Thuram, la Juve e la lotta al razzismo
Proprio a margine dell'evento ha parlato di alcuni episodi: "Sono rimasto in Italia fino ai 4 anni, non ricordo bene. In Francia il razzismo l’ho incrociato. Temo non ci sia un posto specifico dove incontrarlo, è un atteggiamento che ci troviamo davanti. Ho avuto anch’io le mie brutte esperienze... Avevo 13 anni credo: mio padre mi ha lasciato davanti a casa, ero senza chiavi, aspettavo mia madre lì sotto e facevo su e giù di fronte al portone. Una donna è rimasta a fissarmi e vedendo che non me ne andavo mi ha urlato: ‘Torna da dove vieni'. E io sul serio non ho capito. Non siamo tanto distanti da quando una persona come me non poteva usare gli stessi bagni di una come lei o sedersi in un bus. Ma abbiamo altre leggi, evolviamo e questo conta".
E ancora: "Quella sensazione, la fitta, quando vedi il razzismo per quello che è: assurdo. Mio padre mi aveva spiegato come mi sarei sentito ed è andata proprio così. Non dovrebbe succedere, capiterà ancora. Papà mi ha aiutato ad affrontare il problema, magari io ho dato una mano a qualcun altro". E in questo il calcio può essere un aiuto importante: "Alla Juve si parla spesso di come è meglio combattere il razzismo. Bisogna trovare una comunicazione efficace e reazioni forti. Bisogna opporsi e denunciare, sono bestialità inaccettabili. Qualsiasi episodio va portato alla luce per stabilire una soglia di vergogna collettiva".