenza sfiori i 400 milioni. Occorre un cambio repentino di approccio filosofico alla sfida all’avversario, in cui le qualità dei giocatori possano emergere in maniera naturale. Solo così conviene avere a disposizione i top player, sinora più che altro coinvolti in questo possesso palla senza sale, diventato più che altro un antidoto affinché gli altri non siano nelle condizioni di poter far male. In assoluto, la ricerca ossessiva del controllo è pericolosa. Lo sostengono anche gli psichiatri. Come ha scritto Carlos Ruif Zafon, nel suo magnifico libro 'L’ombra del vento': "Viviamo in un mondo di ombre e la fantasia è un bene raro". Thiago molli gli ormeggi, regalando libertà alla squadra, ai big. Sorprendersi fa bene. Sbagliare fa parte della vita. Una vita senza rischi porta inesorabilmente e gradualmente alla tristezza. Che col calcio fa a pugni. Il calcio è anche gioia.

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Motta, i campioni non sono pedine

Per questo continua a piacere ed emozionare dopo oltre 160 anni. Del resto gli schemi sono arrivati dopo, molto dopo. Vero, hanno assunto sempre più importanza, ma questo è valido non solo per il calcio, ma per tutti gli sport di squadra che, grazie alle analisi con i microchip appiccicati sulla schiena dei giocatori, hanno preso una piega esagerata, al punto che lo staff tecnico è diventato quasi più numeroso della squadra che va in campo. Come sempre la ragione sta nel mezzo e gli estremismi non solo sono dannosi, ma pure pericolosi. L’integralismo non ammette dialettica, confronto, flessibilità. La forza di una squadra di calcio non è data dalla somma del valore degli undici giocatori che vanno in campo, ma dalla stessa moltiplicata per la capacità del tecnico di trasmettere agli stessi la convinzione di essere fondamentali in quanto unici. Non, quindi, pedine intercambiabili...

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TORINO - Ma sta a vedere che... Già, sta a vedere che la “sensazione” ricavata osservando 42 partite partite giocate dalla Juventus avvicini alla ragione di questa stagione fortemente orientata verso il flop! Perché, a volte, il fiuto aiuta eccome. A indirizzare verso il “senso” delle cose, a capire l’anima delle persone. Il fiuto va oltre a ciò che si vede, appartiene al sentire: inteso, ovviamente, non come “senso” studiato dall’otorinolaringoiatra... E così, partire dal “sentire” - per arrivare ad analizzare i numeri utili a radiografare l’annata Juve, comparandoli a quelli del Bologna di Thiago della passata stagione - regala un quadro preciso del lavoro torinese di Motta. Quadro, cifre alla mano, più che mai perfettibile. Certo, si era capito a naso che questa Juventus, seconda rosa della Serie A come valore, avrebbe dovuto e potuto fare di più in Italia e nelle Coppe.

 

 

Juve: i big ostaggio degli schemi

Ma, scovato il vizio di fabbrica e partendo da questo, si può intervenire per correggere il trend e provare a far sì che le restanti ultime nove giornate possano risultare decisive. Con la squadra in grado di esprimere il massimo del proprio potenziale e incamerare i punti per garantirsi almeno il 4° posto, traguardo minimo di inizio stagione. Minimo ma anche il più importante, visto che garantisce un bonus di almeno 65 milioni di euro oltre al massimo della visibilità per gli sponsor e della goduria per i tifosi con la Champions. La verità è che non è necessario avere un Qi da scienziato nucleare per rendersi conto che questa Juventus targata Thiago Motta sia stata frenata, non poco, dall’ossessione degli schemi, seppur elastici nella loro specificità con il fluidismo degli interpreti. Troppi dettami, troppi input tattici, troppa attenzione ai moduli a mortificare, di fatto, la qualità tecnica dei giocatori. Mai veramente liberi di esprimere la propria creatività e classe per firmare giocate determinanti. La ricerca quasi compulsiva del possesso palla fine a se stesso non contempla rischi eccessivi con giocate ardite, in grado di rompere gli equilibri grazie proprio all’intuizione del singolo.

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