Tudor lo sa che la Juventus è quella roba lì: energia collettiva, agonismo quadrato senza fronzoli barocchi. In dieci giorni ha preso i cerebrali concetti calcistici di Thiago Motta e li ha trasformati in un gioco verticale, cattivo e scabro nel tentativo di renderlo efficace. E il pareggio dell’Olimpico è così diverso da tanti altri che hanno punteggiato la prima parte della stagione bianconera. Poi la squadra conserva i suoi limiti tecnici e, anzi, la ferocia tudoriana tende ad aumentare l’imprecisione. Però lotta, la Juve, e fa impressione vederla che aggredisce la Roma, una delle squadre più in forma del campionato, comprimendola nella sua metà campo nei primi venti minuti. Per contro, proprio in quei venti minuti di dominio non portano a nulla o quasi, così come gli ultimi venti di coraggioso arrembaggio (quanta diff erenza a certe timidezze della Juve di prima) non diventano nulla. E anche contro la Roma, i bianconeri prendono gol su calcio d’angolo con una dormita del tutto evitabile. E Vlahovic è inconcludente come prima o, comunque, più inconcludente di quanto dovrebbe essere un centravanti come lui. Insomma, Tudor non è l’uomo dei miracoli, ma della concretezza e, in questo particolare momento storico, è esattamente quello che ci vuole per la Juventus. Verrà il tempo per riflettere, ora è tempo di pedalare, per usare la metafora preferita dal tecnico croato.
